Le case degli archeologi nella Valle dei Re
HASSAN FATHY, LE CASE DEGLI ARCHEOLOGI NELLA VALLE DEI RE

Testo di Adele Picone
 
La Valle dei Re al suo grande fascino sospeso tra natura e simbolo, aggiunge nella storia recente la suggestione delle più sensazionali scoperte archeologiche dell'era moderna. Le prime campagne di scavi datano gli inizi dell'Ottocento e da allora si sono succedute intere generazioni di archeologi che qui hanno lavorato, vissuto e costruito le proprie case: nel 1844 la spedizione tedesca a cui probabilmente si deve l'edificazione della casa attualmente occupata dagli archeologi polacchi; nel 1914 la spedizione inglese di Carter - Carnavon, che portò alla scoperta della tomba di Tutankamen (Carter vi lavorava già dal 1907 e costruì la sua casa nel 1910); negli anni '50 ancora una spedizione guidata da un inglese, il Dr. Stopplaere, il quale, impressionato dalle architetture di New Gourna in quel periodo in corso di realizzazione a Luxor, decise di affidare ad Hassan Fathy il progetto della sua grande casa nella Valle. La condizione dell'abitare in un simile contesto gode di un carattere di assoluta eccezionalità, esattamente corrispondente all'eccezionalità del luogo che le architetture si trovano ad interpretare. Nell'isolamento del paesaggio desertico il progetto non può riferirsi ad alcuna regola d'insediamento, che non sia desunta dalla comprensione delle leggi che governano la natura. Cesare Brandi, nel suo libro di viaggio 'Città del deserto', scrive: ed ecco mi era sovvenuto il deserto per farmi intendere come la terra può non essere paesaggio, casa, fiume, mare, e mostrarsi in una fase anteriore alla vita in quanto la sua materia, sassi e sabbia, non conta come materia e supporto della vita la mancanza di limiti, che pure non è l'infinito, l'impossibilità di valutare le distanze e le grandezze, che pure non è perdita di misura interiore, l'assenza di ordine che non è disordine. Il primo tema che il progetto si trova ad affrontare è proprio il rapporto architettura/natura, nella duplice accezione di relazione architettura/suolo e di confronto tra forma costruita e forma naturale. Altro aspetto indissolubilmente legato alla configurazione geografica e morfologica del sito è l'aridità del clima, per cui la necessità di mettere in atto accorgimenti per difendersi dal calore eccessivo, ed il bisogno di selezionare l'ingresso dei raggi solari negli spazi interni, diventano anch'essi dei riferimenti-cardine nella concezione del progetto. Secondo un processo ben noto in architettura la necessità diventa simbolo e acquista valori estetici, traducendosi quindi in forme. Il vocabolario di segni di cui queste forme si compongono è patrimonio di tutto quel complesso sistema di conoscenze tradizionali a cui la cultura egiziana in particolare, e quella arabo-islamica in generale, fanno riferimento. I principi con cui la casa tradizionale interpreta il luogo sono la diretta derivazione di quel bagaglio di millenarie conoscenze ed esperienze, in cui si integrano aspetti sociali, culturali, ambientali e costruttivi. L'applicazione di questi principi tende quasi a configurare un modello di casa per zone aride, codificato nel tempo per successive approssimazioni e sperimentazioni. Le case degli archeologi nella Valle dei Re offrono un'interessante occasione di confronto tra diversi modi di interpretare questo modello: dal grande edificio di chiara impostazione ottocentesca, la casa degli archeologi polacchi, che rappresenta la commistione tra idea dello spazio d'importazione occidentale e tradizioni costruttive locali; alla dimora dell'archeologo rispettoso della cultura del posto, Howard Carter, che si affida completamente a quel sapere popolare tanto che la sua casa sarà l'espressione stessa di quel modello, una sorta di paradigma; all'esempio colto e illustre della casa Stopplaere progettata e realizzata da un maestro dell'architettura moderna, il quale, ponendosi in assoluta continuità con la tradizione, ne fornisce una personale interpretazione.
