Mercati – Solo l'India, nel lungo periodo, potrebbe rappresentare una seria alternativa al dominio di Pechino nel mercato asiatico e americano

L'esportazione di beni e servizi dalla Cina ha raggiunto dimensioni galattiche, ma il ventaglio delle destinazioni privilegia in modo determinante un ventaglio ristretto di Paesi, tanto è vero che la metà del valore complessivo è stata appannaggio di cinque soli mercati: nell'ordine, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Stati Uniti e Germania. In campo lapideo, la stessa concentrazione risulta ancora più accentuata: infatti, questi cinque Paesi ricevono il 52,4% del totale, con posizioni fortemente maggioritarie di Corea e Giappone, mentre gli acquisti statunitensi e tedeschi figurano rispettivamente in terza e quarta posizione. Ciò non vuol dire che il resto del mondo non abbia un'importanza determinante, ma in questo caso la parcellizzazione delle spedizioni assume caratteri molto articolati, sia nell'export generale che in quello di marmi e pietre, dove il fenomeno è più accentuato. E' logico che, in questa situazione, gli investimenti di carattere distributivo abbiano assunto il massimo rilievo nel rapporto con i mercati trainanti, anche se l'export cinese raggiunge tutto il mondo, compresi i Paesi più piccoli, nell'assunto secondo cui “chi ha cura del poco, a maggior ragione deve prendersi cura del molto”. Quanto all'Italia, le sue importazioni dalla Cina hanno acquistato una forte rilevanza per quanto riguarda le cifre assolute, ma rispetto ai volumi mondiali sono quasi marginali, ragguagliandosi a poco più di un punto nel traffico complessivo e un punto e mezzo in quello lapideo.

Una concorrenza poco preoccupante
Va notato che le quote di marmi e pietre sono superiori a quelle generali nei soli Paesi europei, ed in misura assai più forte, in Corea del Sud: in tale ultimo caso, per la contiguità geografica e la competitività dei prezzi franco destino che ha determinato la crisi dell'industria lapidea coreana; ed in quello dell'Europa, per l'esistenza di un differenziale di costo che permette di coprire senza problemi la maggiore incidenza dei trasporti. Gli operatori cinesi hanno cominciato a lamentarsi della concorrenza, e in particolare di quella praticata da Paesi contigui come il Vietnam e la Mongolia, dove il costo del lavoro è notevolmente più basso, in specie dopo l'effetto Olimpiadi, che avrebbe indotto una crescita nell'ordine del 20%, innescando una brusca svolta al rialzo. L'affermazione non è priva di fondamento, ma in campo lapideo le conseguenze immediate non sembrano significative: se il prezzo medio dell'export cinese di lavorati raggiungesse i 18 dollari a metro quadrato equivalente, o anche i 20, rispetto ai 16 del 2007, il divario rispetto ai paesi sviluppati dell'Occidente rimarrebbe abissale, mentre le produzioni vietnamite, mongole, laotiane, e via dicendo, risentono della carenza cronica di investimenti e non sono tali da poter impensierire il gigante cinese.

L'India come possibile rivale
Diverso è il caso dell'India, che può costituire un'alternativa forte, a patto che la sua vocazione esportatrice, al momento orientata al grezzo, si evolva verso il prodotto finito e la politica del valore aggiunto. Quanto alla concentrazione, la struttura dell'offerta e della domanda sembra tale da consolidarla, per lo meno a breve e medio termine, se non altro perché Giappone e Corea del Sud, che assorbono oltre un terzo dell'export lapideo cinese, hanno troppa convenienza ad approvvigionarsi di un manufatto estremamente competitivo che ha conseguito progressi considerevoli anche sul piano della qualità, avvalendosi di contributi occidentali, ed in primo luogo italiani, affatto trascurabili. Prevedere che la Cina sia in grado di espandersi ulteriormente anche nell'esportazione settoriale, e che i suoi investimenti vadano a fruire di incentivi calibrati, ma prima ancora, di un prodotto interno lordo che cresce in misura tripla rispetto al tasso mondiale, è fin troppo facile, senza dire che gli operatori sapranno valorizzare gli aspetti positivi della concentrazione, tatticamente maggioritari. Resta da vedere in quale misura l'Occidente, con particolare riguardo a quello europeo, sarà in grado di confrontarsi con questa concorrenza; e da verificare se l'opzione prevalente sarà quella di adeguarsi al comportamento di Corea e Giappone, o non piuttosto di perseguire politiche di specializzazione, di valore aggiunto e di qualità e, in primo luogo, di investimenti.