Intervenire sulla periferia: banco di prova complesso e stimolante, soprattutto quando si vuole evitare una semplice sostituzione del patrimonio edilizio preesistente a favore di una riqualificazione complessiva delle aree circostanti, riqualificazione sia con nuove destinazioni d’uso che attraverso caratteristiche architettoniche in grado di comunicare e di instaurare relazioni virtuose. Insomma, rinnovare un’intera zona ideando un edificio non come oggetto a sé stante, ma come parte di un sistema urbano (già in essere oppure in divenire). L’intervento nelle parti marginali della città è inteso come occasione propizia perché possiamo confrontarci con una periferia che, come disse Aldo Rossi, può diventare “sempre più una parte bella”, una “utopia fattibile”. Questa finalità è ben riconoscibile nel progetto dello IULM 6, noto come Knowledge Transfer Centre (cioè una “macchina per il trasferimento della cultura alla città”) e ultimo tassello del Campus IULM, situato a sud-ovest di Milano, nei pressi della fermata della metropolitana Romolo: tipologie molto diverse distinguono i vari blocchi che accolgono una pluralità di funzioni, pur all’interno della destinazione generale di servizi universitari e pubblici. Nel mix di forme c’è stata una gestione alla pari dei pieni e dei vuoti che ha trovato il suo massimo risultato nell’esito spaziale: la composizione si presenta, in pianta, semplice e ordinata ma, sviluppandosi nelle tre dimensioni, si scopre ricca e complessa, creando ambienti intermedi che diventano luoghi da attraversare, da vivere, da condividere.

I “luoghi dell’Imprevedibile” li definiscono gli architetti. Il progetto è composto dai seguenti corpi: due fabbricati bassi (due piani fuori terra), in linea, posti a nord e a sud del lotto, destinati a dipartimenti, laboratori, aule e una sala convegni da 146 posti (che esce con sbalzo inclinato a fianco dell’ingresso ovest), caratterizzati da uniformità di materiali con quanto già realizzato nel Campus (mattoni, pareti vetrate, facciate intonacate); un edificio a torre, decisamente riconoscibile e visibile, con un involucro rasato che dialoga cromaticamente con il mattone che riveste le altre costruzioni; un volume espositivo (a est del lotto) che richiama con la volta a botte e la finitura in calcestruzzo a vista un fabbricato di tipo industriale; la sala dell’auditorium che per forma (tondeggiante) e finitura esterna (rivestimento ceramico) si distingue completamente dal resto del complesso. Come dice Gianluca Peluffo “La scelta architettonica di partenza [fatta per la torre] è una sfida che si può definire “eretica”, ovvero tentare di riscattare la periferia con i suoi stessi strumenti di linguaggio e anima: opacità, non trasparenza, materia”. Trattandosi di una torre di aule e laboratori di ricerca, si è immaginato che i suoi ambienti si articolassero lungo un percorso a rampa, una spirale a pianta quadrata, che si sviluppa su tutti i dieci piani. Le bucature della torre, sui tre prospetti opachi, hanno un posizionamento apparentemente casuale, proprio perché corrispondono liberamente all’andamento della rampa continua e non a quello dei locali interni, che sono vetrati e a quote differenti. La rampa, come una promenade, fa risalire utenti e visitatori attraverso spazi a doppia e tripla altezza (non esistono piani veri e propri) che lasciano scorrere la visuale senza soluzione di continuità, dando vita a un incrocio di sguardi che diventa incrocio di saperi. Per la sagoma, le aperture e il colore il volume non può non richiamare alla memoria Mario Sironi (si pensi al quadro Periferia del 1922) e Aldo Rossi a Modena (Cimitero San Cataldo). A questa immagine si sovrappongono le scale di sicurezza industriali, dello stesso colore del cappotto, che la avvolgono e la decorano mentre su di essa si aggrappano.

