Intervista a Mario Botta

L'architetto Mario Botta ci rilascia questa intervista mentre è in viaggio, in auto, verso il Museo di Arte Moderna e Contemporanea e Centro culturale di Rovereto (1988/2002). Un grande complesso che tuttavia non impone le proprie dimensioni sulla scala dell'ambiente urbano circostante.
Botta lo considera nato dal controllo degli spazi e della luce più che dalla progettazione di un singolo edificio, dai "vuoti" più che dai "solidi", dal "negativo più che dal positivo". Il museo  espande i propri spazi sino a includere i due palazzi, collegati tra loro al pianoterra e al livello sotterraneo. Nell'interrato si trovano i musei d'architettura e del libro, una sala di lettura illuminata dall'alto da un lucernario a piramide e i magazzini del museo. L'ampia piazza  fornisce un accesso al museo, alla caffetteria, al ristorante e alla libreria. Al primo piano si trovano la sala espositiva principale e le sale degli audiovisivi, mentre al secondo sono ospitate le aree espositive. La circolazione intorno alle gallerie dei due piani superiori ha luogo lungo il cortile centrale, mentre delle scalinate occupano gli angoli di un quadrato costruito intorno a questo.
Che peso ha la luce nelle sue architetture?
La luce è fondamentale per l'architettura, senza luce non c'è spazio, la luce è la generatrice dello spazio, per un'architettura la luce è l'elemento che fa vivere lo spazio.
Cosa ne pensa dell'uso in architettura della a luce combinata?
La luce combinata è un delitto, in architettura dovrebbero essere considerate separatamente: la luce naturale arriva dal cosmo in parallelo mentre la luce artificiale ha una piccola fonte puntuale,  sono due concetti completamente diversi.
Come interpreta il lucernario nel suo modo di progettare?
Lucernario è un'apertura verso l'alto per portare la luce in un ambiente interno. Nel Museo di Rovereto l'uso del lucernario è il perno di quell'architettura. Il piccolo spazio del secondo piano è coperto da lucernari, che sono un modo per diffondere la luce, una luce diffusa controllata, le opere d'arte nel museo vivono in funzione di questa luce naturale. I lucernari sono delle macchine complicate perché non solo devono portare la luce, ma la devono controllare.
In questo museo la luce si diffonde abbondante dall'alto attraverso una serie di lucernari che danno forma al tetto. Ciò che avviene sotto terra è esposto solo tramite i lucernari o i cortili ribassati. Le dimensioni reali dell'edificio non sono rivelate chiaramente, ma piuttosto attentamente bilanciate in modo che ciò viene rivelato sia in proporzione con gli edifici esistenti. Poi, al primo e al secondo piano, il museo diviene un volume ortogonale svuotato per creare il cortile circolare del nucleo centrale. Aperto solo al primo piano con un colonnato, l'edificio non ha altre aperture.  E' lo spiazzo centrale ad attrarre tutta l'attenzione sovrastato dall'imponente struttura metallica.
E nel Museo Tanguely?
Il museo è composto da cinque navate definite dalle pareti esterne e da quattro campate strutturali in cemento armato di trenta metri di luce. Queste campate lasciano al centro un grande spazio a tutta altezza di trenta metri per sessanta, divisibile in aree più piccole mediante pareti scorrevoli che scendono dalle travature superiori, mentre attorno si sovrappongono ballatoi, balconate e sale oppure spazi più riservati o chiusi. C'è un luce indiretta, una luce laterale che entra e che viene portata attraverso le pareti inclinate sullo spazio interno, non è una luce zenitale.
Come concepisce la luce nello spazio sacro?
La luce è un  problema di cultura. Non si può risolvere il problema come lei cerca di farmi dire per tipologie, la luce attraverso l'uso del lucernario varia, se io faccio una luce intensa su un abside assumo un carattere sacrale, ma se lo stesso lucernario porta la luce in modo diffuso diventa una fabbrica. Come accade al Monte Tamaro c'è una piccola luce sull'abside; la chiesa è tutta nera con la tarsia di Cucchi che viene illuminata dall'alto, allora il colore esaspera questa luce che dal bianco, in alto, diventa nero, in basso. Tutto dipende come viene trattata la luce. Non basta discutere  solo sull'applicazione di tipologie in rapporto al risultato causa-effetto per avere il controllo della luce.
C'è un rapporto intenzionale nelle sue architetture tra il corso orizzontale dei materiali e il gradiente della luce che piove dall'alto sulle superfici scalettate?
Sì, il giunto del materiale diventa un filo d'ombra. Il disegno del paramento esterno non è puramente un fatto grafico ma è la luce che determina la linea orizzontale, se si fa un giunto in arretrato significa che si cerca l'ombra che crea il segno orizzontale.

Tratto da "Qualità e uso della luce", supplemento di AREA n. 63, Federico Motta Editore

Mario Botta, MART, Rovereto, vista d'insieme

Mario Botta, MART, Rovereto, vista d'insieme

Mario Botta, MART, Rovereto, vista sulla corte

Mario Botta, MART, Rovereto, vista sulla corte