Il progetto di restauro di Palazzo Mora a Venezia, sviluppato dall’architetto argentino Florencia Costa, è finalmente iniziato. L’edificio, in base all’idea presentata durante la Mostra internazionale di Architettura di Venezia, diventerà un luogo espositivo, ma anche una residenza per artisti, uno spazio destinato alla pratica artistica fruibile anche per la ricerca e lo studio. Attraverso il restauro di questa costruzione, Florencia Costa ha deciso di trasmettere un nuovo modo di pensare l’architettura come performance, come un momento di sintesi in cui i dati e le informazioni raccolte in fase progettuale si traducono in realtà. L’intervento compone frammenti architettonici veneziani con lo spirito degli spazi monastici. Gli echi sono quelli della capanna del poeta delle incisioni giapponesi, le celle della Certosa di Emo, lo studio di Mondrian a Parigi e il Merzbau di Schwitters ad Hannover. Ma ancora più forte è la risonanza del progetto di Le Corbusier per l’ospedale di Venezia e le polifore delle facciate sul Canal Grande. Al suo interno si intrecciano lungo due assi i nuclei tematici relativi all’aspetto autobiografico (dei ricordi e delle imprese personali dell’architetto che lo ha ideato) e a quello legato alla tipologia urbanistica della città in cui è realizzato, Venezia, con frammenti letterari, architetturali, ma anche geografici e biologici. Tale sistema implica il parziale disfacimento della forma edificata, l’urbanizzazione degli spazi interni e, quindi, il ricollegamento di tutti i suoi elementi. Nella pratica, il restauro impasta passato e presente, risagoma le forme costruite esistenti, unisce arte, conoscenza e scopo abitativo in un’armonia rinnovata. Lo schema del palazzo veneziano viene pertanto visto come la riproduzione di elementi urbani veneziani: piazze, campi, campielli e calli. L’intervento a Palazzo Mora altera alcuni dei suoi frammenti architettonici in modo da creare un nuovo ordine spaziale da cui emerge un’integrazione diversificata e un transito più fluido. Lo schema tripartito originario delle stanze di Palazzo Mora è presente in tutto l’edificio, mentre il progetto urbanizza il sottotetto con camere studio per stagisti d’arte sviluppate lungo un labirinto di stretti passaggi come fossero calli.

L’elemento edile di base è l’asta sottile di legno chiamata cantinella: elemento strutturale delle pareti veneziane del ‘700. Le cantinelle, portate alla luce dai lavori di ristrutturazione di Palazzo Mora, vengono raccolte e rimontate. Come i tessuti connettivi organici creati per partenogenesi da un singolo elemento, le cantinelle divengono celle.


Secondo Florencia Costa, l’architettura è il prodotto di un confronto-scontro continuo tra la teoria progettuale e la sua messa in opera nella realtà, risultato di ore di lavoro preparatorio in studio e improvvisazione sul campo. Ma anche, pratica sociale attraverso cui riappropriarsi degli spazi della città, di luoghi in cui i cittadini possano riscoprire il proprio diritto di espressione e creatività, di riflessione e azione per la collettività. Da questa accezione più “politica” del fare architettura è nata la piattaforma metodologica che accoglierà i futuri progetti dell’architetto Costa: il manifesto "Who’s Afraid of Architecture", che recupera il ruolo dell’architettura come contenitore delle arti, disciplina dell’intelletto e dello spirito, e pratica sociale per eccellenza. Cambia, inoltre, radicalmente l’atto dell’architettura, avvicinandolo al modo in cui operiamo con la natura: distinguendo e ordinando, scegliendo le colture, aprendo radure, condizionando il terreno, seminando. Rivaluta il ruolo dell’architetto come orchestratore di pratiche sociali, accomunando persone verso nuove riflessioni e azioni. Identifica aree urbane e le prende in carico per trasformarle in spazi di pubblico utilizzo per l’arte e l'educazione. Motiva l’azione umana: intelletto e materia allineati e ispirati, mai dissociati. Nel complesso il manifesto è un vero e proprio invito dell’architetto Costa ad allontanarsi dall’architettura mainstream.