Mercati – Le esportazioni lapidee nel paese asiatico rappresentano appena l'1% dei consumi locali

Le mutazioni strategiche del settore lapideo, con particolare riguardo a quelle dell'ultimo decennio, acquistano motivi di specifica evidenza nel caso di Paesi che hanno abdicato al ruolo di produttori per assumere quello di acquirenti del manufatto pronto per la messa in opera. I loro consumi, ben lungi dall'essere in flessione, ne hanno tratto rinnovato impulso, ma le politiche di valorizzazione delle risorse locali sono finite in lista d'attesa, con grande vantaggio per gli esportatori esteri e, in primo luogo, per i nuovi protagonisti del mercato globale. Da questo punto di vista, appare emblematico quanto è accaduto nella Corea del Sud, i cui approvvigionamenti di lavorati sono aumentati di circa 60 volte, balzando dalle 40 mila tonnellate del 1994 ai due milioni e mezzo del 2007, cui corrispondono circa 45 milioni di metri quadrati equivalenti. Nel frattempo, le produzioni domestiche hanno fatto registrare continue flessioni, riducendosi a meno di un terzo rispetto ai volumi estratti negli anni migliori. Del resto, lo stesso import di grezzi si è contratto fino al punto da costituire meno del 3% di quello quantitativo globale, e una quota ancora più bassa in valore. 

Il monopolio della Cina
Chi ha beneficiato oltre ogni dire del cambiamento di rotta sono stati gli esportatori cinesi, che sempre nel 2007 hanno soddisfatto il 94,5% della domanda coreana di lavorati lapidei, lasciando all'Italia l'1%, alla Spagna lo 0,7%, ed il residuo 3,8 a tutti gli altri Paesi. Il prezzo medio degli acquisti effettuati in Cina è stato di 16,7 dollari per metro quadrato equivalente, mentre l'export italiano ha ascritto una quotazione di circa 54 dollari, ma quella complessiva pagata dall'import coreano non ne ha risentito apprezzabilmente, essendosi stabilizzata intorno ai 16,9 dollari. La differenza di prezzo assume rilevanza decisiva, ma si deve aggiungere che il prodotto cinese arriva in Corea nel giro di una settimana, mentre quello europeo richiede un tempo di percorrenza superiore di otto volte. Ciò, senza contare la cosiddetta contiguità linguistica con la Cina, e il fatto che una decina di imprese cinesi abbiano investito nella Corea del Nord, creando altrettante iniziative di trasformazione nello specifico intento di servire il mercato sud-coreano.

La ridotta attività locale
Le ultime stime circa la produzione di cava nella Corea meridionale evidenziano che i bacini in attività si sarebbero ridotti a meno di un centinaio, mentre le unità di trasformazione risultano appena 490, con un'occupazione di 5.400 unità lavorative, e quindi, con una media di circa undici addetti per azienda (più che doppia rispetto a quella italiana). Nel 2008 sono state predisposte misure incentivanti, con riguardo prioritario alla semplificazione delle procedure e dell'iter di ottenimento o rinnovo delle concessioni, ma il loro impatto è stato minimo, tanto più che la crisi mondiale ha colpito duramente anche in Corea, con effetti pesanti sull'edilizia, nonostante piani di rilancio che prevedono la costruzione di 500 mila nuove abitazioni residenziali, già nel breve e medio termine. Quanto al lapideo, è inutile aggiungere che la concorrenza cinese ha fatto ridurre in misura particolarmente apprezzabile tutti gli investimenti produttivi, coinvolgendo anche quelli promozionali, come si è visto quando la fiera settoriale di Seul ha deciso di rinviare a tempi migliori la sua effettuazione. Non meno indicativo, poi, è che qualche iniziativa mista in Corea del Nord, diretta a valorizzare alcuni giacimenti di granito prossimi al confine, sia stata avviata anche da imprese sud-coreane, contribuendo al pur timido disgelo fra i due Paesi, ma evidenziando in modo palese che lo sviluppo del lapideo batte bandiere nuove.