Intervista – Secondo il presidente del gruppo triestino le imprese italiane devono scommettere su caratteristiche come estetica e qualità

“L'Italian style sarà la chiave di lettura per interpretare i consumi del futuro prossimo”, non ha dubbi Riccardo Illy, presidente del gruppo Illy. “L'umanità ha attraversato l'era della caccia, dell'agricoltura, dell'industrializzazione (terminata secondo Alvar Toffler la metà del secolo scorso). Oggi siamo nell'era dell'informazione, la ricchezza dei prodotti è data dalla capacità di attualizzare un patrimonio di competenze e conoscenze che circolano con sempre maggiore velocità. Ma ci stiamo avviando già verso una nuova epoca che vede il suo valore nell'estetica, una sensibilità di cui lo stile italiano è da sempre portavoce. L'Italia è infatti la patria dell'estetica. E' nel dna italiano, non solo la capacità di distinguere e apprezzare il bello, ma anche di produrlo: le imprese italiane hanno da sempre questa vocazione che le distingue nei mercati mondiali”.

In questo scenario che valore acquisiscono quelle competenze che trovano le loro radici nella storia culturale del nostro Paese?
 Il saper fare italiano è un valore profondamente radicato che i processi industriali non hanno cancellato, ma anzi amplificato. Ci sono produzioni che, come ha dimostrato l'esperienza, non possono essere delocalizzate (basti pensare ai tessuti di qualità). Sono i prodotti eccellenti, in cui la qualità è fattore discriminante. Sono produzioni che, nonostante la crisi, vedono crescere il proprio target di riferimento: aumenta infatti (soprattutto in alcuni paesi extraeuropei) il numero di consumatori con elevate capacità di spesa, in cui si sta sviluppando una sensibilità culturale verso il bello.

L'attenzione ai mercati esteri è quindi fondamentale in questo momento?
Per le imprese italiane oggi andare all'estero non è più una necessità ma un obbligo, il mercato di riferimento va infatti sempre più pensato come un mercato globale. Bisogna però proporsi in maniera corretta: promuovendo sì il proprio brand, ma legandolo sempre alle marca Paese, a quel concept di made in Italy che è oggi driver fondamentale per imporsi nei mercati internazionali. E' necessario poi, soprattutto per le piccole imprese, superare gli individualismi per cercare di dare vita a esperienze collettive nel proporsi nel contest internazionale, chiedendo anche l'appoggio delle istituzioni. La valorizzazione dei distretti (intesi sia sotto il profilo economico che storico e culturale) ad esempio, dovrebbe diventare fondamentale nelle strategie export. E poi, torno a sottolinearlo, l'intervento pubblico può offrire un valido apporto per ottimizzare la presenza delle aziende italiane nei mercati esteri: credo che in questo ambito sia necessario migliore il coordinamento fra i vari enti, come l'Ice, le ambasciate.

Il gruppo Illy si sta configurando sempre più come un punto di riferimento a livello mondiale per l'eccellenza del gusto, attraverso quali strategie di marketing state raggiungendo questo obiettivo?
Il gruppo Illy con l'acquisizione di Domori (cioccolato di alta qualità), Mastrojanni (storica cantina di Montalcino), a cui va aggiunta la francese Dammann Frères e la partecipazione in Agrimontana (società leader nella produzione di prodotti di alta pasticceria tra cui marrons glacés e confetture ) ha costituito un vero polo dell'eccellenza con l'obiettivo di raccontare questo concept di alta qualità in tutto il mondo. Per questa operazione ci serviamo a livello distributivo della competenza della system company (attualmente Illy ha una rete distributiva in 144 paesi a cui a breve si aggiungerà anche la Algeria). Nello stesso tempo però abbiamo voluto mantenere distinti i vari marchi per sottolineare le identità e le competenze specifiche valorizzando tradizioni legate a peculiari sensibilità culturali. Tutti elementi che godono di grande appeal all'estero e che andrebbero ulteriormente valorizzate dalle aziende italiane.

Come spiega queste sensibilità, questa attenzione verso il settore agroalimentare, ma più in generale verso tutta la produzione made in Italy?
Direi che la motivazione va cercata in tre fattori. Innanzitutto non va trascurato il fatto che la dieta mediterranea attualmente é considerata la più rispondente alle reali esigenze di salute e wellness . Poi la qualità riconosciuta e riconoscibile dei prodotti e ancora i loro link con il territorio. Esistono tipicità che evocando un legame con luoghi noti anche da un punto di vista turistico e culturale ne accrescono l'appeal.

Le chiediamo uno spunto di lavoro “da esterno”. Secondo lei su quali valori dovrebbero puntare le aziende italiane che operano nel settore degli oggetti per la casa e la cucina per distinguersi nei mercati esteri?
E' una domanda a cui è difficile rispondere perché credo che le aziende di questo settore stiano già facendo un ottimo lavoro operando su qualità ed estetica. Mi sentirei di aggiungere come ulteriore spunto di riflessione un'attenzione verso l'ergonomia, la durata e l'innovazione intesa soprattutto come ricerca sui materiali. Tentando magari sperimentazioni con fibre esotiche in grado di garantire vantaggi tecnologici eccezionali (resistenza, praticità, durevolezza).