“Qual è il posto migliore nel quale esporre delle collezioni di porcellane pregiate?” La risposta dell’architetto Zhu-Pei è folgorante: “Il forno, lì dove sono nate!” Jingdezhen, città del nord della provincia dello Jiangxi, in cui nel 2020 è stato completato il Jingdezhen Imperial Kiln Museum, è da 1700 anni la capitale cinese della cultura e della produzione di raffinate porcellane, prova ne sia che già durante il periodo delle dinastie Ming e Qing da qui venivano esportate in enorme quantità per tutta Europa. I primi insediamenti urbani che dettero forma alla città si svilupparono proprio intorno ai complessi delle fornaci - costituiti da tre unità: le fornaci, i laboratori e le abitazioni - divisi da vicoli stretti e lunghi disposti perpendicolarmente al fiume Chang, dove le porcellane venivano trasportate, e da strade, il luogo del commercio e degli affari, parallele alla lingua d’acqua. I complessi delle fornaci, oltre a definire con il loro disegno l’impianto urbano, divennero un luogo di socialità pubblica. “Nei vecchi tempi, - racconta Zhu-Pei - andando a scuola i bambini prendevano dall’estradosso delle volte dei forni un mattone bollente e lo riponevano nello zaino per sopportare il freddo pungente delle giornate invernali. In estate, quando le fornaci erano temporaneamente chiuse, l’aria fresca e umida al loro interno faceva sì che si trasformassero in un meraviglioso rifugio in cui giocare e socializzare”. È chiaro, sottolinea l’architetto, che la memoria di questi complessi appartiene al DNA degli abitanti e che l’immagine del loro prototipo è tutt’ora scolpita nella memoria collettiva; è quindi dai caratteri del genius loci che Zhu-Pei ha preso spunto per progettare il museo, mettendo in atto un approccio da lui definito “architettura della natura”: “L’architettura della natura - afferma - non è né un’architettura del paesaggio né un edificio verde. Non si riferisce alla natura in senso stretto, è piuttosto un atteggiamento volto a esplorare i principi della natura sottesi all’architettura per trovare la fonte di quei sentimenti impressi nella cultura delle persone. La nozione di architettura della natura si lega ai concetti di radicamento, in riferimento al clima, alla cultura e alla tradizione di uno specifico luogo, e di reinvenzione, ossia la creazione di nuove esperienze a partire dal portato del passato”.

Il Jingdezhen Imperial Kiln Museum è composto da otto volumi voltati, allineati con la griglia stradale orientata secondo l’asse nord-sud, destinati a ospitare spazi per mostre temporanee e permanenti, una sala multifunzionale, uno spazio di carico e scarico, un auditorium all’aperto ma al coperto, una sala per conferenze, un caffè-libreria, una sala da tè, un laboratorio di restauro e degli uffici amministrativi. Simili nella sezione parabolica, ma ognuno diverso dall’altro per curvatura e dimensioni, i volumi lunghi e affusolati riprendono la forma e l’organizzazione su due livelli tipiche delle fornaci di Jingdezhen, ovviamente a una scala differente. Tutti i volumi hanno un’anima resistente in calcestruzzo di cemento armato rivestita nell’estradosso e nell’intradosso con mattoni nuovi combinati con quelli riciclati, le cui diverse colorazioni dipendono dal numero di cotture a cui sono stati sottoposti e dai tipi di vernici colate sulle loro superfici. La scelta di mescolare mattoni nuovi a quelli vecchi trae spunto dalla tradizione edificatoria locale di reimpiegare i mattoni esausti delle fornaci (che ogni due o tre anni devono essere demolite e rifatte per garantire le prestazioni termiche necessarie per la cottura delle porcellane) per costruire case nuove o per pavimentare i marciapiedi della città. L’idea sottesa alla scelta della fornace come riferimento formale di progetto, opportunamente manipolato con operazioni di straniamento, è di ospitare le collezioni di porcellane in uno spazio capace di evocate nei visitatori il ricordo di quello dei forni dove sono state cotte, insieme alle loro qualità tattili e olfattive, e di trasformare quello stesso spazio in un luogo di socialità come accadeva un tempo. Accorgimenti del genere sono considerati da Zhu-Pei una forma di radicamento, che consiste nel riferirsi e nel rimodellare esperienze e tradizioni del passato, reinventandole, evitando però il vernacolarismo e ogni forma di mimetismo, per adeguarle alle necessità del presente. È questa la sua interpretazione di “regionalismo critico”, concetto elaborato da Kenneth Frampton, che tanto ha influenzato il pensiero di Zhu-Pei fin dai tempi dell’università.

