Gli elementi alla base della filosofia occidentale sono notoriamente quattro: terra, aria, acqua e fuoco. Per gli orientali, segnatamente per il buddismo zen giapponese, oltre a questi elementi ve n’è uno in più, fondamentale: il vuoto. Proprio questa dimensione di “assenza”, al tempo stesso impalpabile e però ricca e densa di senso, è caratterizzante nella ricerca architettonica di Junya Ishigami, che è oggi uno dei più intriganti e originali protagonisti dell’architettura contemporanea giapponese. La sua poetica è inscrivibile nel solco del linguaggio compositivo di ToyoIto, Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa (SANAA) con cui collaborò a inizio carriera, dove le forme geometriche sono elementari ma frutto di notevole complessità progettuale e dove su tutto dominano materiali come il vetro e l’acciaio, rigorosamente verniciato di bianco. Ishigami però, ancor più che i suoi illustri maestri, spinge l’architettura verso il limite dell’utopia costruita. Le sue costruzioni paiono non volere corpo, non hanno “ossa”, si dematerializzano... sono puro spazio. Celeberrima la sua installazione per il padiglione che vinse nel 2016 il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, fragile e poetico, dove il limite tra il costruito e il verde circostante sembra non esistere. Le ispirazioni e le seduzioni da cui parte sono infatti spesso mutuate dal mondo vegetale: piante e giardini divengono un tutt’uno con le architetture che concepisce come se i pattern naturali si dovessero intersecare con quelli artificiali dell’architettura. Lo stesso vale per gli espliciti richiami che l’autore fa a fenomeni atmosferici, come se i suoi edifici fossero “nuvole”, spinto da una continua tendenza verso l’effimero e la sottrazione... di peso, di gerarchia strutturale, sia negli elementi portanti che di chiusura. La forza stessa del bianco (colore della morte per i giapponesi), metafisica e algida, definisce spazi assoluti, che contrastano chiaramente con la vita di chi li popola o del verde circostante in una sorta di yin-yang perpetuo e immanente che rimanda a una dimensione trascendente e metafisica.

KAIT
TOKYO - JAPAN
Gli spazi del Laboratorio del Kanagawa Institute of Technology - KAIT, nella periferia di Tokyo, sono dedicati ai progetti creativi degli studenti e durante il periodo di vacanza si aprono alle attività dei bimbi del vicinato. Vi sono varie aree dedicate alla falegnameria, alla ceramica, alla stampa e all’ingegneria. Tutto è assemblato in un unico volume di 2.000 mq dove la flessibilità e la mutazione operativa sono continuamente possibili: le funzioni determinano lo spazio interno con il loro esplicarsi. In alzato lo spazio è percepibile nella sua totalità e in pianta non è definito da setti o chiusure bensì da una “matrice di punti” che corrisponde alle colonne strutturali. La divisione delle aree operative è definita ma il loro confine resta volutamente ambiguo, evanescente. La flessibilità è, come dice lo stesso Ishigami, “perseguita attraverso la nozione di astrattezza”. Anche se tutti i punti di fondazione paiono “random” in realtà rispondono a un preciso disegno compositivo-funzionale-strutturale a cui l’autore ha dedicato due anni di studio. Ciò che risulta è uno spazio che si moltiplica e varia grazie all’azione e interazione di chi ne fa esperienza, secondo una percezione cinetica e prossemica sorprendenti, dove risulta chiara la volontà di mischiare la percezione conscia e quella inconscia. La “foresta” di colonne d’acciaio, tubolari, verniciate di bianco, tra cui fluttuano gli utenti, sembra perdersi all’infinito: ogni elemento è svuotato di gerarchia strutturale proprio a causa della assidua ripetizione e questo fa letteralmente “volare” la grande copertura in travi d’acciaio proprio come fosse una nuvola e rende interno ed esterno un’unica cosa.

KAIT - KANAGAWA
La struttura del KAIT a Kanagawa è costituita da 305 sottili colonne tubolari d’acciaio, di diverse sezioni e spessori, che disegnano una pianta a forma di parallelogramma su un’area di 2.000 mq. Non sono presenti muri di taglio quindi le colonne, che sostengono un graticcio di travi in acciaio laminato, devono portare sia i carichi verticali che orizzontali. Per ottenere la sottigliezza voluta la copertura è stata calcolata e collaudata immaginando il carico di neve massimo possibile ed evitando fenomeni di flessione e “buckling” delle colonne. La densità degli elementi verticali portanti varia in pianta sia per una ragione compositiva-funzionale che per motivi strutturali e ogni elemento risulta incastrato alle travi orizzontali del graticcio in acciaio. Lo spazio viene sempre totalmente percepito consentendo la visione all’esterno sul bellissimo filare di ciliegi. L’apparente casualità della disposizione e la regola “senza regole” consentono la massima percezione luminosa zenitale e verso la pelle vetrata perimetrale che permettono di creare e operare in grande libertà e comunione con l’ambiente esterno.

