Intervista – Creatività, bellezza e qualità: secondo la stilista italiana, sono questi i plus da difendere per reggere le sfide del mercato globale

Laura Biagiotti, stilista tra i maggiori nomi della moda italiana, è un'autentica ambasciatrice del made in Italy nel mondo: alla creatività a 360 gradi (che spazia dalla moda alla lingerie, all'ideazione di fragranze, alla creazione di una linea di biancheria per la casa) affianca una grande attenzione verso la cultura, che la vede promotrice di restauri d'importanti opere d'arte. Senza trascurare lo sport, un ambito che, insieme alla moda, è in grado di collaborare nella diffusione del prestigio italiano nel mondo, e con il quale si è adoperata per creare sinergie d'immagine con l'ideazione di eventi mirati. Ambiente Cucina ha chiesto a Laura Biagiotti di sintetizzare il valore del made in Italy.

Quale può essere, a suo parere, un modo di pensare, progettare e produrre tipicamente italiano e come tale percepito in tutto il mondo?
All'estero la creatività italiana viene sicuramente percepita in modo molto positivo, perché lo stile di vita italiano è ancora ai vertici del gusto. Non mi riferisco tanto al prodotto in sè, quanto a ciò che esso rappresenta come bene immateriale. Non bisogna però dimenticare che esso, come espressione tangibile della creatività, costituisce un importante asset della nostra economia, e come tale va protetto. Salvaguardandolo, per esempio, dal “simil italiano”, cioè dalle copie. La modalità di progetto tipicamente italiana è in grado di coniugare fedeltà, stile e innovazione. Con questi presupposti, la produzione può non essere sempre italiana (anche se io continuo a battermi perché lo sia), importante è che lo sia lo stile.

Come può il risultato della nostra creatività e del nostro stile diventare emblema di riconoscibilità?
A questo proposito, dovrebbe esistere una sinergia tra impresa e stato. Da tempo mi batto perché venga creato un ministero del made in Italy: non mi riferisco a quello che rappresenta il ministero del Commercio estero, ma un organo in grado di difendere e promuovere un patrimonio importante come il nostro. Prendendo esempio dalla Francia, che ha innato, assieme alla grandeur, quello spirito che loro stessi definiscono “faire France”: che significa comunicare un'immagine, un sentire comune. Noi invece siamo purtroppo ancora divisi in particolarismi, in regionalismi che frammentano l'immagine e non ne favoriscono la diffusione. A mio parere, una chiave risolutiva potrebbe essere la rivalutazione del patrimonio culturale italiano: inteso non solo come custode del passato, ma artefice e progettista del futuro. E non mi riferisco unicamente all'arte, all'architettura e in generale alle espressioni artistiche, ma a tutto quello che si coagula attorno al concetto di “cultura italiana”: dal mangiare e bere bene, al turismo, alla moda, ovviamente, cioè allo stile che ci caratterizza. In una parola: all'arte di vivere. Una prospettiva futura vincente è sostenere l'economia della creatività. Da nove anni ormai sono presidente del Comitato Leonardo, che riunisce l'eccellenza italiana nell'industria, nell'arte e nella cultura e che premia personalità di spicco della creatività italiana (da Umberto Veronesi a Renzo Piano), dimostrando come essa scaturisca dalla sinergia tra economia, conoscenza e funzionalità.

Secondo lei, quali possono essere le prospettive di progetti legati al made in Italy, rispetto a quelli espressi da altri paesi?
Credo che si debba tornare all'economia del valore aggiunto: se si basa tutto sulla manualità, sull'artigianalità, ci sono paesi in grado di batterci (uno per tutti l'India). Bisogna cercare di coniugare bellezza e qualità, quindi puntare sullo stile e su una creatività non illusoria. E considerare che abbiamo concorrenti anche molto vicino a noi: per esempio la Spagna, che ha fatto passi da gigante e oggi è portavoce di cultura e modernità. O la Germania, molto avanzata tecnologicamente. Anche la Grecia sta facendo molti sforzi per recuperare in chiave moderna un passato glorioso ma polveroso. Più lontano, il Giappone e la Cina, paese in cui sono arrivata a sfilare per prima, nel 1988.

Che cosa significa per Laura Biagiotti sentirsi testimonial del made in Italy nel mondo?
Rappresentare il paese al meglio attraverso il prodotto. Un ambasciatore non ha funzioni solo politiche ed economiche ma è anche ambasciatore di valorizzazione complessiva del paese. E il “ben fare” italiano è un patrimonio ridistribuibile e soprattutto condivisibile. Le boutique italiane possono essere considerate le nuove vetrine del bello nel mondo. La mia responsabilità non è solo nei confronti del mio azionariato ma verso tutto il mio paese, come esponente della moda italiana e come tale portatrice d'immagine. Per questo motivo ho sempre voluto vestire non solo le star, ma tutte le donne contemporanee, che cercano non solo un “abito estetico”, ma un'espressione di valori e comportamenti. Essere testimonial dell'Italia nel mondo può significare anche evocarlo per mezzo di suggestioni: all'ultimo Maison & Objet lo spazio dedicato alla presentazione della collezione Biagiotti Home è stato ispirato a Roma e alle sue architetture. Così come si ispira all'architettura romana il packaging del profumo omonimo, da sempre tra i dieci top ten più venduti al mondo.

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