Le relazioni fra i volumi sono flessibili, l’architetto definisce il loro rapporto “sciolto come quello tra le foglie cadute a terra in autunno”, perché si aspettava che dagli scavi di fondazione sarebbero emersi dei reperti archeologici, come si è puntualmente verificato, che avrebbero richiesto degli aggiustamenti repentini per poterli ospitare, senza però snaturare l’impianto generale del progetto. Il risultato è una trama permeabile, capace di attualizzare quella dei modelli insediativi storici descritti in precedenza, la cui ricca articolazione spaziale permette di far rivivere nel museo l’esperienza del vagabondare, che, secondo Zhu-Pei, è uno dei caratteri più salienti dell’architettura tradizionale e dello spirito estetico cinese, e che lui ha cercato di riproporre nel modo in cui è possibile muoversi fra spazi del suo edificio, dove il passaggio fra un ambiente e l’altro è fluido, praticamente senza soluzione di continuità, e permette al visitatore di muoversi liberamente. L’ingresso al complesso è a ovest, proprio di fronte al vecchio forno imperiale, da qui, superato il ponte che attraversa uno specchio d’acqua, si entra nell’ampio foyer, dal quale girando a sinistra si accede alla sala per conferenze, svoltando a destra si raggiunge il volume del bar-libreria al quale è accostato quello della sala da tè, che è un volume semi-aperto sulle cui superfici ad arco si riflettono i barbaglii delle increspature dell’acqua dello stagno, mentre un basso taglio orizzontale invoglia le persone a sedersi sul pavimento per contemplare le vestigia del forno imperiale. Procedendo dritti per il foyer si attraversano due spazi espositivi, uno al coperto, ma non chiuso, l’altro chiuso e al coperto. Attraverso diverse scale, presenti all’interno o fra gli otto volumi, si accede alle sale espositive interrate (la scelta di interrarle è stata obbligata, perché il regolamento edilizio prevede che i nuovi edifici, in questa che è un’area storica, non possano superare i nove metri di altezza) che si aprono su cinque corti, una delle quali è occupata dai ritrovamenti archeologici emersi durante gli scavi delle fondazioni. Le corti sono dedicate all’oro, al legno, all’acqua, al fuoco e alla terra; i cinque temi non solo riflettono l’antico pensiero cinese sulla natura, ma si riferiscono anche alle tecniche di produzione della porcellana. Le corti giocano un ruolo strategico perché portano luce negli spazi delle sale espositive, in particolare in quelle interrate. Il tema della luce naturale è stato cruciale nelle intenzioni di Zhu-Pei perché essa è il mezzo per “legare persone, oggetti esposti e architettura”. Oltre che grazie alle corti, la luce penetra nelle sale attraverso: le aperture alle estremità dei volumi; le fessure orizzontali fra le volte poste in adiacenza; i lucernari cilindrici aperti nelle volte, ispirati ai fori necessari per la fuoriuscita del fumo che si trovavano nelle antiche fornaci. Anche quest’ultima soluzione è un rimando al tema della tradizione reinventata che ha improntato tutte le scelte architettoniche e di dettaglio dello Jingdezhen Imperial Kiln Museum.

TRADIZIONE COSTRUTTIVA E INNOVAZIONE
La forma degli otto volumi voltati a sezione parabolica impostati su pianta spanciata al centro e rastremata alle estremità (simile a quella di un trancio di pesce) prende spunto dalla tettonica delle antiche fornaci di Jingdezhen così modellate per far sì che fossero in grado di resistere alla pressione dell’aria quando erano in funzione. Le volte sono state realizzate con una “struttura a sandwich” composta da un’anima in calcestruzzo di cemento armato, necessaria per contrastare le sollecitazioni dei terremoti, rivestita con due strati di mattoni. La sfida più grande è stata trovare il modo più semplice per realizzare le superfici degli otto volumi ognuno diverso dall’altro. Il gruppo di progettazione ha sviluppato delle impalcature mobili, composte da elementi metallici regolabili necessari per estenderle in funzione delle dimensioni delle sezioni dei volumi, che venivano fatte scorrere lungo un binario centrale una volta completato il getto di una porzione di volta. Nel pensare ai volumi del museo, l’architetto si è riferito a una tradizione costruttiva locale. Visto che a Jingdezhen l’estate è calda e umida, i suoi abitanti sono sempre stati abituati a trovare conforto nell’ombra e nella ventilazione naturale, per questa ragione nell’antichità venivano progettati vicoli stretti e lunghi con tetti sporgenti e realizzate delle corti di piccole dimensioni sviluppate in verticale per favorire l’effetto camino. Prendendo spunto da soluzioni del genere, Zhu-Pei ha progettato quella che lui definisce “un’installazione del vento” basata su dei volumi lunghi e affusolati, in grado di favorire la ventilazione naturale per effetto tunnel, combinati con le cinque corti interrate, necessarie per innescare l’effetto camino.

Scheda progetto
Committente: Jingdezhen Municipal Bureau of Culture Radio Television Press Publication and Tourism, Jingdezhen Ceramic Culture Tourism Group
Anno di completamento: 2020
Area costruita: 10,370 mq
Architecture, interior and landscape design: Studio Zhu-Pei
Cooperative design: Architectural Design and Research Institute of Tsinghua University
Design in charge: Zhu Pei
Front criticism: Zhou Rong
Art consultant: Wang Mingxian, Li Xiangning
Design team: You Changchen, Han Mo, He Fan, Shuhei Nakamura, Liu Ling, Wu Zhigang, Zhang Shun, Du Yang, Yang Shengchen, Chen Yida, He Chenglong, Ding Xinyue
Main contractor: China Construction First Group Corporation Limited, Huajiang Construction CO., LTD of China Construction First Group
Consultants Structural, MEP and green building: Architectural Design and Research Institute of Tsinghua University
Facade: Shenzhen Dadi Facade Technology CO., LTD.
Lighting: Ning Field Lighting Design CO., LTD.
Acoustic: Building Science & Technology Institute, Zhejiang University
Photos:  Schranimage, Tian Fangfang, Zhang Qinquan, courtesy of Studio Zhu-Pei

Arketipo 153, Musei, gennaio/febbraio 2022