E per finire, oggetti cilindrici e azzurri, sorta di cannocchiali, che fuoriescono dalle pareti, distribuiti sull’involucro con la medesima aleatorietà (o presunta tale) degli altri elementi, e che aprono punti di vista particolari sulla città. Gli spazi di distribuzione, che normalmente in una destinazione d’uso scolastico-universitaria sono in una percentuale del 12% sulla superficie totale, arrivano qui al 15-18% ma è limitativo definirli solo “di distribuzione”: in realtà sono spazi “in cui succedono cose”, ovvero incontri, scambi, relax, dialoghi, riflessioni. Gli interni della torre sono molto chiari, alternano una tenue tinta azzurra (come per il corpo metallico della rampa) al grigio del cemento armato a vista della struttura: soluzioni industriali che sono espressione di un “industriale disegnato” (altro cenno a Sironi) e hanno consentito di contenere il costo dell’opera. La vivacità e la creatività, protagoniste dentro la torre, si sposano perfettamente con la sua destinazione d’uso: a oggi è sede della Scuola Politecnica di Design, una scuola di formazione postlaurea per le discipline del progetto in vari settori, con l’obiettivo di lanciare proposte “in equilibrio tra funzione ed espressione, produzione e sperimentazione” (come lo è la torre che la ospita). La sala auditorium (600 posti), in posizione centrale al lotto, è un grosso guscio ellittico completamente rivestito in ceramica verde, con particolari piastrelle tridimensionali che danno un effetto materico alla sua pelle. Anche con l’auditorium gli spazi intermedi assumono un ruolo e un senso propri: da un lato il rivestimento ceramico entra negli ambienti, perché il volume si compenetra con gli altri blocchi, dall’altro sotto la sua “pancia” si crea una specie di aula all’aperto, verso la quale si può scendere per poi risalire nel giardino posteriore. L’esplosione di ceramica verde e la sagoma svettante della torre sono un contrasto brillante nel Campus e nel tessuto urbano circostante, così accesi da poter essere visti nella nebbia milanese. A tal proposito gli architetti ci suggeriscono alcuni richiami: “È il semaforo di Luigi Ghirri a Modena. È il semaforo di Bruno Munari Nella nebbia di Milano.” È pur vero che oggi di nebbia ne è rimasta poca in città, ma questo progetto è un esempio concreto di come contrapporre all’eventuale tristezza e grigiore di una periferia esterna una ricchezza spaziale interna inaspettata, che sorprende e inietta allegria, curiosità, stimoli positivi.

AUDITORIUM: CERAMICA TRIDIMENSIONALE VERDE
L’auditorium, sollevato da terra, ha una struttura portante mista: due terzi della soletta curva sono di calcestruzzo armato e appoggiano su pilastri, sempre di calcestruzzo armato; il restante terzo, a sbalzo, ha una struttura metallica in centine, che continuano poi, con minore sezione e dimensione, lungo tutto il guscio in alzato, sia per le pareti laterali che per la copertura. Alla struttura metallica è agganciata un’orditura a sostegno di pannelli di fibrocemento, che racchiudono isolamento termico e acustico e relativa camera d’aria. A questi pannelli è incollato il sistema di rivestimento in mosaico con tessere 90x90 mm in grès porcellanato, ottenuto, su disegno, da piastrelle diamantate e asimmetriche 100x300 mm, tagliate e ricomposte in fogli. Le piastrelle sono plasmate tridimensionalmente nel loro spessore, ottenendo un rilievo di circa 7-8 mm e riuscendo a conferire alla superficie, già contraddistinta da un forte cromatismo, una potenziata capacità di giocare con la luce. La dimensione delle tessere è stata individuata in fase di progettazione costruttiva come compromesso tra la necessità tecnica di assecondare le curve del guscio, spesso con un angolo assai ridotto, e la necessità economica di rimanere entro livelli di costo accettabili.

