SCENARI – I prodotti sono sempre più spesso ideati, creati e assemblati in paesi diversi. Per le imprese italiane può essere un'opportunità

Il geodesign è in primo luogo una ricostruzione geografica della vita di ogni singolo prodotto industriale. La gran parte dei prodotti ha infatti oggi una variegata articolazione territoriale, che investe aree diverse del mondo. Capita sempre più spesso che lo stesso oggetto venga ideato, assemblato, prodotto in serie, reso comunicabile, impacchettato, commercializzato e venduto in parti diverse del pianeta. E tutti questi luoghi diversi, come caratteri genetici, in qualche modo lo condizionano, lo plasmano, gli restano attaccati.

Un'opportunità per il Made in Italy
Se è ragionevole pensare che il mercato globale si dividerà tra il neofordismo dei Paesi emergenti,  l'high-tech dei Paesi più avanzati, e le produzioni complesse (che richiedono lavoro creativo e strutture flessibili di risorsa), allora il geodesign rappresenta, per Aldo Bonomi (sociologo che ha iniziato per primo di geopolitica del design), un'evoluzione adeguata per il Made in Italy, essendo una delle risposte del fare produzioni complesse per conquistare spazi di mercato globale. In altre parole, se il Made in Italy non può competere quantitativamente con il Made in China con la sua potenza fatta di numeri e di risorse umane, ed è inadeguato rispetto alla potenza della tecnica e della ricerca americana sull'ICT e sulle nanotecnologie, è meglio imboccare una terza via: quella del geodesign. Per cui, come sostiene Bonomi, non grandi imprese nell'accezione fordista tutta incentrata sul numero degli addetti, ma imprese grandi nel ciclo delle produzioni complesse, dove ciò che conta è la grandezza delle reti di relazione, di competenze, costruzione di saperi, conoscenza dei mercati messi in gioco per reggere la sfida della globalizzazione.

Quali mercati per il geodesign?
Chiarito il significato di questo paradigma si tratta ora di fare alcune considerazioni. Innanzitutto sarebbe opportuno stabilire se dobbiamo ancora fare riferimento a grandi mercati di massa o se, come sostiene Andrea Branzi, «All'interno della società attuale, che chiamiamo post-industriale, i grandi mercati di massa sono scomparsi, essendo stati sostituiti da un mercato policentrico, cioè da diversi mercati settoriali, organizzati attorno a gruppi culturali attestati su linguaggi, tradizioni e comportamenti diversi». Perché se per un verso chiedersi dove, come e perché gli oggetti complessi sono oggi progettati, può contribuire ad analizzare l'aspetto sociale del design, individuare l'attuale destinatario dei prodotti di design rappresenta il primo passo verso un metodo di progettazione più vicino ai diversi scenari che l'epoca della globalizzazione ci prospetta. Quindi, se l'individuazione di un mercato di riferimento condiziona il progetto, la produzione, la comunicazione e la vendita di un prodotto industriale, non si può ragionare in termini di geodesign a prescindere dai diversi mercati settoriali ai quali si fa riferimento.

L'incognita della specializzazione
Un altro tipo di considerazione che possiamo fare riguarda il processo di decentramento delle attività produttive. Siamo passati da una 'produzione verticale', tipica della fase iniziale dello sviluppo industriale, dove per controllare la qualità ogni fase e processo produttivo veniva svolto all'interno della stessa azienda, alla graduale esternalizzazione delle diverse attività che compongono il processo produttivo. Come possiamo osservare in diverse realtà locali, la geografia della produzione nell'epoca della globalizzazione tende a creare zone specializzate. Per cui, se non si ha la capacità di comprendere e controllare i processi tecnici principali elaborandoli internamente all'azienda, il rischio è quello di trasformare le società in delle semplici agenzie di logistica, perché il sapere è stato troppo decentralizzato creando una dipendenza eccessiva dai fornitori.

Il concorso Torino Geodesign
Infine una riflessione, che prende spunto da un'iniziativa promossa da Torino 2008 World Design Capital in collaborazione con la rivista di architettura e design Abitare, che ha come oggetto il concorso internazionale di idee 'Torino Geodesign'. Il concorso ha come scopo la selezione di progettisti internazionali che dovranno affiancarsi alle comunità locali e alle imprese dell'area piemontese per un comune processo di progettazione, realizzazione e commercializzazione di prodotti e utensili complessi, espressione dei differenti stili di vita di un insieme di comunità. In una logica di coesione sociale e culturale, finalizzata a mettere in luce il grande potenziale inespresso del 'design auto-organizzato' e dell'autoproduzione, il concorso 'Torino Geodesign' vuole essere l'occasione per favorire un tipo di progettazione che promuova nuove forme di imprenditorialità e ripensi il ruolo del designer, ponendolo al centro di una rete di relazioni in cui sfumano le distinzioni tra committenti ed utenti.

Le problematiche
Ora, fermo restando che le consultazioni internazionali nell'ambito dell'architettura e del design non sono un ritrovato del Geodesign, viene da chiedersi se un buon prodotto debba necessariamente parlare più lingue. Come dice il sociologo americano Harvey Molotch, «Gli oggetti nascono in rapporto con i luoghi, con quelle che i sociologi chiamano le atmosfere industriali; le particolari capacità creative proprie di un luogo entrano a far parte della natura stessa dei prodotti». In altri termini, se non esistesse una specificità del luogo, i cosiddetti 'distretti industriali', non ci sarebbe un particolare tipo di produzione: le piastrelle a Sassuolo, il mobile in Brianza, i jeans nelle Marche, i filati a Carpi. Come ci ricorda lo scrittore e saggista Marco Belpoliti, «Ogni luogo ha una sua storia specifica fatta di casualità e di contingenza, ovvero di occasioni, ma anche di tradizioni».