Marmi e pietre – Il Continente nero tra risorse e problemi di sviluppo: un'analisi per cogliere le opportunità del mercato

Le risorse naturali di marmi e pietre sono diffuse ovunque, ma in alcuni casi la loro valorizzazione è tuttora marginale. Da questo punto di vista, parlando di grandi aggregati geografici, l'esempio dell'Africa è rilevante: le ricchezze dei suoi giacimenti sono enormi, ma le strozzature che ne precludono lo sviluppo sono ben lungi dall'essere rimosse. In altri settori, anche collaterali, non è così: basti pensare a quello dei diamanti, in cui la produzione africana, guidata da Botswana e Congo, esprime la maggioranza assoluta (ma, in questo caso, non esiste la parcellizzazione tipica del lapideo, perché le miniere sono gestite in regime quasi monopolistico).

In campo lapideo, le tradizioni africane sono fra le più antiche, come attestano le grandi opere egiziane e il livello molto avanzato che le tecniche estrattive avevano raggiunto in epoca storica. Questo non basta, tanto che la quota di mercato mondiale di marmi e pietre dell'Africa è attestata su livelli marginali. Non mancano paesi di buon livello quantitativo e qualitativo, come lo stesso Egitto, sviluppato anche a livello di lavorazione; e il Sudafrica, titolare di alcune esclusive assai prestigiose. Altrove, però, se si eccettua l'attività di cava in qualche giacimento di alto valore merceologico e cromatico, a iniziativa europea e più spesso italiana, come in Angola, Madagascar, Namibia e Zimbabwe, manca una struttura imprenditoriale di settore che possa definirsi competitiva.

C'è di più: qualche iniziativa mista di verticalizzazione non ha dato i risultati in cui si era confidato, sia per la scarsa affidabilità della manodopera, sia per talune difficoltà contingenti come quelle per l'ottenimento delle concessioni edilizie, per gestire i trasporti e per acquisire tecnologie o pezzi di ricambio.
Negli ultimi decenni si sono organizzate importanti conferenze internazionali per promuovere forme di collaborazione con imprese europee, americane o asiatiche, con il supporto di forti Organizzazioni istituzionali, comprese quelle di espressione Onu, ma alla resa dei conti le difficoltà d'accesso ai giacimenti, la mancanza d'infrastrutture e manodopera professionalmente qualificata, l'incertezza del diritto e l'instabilità politica, hanno finito per esaltare i limiti dell'Africa lapidea, a danno delle sue potenzialità.

A queste mancanze si aggiungono quelle di natura finanziaria; esiste qualche eccezione, come nei paesi dell'Africa mediterranea, in Marocco, Mauritania ed Etiopia, ma si tratta di casi circoscritti che confermano la regola.
Si potrebbe aggiungere che la struttura operativa è rimasta spesso di tipo post-coloniale, sia pure con contributi relativamente apprezzabili per lo sviluppo socio economico delle zone interessate. Tuttavia, il peggioramento della congiuntura mondiale e la progressiva riduzione dei fondi resi disponibili a favore della cooperazione internazionale, soprattutto nel bilancio dei paesi sviluppati dell'Occidente, hanno precluso un ampliamento di tali prospettive.

L'Africa lapidea può aspettare, sia pure suo malgrado, perché possiede riserve di alto valore tecnologico e cromatico, e di forte consistenza quantitativa, destinate a essere valorizzate in una logica di esportazione ma prima ancora nelle politiche locali di sviluppo edile. Tuttavia, sarebbe bene comprendere meglio che queste forme di valorizzazione possono essere, non solo nel campo del marmo e della pietra, un antidoto a flussi migratori indiscriminati e ai problemi che ne derivano nelle economie mature.