Queste case sono state commissionate ed abitate da uomini occidentali, ed è interessante notare come l'interazione tra le due culture non si manifesti attraverso la contaminazione delle forme o delle concezioni spaziali, ma nelle questioni di natura strettamente funzionale quali le necessità di maggior comfort interno ed il miglioramento delle condizioni igieniche: gli impianti idrici, i sistemi di approvvigionamento dell'acqua, il funzionamento dei sevizi igienici denotano un intervento da parte del committente. Solo nella casa dei polacchi, sul cui progetto peraltro la vicinanza del tempio di Hashepsut ha certamente pesato molto, l'influenza occidentale entra negli aspetti compositivi. La casa infatti, ponendosi come edificio-muro ritmato dalle ombre di un lungo loggiato, sembra quasi voler mutuare i principi che strutturano l'edificio del tempio. Il disegno simmetrico e bloccato della lunga facciata è contraddetto dal retro dell'edificio: una serie di corpi di fabbrica aggregati a seguire l'orografia della collina, un insieme urbano in forma di piccolo villaggio, frutto di addizioni successive nel tempo con modalità e materiali assolutamente autoctoni.
La sabbia, materia del suolo, diventa il materiale con cui queste case sono costruite: murature, volte e cupole edificate con mattoni di terra cruda essiccati al sole, ottenuti da un impasto di fango e paglia reso plastico dall'acqua e protette da un intonaco costituito da malta di fango. L'assoluta uniformità di materiale tra suolo e architettura, che fa sì che la forma costruita si differenzi dalla forma naturale solo grazie al gioco delle ombre, è uno dei caratteri che accomuna tutte le architetture della Valle, che lega le tombe ai templi e a queste inusuali dimore, quasi a sottolineare come siano tutte costruzioni nate da un unico processo continuo di sapere e di conoscenza. Hassan Fathy così descriveva l'uso della terra cruda: Si lascia modellare dagli operai e dagli artigiani; l'uomo trasmette una parte di sé al materiale, e nel farlo, irradia ed è irradiato, innesca uno scambio con l'essenza della materia che lo rende un uomo migliore. Il principio dell'accrescimento permette una totale interazione tra l'uomo, il materiale e l'ambiente. In completa continuità con la tradizione la casa di Carter adotta, per il controllo climatico, tutti quegli elementi che la cultura arabo-islamica ha codificato nel tempo a partire dagli esempi delle antiche case del Cairo: la corte interna, che funziona come regolatore della temperatura; il malkaf, trappola del vento, torrino che ha la funzione di captare i flussi d'aria esterna provenienti da nord, ed il cui principio risale alle case egizie della diciannovesima dinastia; la qa'a, di antica derivazione irachena, l'ambiente principale della casa su cui insiste una cupola che, attraverso le aperture praticate nell'alta lanterna, la shusheika, aspira l'aria captata dal malkaf innescando moti convettivi negli ambienti interni. L'orientamento, le proporzioni, la disposizione delle aperture, fanno in modo da provocare movimenti d'aria internamente anche quando l'aria fuori è immobile.
Chi ha progettato la casa di Carter ha saputo trasporre tutti questi dispositivi, nati per l'ambiente urbano, alla casa isolata nel deserto. L'impianto planimetrico presenta una divisione netta in due zone: quella residenziale e quella dei depositi per i ritrovamenti. Nella zona residenziale l'ambiente su cui insiste la cupola è il vestibolo posto subito dopo l'ingresso, spazio centrale i cui assi di simmetria reggono tutta la composizione della pianta. Un corridoio conduce alla zona dei servizi, in cui è collocato il malkaf. Ogni stanza è provvista di quattro piccole aperture in alto, contrapposte a due a due, che hanno la funzione di incentivare i movimenti d'aria.La corte è adiacente ad una delle pareti esterne, e si configura come un giardino murato in cui l'albero di palma fornisce ombra e frescura, e da cui è possibile accedere al livello delle coperture. Un complesso sistema di cisterne assicura l'acqua corrente alla cucina e al bagno: la cisterna principale, interrata sotto il pavimento della corte, è collegata, tramite una rete di tubi e una pompa a stantuffo, ad una seconda cisterna collocata in un torrino sul tetto, dalla quale, per caduta, l'acqua viene distribuita ai servizi. Gli impianti di scarico sono invece realizzati con canalizzazioni lasciate poi morire nel deserto.