VETROMATTONE DIAMANTATO: STRUTTURA E TRASLUCENZA
La torre ha una struttura portante con setti di calcestruzzo armato su tre lati (sud, est e ovest) e un telaio strutturale centrale anch’esso di calcestruzzo armato: la rampa interna, in struttura metallica, è agganciata ai due elementi strutturali, che sono fra loro parzialmente collaboranti. La facciata nord è completamente vetrata (altezza 50 m) ed è realizzata in vetromattone diamantato su disegno della ditta produttrice (questa soluzione costruttiva è parzialmente presente anche sui corpi bassi, principalmente a fasce orizzontali). Si tratta della più alta facciata strutturale di vetromattone mai costruita, andando a superare quella dell’edificio Hermès di Tokyo, a firma dell’architetto Renzo Piano, opera della stessa azienda. Il vetromattone adottato ha una dimensione standard (30x30 cm), ma ha il lato esterno diamantato e decentrato, permettendo un posizionamento casuale di infinita variabilità: in tutto sono stati utilizzati circa 17.500 blocchi. La scelta strutturale è stata quella di creare pannelli prefabbricati costituiti da calcestruzzo SCC (Self Compacting Concrete), con inerti fini (sabbia/graniglia 0,063:4 mm) e resistenza minima, e vetromattone di due dimensioni: 1890x4930 e 1890x3790 mm, considerando fra le porzioni vetrate una parte piena di 90 mm. I pannelli sono agganciati a un telaio in montanti scatolari di acciaio (120x80x8 mm) che collabora con la struttura della rampa. Una delle problematiche emerse in fase di produzione e posa dei pannelli, è stata la trazione nel calcestruzzo in fase di asciugatura, che ha causato, per la eccessiva rapidità, una rottura di circa il 10% dei mattoni in vetro dei pannelli campione. A questa problematica si è ovviato con l’inserimento di un ritardante all’asciugatura, che ha limitato la trazione del calcestruzzo sul vetro.

TORRE: LA SICUREZZA DIVENTA ARCHITETTURA
La scelta di una muratura piena e di una opacità materica per tre dei prospetti della torre si è concretizzata nell’utilizzo di un cappotto che, per motivi di durabilità e di manutenzione, in fase di realizzazione è stato trattato con una attenta cura, relativamente sia alla scelta del colore, capace di non degradare alla luce del sole (sono le pareti più esposte) che alla tempistica di posa dell’intonaco di finitura. Per questo motivo sono state disegnate, di concerto con i progettisti, le linee di interruzione e ripresa in modo che corrispondessero alle lavorazioni giornaliere di cantiere, dialogando con la trama delle bucature e considerando una superficie giornaliera quasi costante. Sulle pareti opache sono agganciate le scale esterne metalliche che, oltre a svolgere la loro funzione di sicurezza e via di fuga di un fabbricato sviluppato in altezza, diventano un vero e proprio elemento architettonico. La necessità di un’unica scala di sicurezza esterna collegata alla rampa continua interna (avendo previsto un sistema di vie di fuga centrale alle rampe), ha portato a concentrare l’effettiva scala antincendio dalla sommità a terra (su un’altezza di nove piani complessivi) sulla sola facciata est, mentre le altre scale e gli altri pianerottoli, posizionati sulle facciate sud e ovest, sono spazi per fumatori e punti paesaggistici, che mantengono il linguaggio delle scale di sicurezza, ovvero il metallo dello stesso colore e lo stesso sistema di aggancio alla struttura.

Scheda progetto
Progettista: Gianluca Peluffo with 5+1AA
Committente: IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione
Superficie totale: 19,753 mq
Periodo di costruzione: 2010-2015
Costo: 18 million euro
Localizzazione: Milano, Italy
Progetto architettonico: Gianluca Peluffo with 5+1AA and Alessandro Schiesaro
Team di progetto: L. Pozzi, D. Marchetti, G. Pulselli, D. Laface, A. Bellus, L. Barabino, R.F. Pirrello, M. Prete, C. Vaschetti Alta Sorveglianza/Supervision: C. Stevan, A. Bugatti Ingegneria strutturale: Iquadro Ingegneria
Ingegneria impiantistica: Deerns Italia
Prevenzione incendi: Studio Tecnico Zaccarelli
Superficie costruita: 9950 m²
Cubatura edificio: 29,850 m³
Periodo di progettazione: 2003
Direzione Lavori: Gianluca Peluffo
Assistenza alla direzione lavori, contabilità di cantiere, sicurezza di cantiere: AI Engineering, FOR Engineering Architecture
Impresa principale: Italiana Costruzioni
Facciate di vetro e alluminio: Isvip System
Rivestimenti in ceramica: Casalgrande Padana
Mattoni in vetro diamantato: Seves Glassblock
Sistemi a secco: impreMAC
Apparecchiature illuminanti: Castaldi-Norlight
Pannelli acustici auditorium: Fantoni Poltrone
Auditorium: Poltrona Frau
Photos: Ernesta Caviola

Arketipo 116, Sicurezza, novembre/dicembre 2017