Scheda progetto
Committente: Kanagawa Institute of Technology
Superficie: 1.989,15 m2 (total floor area)
Costo: 2.961,346 Euro
Progettista: junya.ishigami+associates
Photos: Junya Ishigami+associates, Giovanni Emilio Galanello

PARK GROOT VISITOR CENTER
VIJVERSBURG, NETHERLANDS
Il Park Groot Visitor Center di Vijversburg, nel nord dell’Olanda, è invece un progetto che si colloca in un parco storico vincolato del Diciannovesimo secolo. La proposta di Ishigami, che comprende il rinnovo e l’estensione della villa storica presente, ha così tenuto conto di tutte le pre-esistenze che sono state mantenute e valorizzate: i giardini, le alberature, gli stagni e la villa. Il nuovo volume, con una silohuette in pianta che ricorda una ypsilon nasce dall’occupazione del vuoto, dell’assenza creata dalle pre-esistenze storiche, come fosse una sorta di pseudomorfosi che risulta dall’estrusione del tracciato dei percorsi esterni. Dalla villa storica il nuovo volume si proietta all’esterno mediante un corridoio che converge, con altri due corridoi analoghi, nello slargo centrale deputato a ospitare varie funzioni. Tutte le pareti laterali di chiusura sono vetrate mentre la copertura è opaca. Questo effetto sembra far levitare verso il cielo il tetto, del quale il pavimento è ombra/impronta. La percezione fluida dello spazio è in continuità con lo spazio esterno del giardino, percepibile a 360 gradi nella zona centrale, ma sono sottili e raffinate anche le distorsioni ottiche, le traslucenze e le opacità create dalla vista dei vetri curvi, secondo angoli percettivi diversi definiti dalla esperienza cinetica dell’utente. Ancora una volta ci troviamo di fronte a uno spiazzamento multiplo: da un lato c’è la realtà della natura esterna con cui si entra in contatto mentre dall’altro c’è la cangiante artificialità effimera della percezione fisica dovuta all’artificio architettonico del vetro strutturale curvo. Di notevole valore è anche l’effetto di dissolvenza dei bordi costruiti, una sorta di“blur” paesaggistico, finemente accentuato da condense superficiali e gocciolamenti presenti sulle frontiere vetrate. La copertura, al cui estradosso è posto del ghiaietto come fosse un sentiero battuto mentre all’interno la finitura è bianca su pannelli di gesso rivestito, è composta da travetti di legno che scaricano su travi d’acciaio (profili UPN). Questa orditura, non più visibile al finito, è portata direttamente dalle pareti vetrate e ciò crea un effetto straniante dove l’assenza del reticolo strutturale verticale si traduce in sensazione estetica di pura trasparenza. I vetri strutturali sono caricati nel loro piano e la forma curvilinea consente anche di resistere come setti di controvento alle azioni orizzontali. Con questo intervento Ishigami riesce a unire e mischiare il parco e la natura con l’architettura, creando un nuovo concetto di “landscape abitato” dove non viene percepita alcuna costruzione architettonica bensì una sorta di scenario geografico in grado di animare di funzioni il parco e la villa storica e dove, in definitiva, l’architettura dell’assenza diviene forte presenza di originalità e di vita.

VIJVERSBURG
La struttura verticale portante del nuovo edificio è totalmente demandata a lastre di vetro curvo, multistrato oat con tempratura all’esterno e lm di PVB di sicurezza, che sono quindi più rigide e stabili anche verso le componenti orizzontali dovute al vento. La copertura, stratificata a secco, è composta da vari strati di tenuta e isolanti che poggiano su un’orditura di travetti di legno. Questi scaricano su piastre d’acciaio che sono saldate a profili di bordo UPN che a loro volta trasferiscono il carico su “bolzoni in acciaio inox” passanti in forature previste nei vetri strutturali. Di fatto queste pareti vetrate sono diaframmi portanti, caricati nel proprio piano “a lastra” che portano i pesi in fondazione scaricando a loro volta su perni metallici passanti che sono “inghisati” nella fondazione in cemento armato. La “sottrazione strutturale” si traduce in sorpresa estetica, in illusione architettonica dove la copertura sembra fluttuare sulla pavimentazione. All’interno dello spazio vengono organizzate attività espositive, convegnistiche, concerti e via dicendo. Dal punto di vista acustico le pareti e il pavimento sono riverberanti mentre tutto l’assorbimento è demandato al controsoffitto a secco, secondo il meccanismo massa-molla-massa, che viene anche trattato con uno speciale intonachino fonoassorbente. Anche dal punto di vista dell’incendio le stratigrafie a soffitto verso l’interno consentono di proteggere gli elementi portanti in legno e acciaio.

Dettagli costruttivi del nodo di interfaccia in copertura e a terra della facciata in vetro strutturale portante. ©Stefano Ravasio

 

Scheda progetto
Committente: Park Vijversburg
Superficie: 245 mq (new construction), 350 mq (renovation)
Costo: 1.250,000 Euro
Progettista: junya.ishigami+associates, Studio Maks
Photos: Junya Ishigami+associates, Giovanni Emilio Galanello

Arketipo 127, Trasparenza, marzo 2019