Renovation of an apartment in Rome, Italy - Diego Mancini, 12per12

Qualcuno vi ha mai chiesto: “Quanta luce c’è?” a proposito della casa che stavate progettando? Sarebbe domanda legittima, sia da parte di un committente, lui vi paga per un elenco di elaborati in grado di condurre alla costruzione di un manufatto con caratteristiche ben precise, sia da parte di un ufficio tecnico comunale, e pretenderebbe una risposta adeguata al registro dell’ufficialità del rapporto con la PA. Rispondere che la luce è “tanta o abbastanza” non è certo sufficiente (anche ammesso che lo sia davvero). Vediamo di fare chiarezza su come, e soprattutto perché, misurare la luce è parte della progettazione.

La luce naturale è risorsa vitale, eppure in pochi sanno addirittura con quali grandezze misurarla, all’occorrenza. Ora, trasformarci in fisici tecnici non è l’obiettivo della nostra ricerca, ma ignorare del tutto un mondo di riferimenti per raccontare l’architettura tecnica non è più accettabile. Per cominciare, da cosa dipende la quantità di luce presente in un ambiente domestico? Tutti conosciamo le tre componenti del campo luminoso esterno: la diretta (sole), la diffusa (cielo) e la riflessa (da tutto ciò che è all’esterno delle nostre finestre, esclusi il sole e il cielo).
Quando poi la combinazione delle tre penetra l’involucro edilizio, grazie ad aperture e trasparenze, di fatto, si attiva un turbinio di fotoni in movimento (alla velocità della luce, ovviamente) che sbattono contro ogni superficie e contro noi stessi, venendo in parte riflessi e in parte assorbiti, fino a spegnersi (non scompaiono! Semplicemente cambiano lunghezza d’onda, uscendo dallo spettro visibile). La dinamica non si interrompe fintantoché, dall’esterno, continua ad arrivare energia luminosa, a rinnovare il flusso. È un processo in gran parte caotico ma la composizione e la progettazione tecnica ci regalano esempi di perfetta governabilità, ancorché non sempre analiticamente consapevole. Il bello è che in gran parte il risultato, dal punto di vista quantitativo, data la disponibilità delle tre componenti esterne, dipende da due insiemi di variabili che sono sotto il controllo di noi progettisti: soprattutto le variabili geometriche (dimensioni e forma dell’ambiente; posizione, forma, dimensione e numero delle finestre; profondità degli imbotti; giacitura delle superfici trasparenti e loro capacità di “inquadrare” il cielo), ma anche le variabili superficiali (in sostanza, il bilanciamento tra assorbimento e riflessione delle superfici opache, funzione soprattutto del materiale e del colore, e la trasparenza dei vetri).

Le componenti del campo luminoso esterno

Come tutto ciò si misuri, in fase progettuale, è in parte ancora controverso. Non tanto perché manchino le ricerche e gli strumenti (le grandezze di base, la più classica delle quali è l’illuminamento, sono note in fisica già da molto tempo, e i software ormai ci consentirebbero di riempire pagine e pagine di report), ma perché spesso non si capisce quale possa essere l’equilibrio tra la necessità di esattezza analitica e il livello di approssimazione accettabile nella prassi professionale comune. In questo senso, forse ci aiuta la giurisprudenza. L’incontro della fisica illuminotecnica con l’edilizia risale solo alla seconda metà del secolo scorso, per lo meno da noi. È dagli anni sessanta che si inizia a parlare di misurazione della luce in ambito igienico-sanitario, per garantire negli ambienti condizioni minime di salubrità. La circ. Min. LL.PP. n. 3151 del 22 maggio 1967 stabilì che il Fattore medio di Luce Diurna fosse la grandezza “atta a rappresentare le proprietà […] di illuminazione nelle costruzioni edilizie” e ne diede definizione. Il fatto che il FmLD si basi sulla sola luce diffusa, escludendo la componente diretta, rappresenta allo stesso tempo una rinuncia e un’opportunità: è come se dicessimo: “il sole è capriccioso; non sta mai fermo; potrebbe nascondersi dietro le nuvole, o noi potremmo non beneficiarne per un orientamento sfavorevole. Proviamo allora a ragionare solo in funzione del cielo, che è più costante, più democratico! Poi se c’è anche il sole, meglio”. Il D.M. del Ministero della Salute del 05.07.1975 stabilì poi che il FmLD andasse garantito nella misura del 2% minimo, per i locali di abitazione, e contribuì alla messa in atto del provvedimento elaborando una “formula semplificata” per il calcolo, che consente di ridurre il complesso di sistema di interazioni alla collezione di coefficienti e parametri, con un margine di approssimazione che all’epoca era ritenuto accettabile.

