Aldo Rossi
Il futuro di Aldo
Rossi

Giovanni Leoni

"No, non sono preoccupato per
il futuro di Aldo Rossi", afferma Ettore Sottsass nella intervista pubblicata di
seguito. Parole che non appaiono ironiche, semmai affettuose e un po' temerarie
avendolo egli poco prima descritto come un architetto gentile, triste e
probabilmente comunista, doti, tutte quante, ad oggi poco in voga nei circuiti
della grande architettura. Eppure, leggendo gli altri scritti qui raccolti,
imperfetta e infinitesimale testimonianza del flusso di pensieri e immagini che
il nome di Aldo Rossi è ancora in grado di far scaturire in molti luoghi del
mondo, non resta che dargli ragione. La stanchezza di ogni discussione su
maestri e linguaggi, la non più eludibile evidenza di una debolezza della
attuale disciplina architettonica nel confronto con la complessità del reale,
tutto ciò sta inducendo molti a rivolgere la propria attenzione verso chi ha
accettato la fine della architettura autoriale e fronteggiato, con tutte le
proprie energie intellettuali e creative, quella che proprio Rossi definiva come
una "smisurata ricerca delle cose... ricerca che è anche ricordo ma è soprattutto
l'aspetto sterminatore dell'esperienza che procede imprevista dando e togliendo
significato a ogni progetto, avvenimento, cosa o persona". Dove possiamo
cercare, oggi, la lezione, forse dovremmo dire l'ancor viva azione, di Aldo
Rossi? Certo anche nelle sue architetture e nei suoi scritti, ma assai di più,
sembrerebbe, nella sua vita, "opera" non meno progettata, come testimoniano i
Quaderni azzurri (Electa, Milano 1999) e la Autobiografia
scientifica
(Cambridge, Mass. 1981; Parma 1990), e, ben più delle
architetture e dei libri, penetrata nel profondo della cultura architettonica
mondiale del secondo Novecento. "Dimenticato e dovunque", afferma Libeskind a
proposito del maestro, "un tipico attributo dello spirito", e aggiunge: "credo
vi siano due o tre persone, nel mondo, forse non i suoi diretti allievi, che
stanno operando nello spirito di Rossi, proprio perché non sono suoi
prosecutori". Si tratta di una stima per difetto e c'è da chiedersi se Rossi non
vorrebbe includere nel suo "spirito", per rimanere alla metafora di Libeskind,
anche l'ultimo dei pedissequi imitatori. Se Souto Moura ricorda, giustamente, la
notevole qualità architettonica di alcune sue opere, sopra tutte il Teatro del
Mondo, ciò che colpisce è, nella attuale prospettiva, la straordinaria facoltà
seminale di cui Rossi era evidentemente dotato. Ogni suo interlocutore sembra
essere stato toccato dal senso di una unicità di rapporto, ognuno sembra essere
stato, in certa misura, specchio di una o più delle sue molteplici
personalità...