La casa Stopplaere adotterà per gli impianti sistemi analoghi a questi. Quando Fathy ha cominciato il suo progetto per la casa Stopplaere, ed ha scelto la cresta di quella collina per edificarla, ben conosceva la casa di Carter ed ancor meglio conosceva, per averli a lungo studiati ed in seguito illustrati nel suo libro, Natural Energy and Vernacular Architecture - Principles and Examples with References to Hot Arid Climates, i principi sottesi ai sistemi di controllo ambientale ivi applicati. Fathy non si limita a trasporre gli elementi tradizionali, ma ne fornisce una personale interpretazione dimostrando come, nell'elaborazione del progetto, si riesca a trasformare istanze legate a necessità contingenti in forme di architettura. Essendo la cima della collina fortemente ventilata l'uso del malkaf non sarebbe stato agevolmente controllabile, ed egli ha preferito adottare altri accorgimenti per rinfrescare l'aria all'interno degli ambienti: un maggior numero di corti, in modo che ogni ambiente abbia per lo meno una parete esposta a nord-ovest e da questa possa ricevere frescura, e la realizzazione di murature esterne molto spesse per aumentarne l'inerzia termica. Le bucature esterne distinguono, secondo la tradizione araba, le funzioni di illuminazione da quelle di areazione e di veduta. Quando di giorno le imposte delle finestre sono chiuse, al buio si sostituisce una gradevole penombra rischiarata dai fasci di luce che entrano dagli occhi delle cupole, i quali, oltre ad illuminare lo spazio, con il loro ciclico movimento diurno misurano anche lo scorrere del tempo. Alle quattro corti corrisponde un eguale numero di cupole, a copertura del salone principale e delle tre stanze da letto, tutte munite di fori per espellere l'aria riscaldatasi all'interno.
La casa è così divisa in quattro parti, ognuna delle quali ha un elemento progettuale che la definisce e segnala all'esterno, l'elemento cupola-corte, unità compositiva ed invariante. L'uso della geometria conferisce regola e ordine alla pianta, un rettangolo molto allungato la cui composizione è impostata su due assi ortogonali, che coincidono con gli assi di simmetria della cupola principale. L'essenza di questa casa è nel rapporto che essa instaura con il paesaggio desertico, in tutte le sue accezioni: di suolo, con cui dialoga attraverso il materiale, di forma naturale, per le relazioni che instaura tra la purezza geometrica dei volumi e l'orografia della collina, di luce, di aria e di ambiente.
Lo stesso Fathy scrive: l'ambiente naturale per un Arabo è il deserto. Esso ha determinato le sue abitudini, la sua visione della vita e la sua cultura. Egli è debitore al deserto della sua semplicità, della sua geometria, del suo amore per la scienza, la matematica, l'astronomia, del suo modo di vivere e dei suoi rapporti familiari. Hassan Fathy ha perseguito per tutta la vita l'obiettivo di fornire, attraverso la sua opera, una interpretazione contemporanea della cultura araba nel rispetto della tradizione, recuperandone principi e forme. Sognava di realizzare una architettura specificamente araba, in quanto espressione dell'identità del suo popolo, e il deserto, come forma naturale astratta senza specificazioni geografiche, morfologiche o regionali, è il luogo di appartenenza e di derivazione di quella cultura a cui egli continuamente si riferisce. Il paesaggio naturale della Valle dei Re, non solo per configurazione orografica e morfologica, ma anche per l'immensa eredità culturale di cui è simbolo, rappresenta l'archetipo di quella forma primordiale di ambiente desertico, e la casa Stopplaere la sua trasposizione in architettura.