Le variazioni che condizionano la quantità di luce in un ambiente - Variabili atmosferiche e spazio-temporali (latitudine/longitudine, giorno/ora, modello di cielo); - Variabili geometriche (dimensioni superfici trasparenti, dimensioni superfici interne, forma ambiente, numero, forma e posizione finestre, profondità imbotti, giacitura apertura - porzione di cielo inquadrata -; - Variabili superficiali (trasparenza dei vetri, riflettanza e specularità superfici interne)

Nasce così una stagione controversa che parte da ottime intenzioni per poi spegnersi correndo dietro alla pigrizia della prassi progettuale e approvativa, prima con le cosiddette “soluzioni conformi” e poi con il concetto di “Rapporto Aero-Illuminante” (RAI) che, senza motivo, unisce illuminazione e aerazione naturale, laddove in tutte le formulazioni tecnico-giuridiche sono tenute ben distinte, sancendo la regressione del processo di calcolo. Ci troviamo, circa 50 anni dopo, ad aver fatto passi da gigante su molti aspetti dell’architettura tecnica e allo stesso tempo a essere di nuovo alla preistoria per quanto riguarda la consapevolezza in ambito illuminotecnico naturale. E non è solo una questione procedurale: a un calcolo analitico, una enorme percentuale di unità abitative, anche di nuova costruzione, non rispetta i parametri minimi di salubrità del 1975 (esatto: non riusciamo a portare nelle nostre case neanche il 2% della luce disponibile fuori!). Il tutto, senza che nessuno sappia o dica nulla: tacciono gli ordini professionali; tace la Pubblica Amministrazione; nicchia l’accademia. L’unico attore che, a volte, si fa sentire è il mercato, quando la sensibilità di chi investe sulla casa alza l’asticella dell’esigenza verso una non meglio identificata “luminosità” come parametro soggettivo di valore. Ma è chiaro che non basta. Il rapporto di tutto ciò con le tipologie edilizie correnti, poi, è problematico: le stanze raramente riescono a contare su più di un fronte disponibile, non sempre ben orientato, e pare ormai imprescindibile contare su profondi balconi e tettoie. L’ottimizzazione degli indici edificatori, gli incastri di funzioni in meno metri quadri possibile e i prezzi folli del mercato immobiliare anche per unità abitative di scarsa qualità hanno generato decenni di appartamenti bui. E certi protocolli di certificazione energetica, che fino a poco tempo fa erano incentrati quasi solo sul contenimento delle superfici disperdenti e sul basso rapporto superficie/volume, hanno dato il colpo di grazia. Ognuno, messo di fronte al problema, ne ammette l’esistenza, ma tutti si giustificano. È chiaro che la luce non è la priorità.
Ebbene, un metodo di lavoro, basato su strumenti, indicatori, linguaggio, è innanzi tutto una chiave di lettura critica della realtà. Ricominciamo dunque a chiederci “quanta luce”, quando progettiamo, e piano piano le risposte arriveranno. Sarà un processo lungo, ma l’essenziale è che il dibattito esca dalle poche sale convegni e si riversi negli studi, nelle aule, negli uffici.

I valori del FmLD in funzione di alcune variabili geometriche, a parità di RAI (1/8)

Software per le analisi illuminotecniche accessibili al grande pubblico ce ne sono tanti. Gli elaborati illustrati qui e negli altri numeri di questo appuntamento tematico sono realizzati con il programma Daylight Visualizer di VELUX per esempio, gratuito e scaricabile. Si scoprirà per prima cosa che il rapporto 1/8 fra superficie della/e finestra/e e superficie della stanza da solo non è garanzia di luminosità (del resto, nasce per l’aerazione, non per l’illuminazione): anche se decidessimo di mantenere questa proporzione e nulla di più, tutto dipende poi da come la interpretiamo. È una finestra sola o sono due da 1/16? Che posizione ha? È libera o coperta, anche parzialmente, da ostruzioni del contesto naturale/edificato o proprie dello stesso edificio (aggetti, volumi laterali, pensiline, balconi)? E soprattutto, quanto cielo “inquadra” la finestra e quanto consente che ne venga visto dall’interno della stanza? È la geometria il grande segreto del daylighting designer; niente trucchi.

Home for Life, Lystrup, Denmark - AART Architect

Potremmo comunque trovarci a constatare amaramente che il nostro progetto ha poca luce e che non possiamo far nulla (ristrutturazione di appartamento in edificio vincolato in centro storico, con budget limitato e committente poco interessato e frettoloso, per esempio), ma in tantissimi altri casi potremmo invece renderci conto che abbiamo margine: potremmo comprendere quanto cambia se spostiamo una finestra (da tetto o a parete) in posizione centrale, o viceversa radente a un tramezzo; se ne aggiungiamo una a bilanciare la monodirezionalità di quella che già è prevista/data. In molti casi, si riesce a far circolare luce attraverso i varchi nei solai delle scale interne, ad esempio tra un ultimo e un penultimo piano; oppure, sfruttando le doppie altezze, far penetrare in profondità l’illuminazione. Può valere la pena rinunciare a una porzione di balcone o tettoia a vantaggio della vista del cielo (che significa più luce); può essere fondamentale, nell’incastro distributivo di un appartamento, che una stanza con più di una funzione (ad esempio cucina-salotto o soggiorno-pranzo, magari con corridoio o scala a vista) riesca ad accedere a più di un fronte, per beneficiare della tanto agognata multidirezionalità. Se per qualche motivo abbiamo la possibilità di aprire una finestra in posizione zenitale, dobbiamo sapere che, a parità di superficie porta dentro più del doppio di luce una finestra verticale (semplicemente, può inquadrare il doppio di cielo o anche più; niente trucchi).

Percentuale di cielo visibile e intensità luminosa in funzione della giacitura dell'apertura

Soprattutto, durante questo processo, passare per una verifica quantitativa (che la prassi approvativa locale lo preveda o meno), significa tenere sotto controllo la reale prestazione e funzionalità dello spazio che faticosamente stiamo portando a compimento, con vantaggi per tutti.