Tendenze – Nato negli Stati Uniti, il "coworking" si sta diffondendo anche in Italia: tra gli effetti positivi, più creatività e scambi professionali oltre al risparmio

Il primo “coworking” nasce ufficialmente negli Stati Uniti nel 2005 dal bisogno di Brad Neuberg, programmatore freelance californiano e fondatore dell'Hat Factory (primo ufficio condiviso di cui si ha notizia), di lavorare in una comunità senza però rinunciare all'indipendenza. Da allora, il coworking ha cominciato a diffondersi rapidamente in tutto il mondo, sia come spazi creati ad hoc da lavoratori nomadi, sia all'interno di organizzazioni già avviate, come strumento per rendere attivi spazi altrimenti improduttivi e così coprire una parte dei costi fissi.

Nel 2008 arriva anche in Italia: a Roma negli uffici della redazione di 7thFloor (free press corporate su design, comunicazione e business), a Bologna negli spazi dell'associazione culturale LaPillola400 e a Milano con Cowo, nato nel 2009 nell'agenzia di comunicazione Monkey Business. Da quest'ultima è partito Coworking Project by Cowo, una rete che oggi vede affiliati 38 uffici in tutta Italia.

Che cos'è il coworking
Coworking significa lavorare assieme ed è proprio quello che accade in questi spazi condivisi, dove affittando una scrivania più la connessione a internet, ci si trova a lavorare a fianco a fianco con le professionalità più diverse: grafici, esperti informatici, giornalisti, manager in viaggio d'affari, studenti e perfino imprenditori che decidono di avviare e gestire la propria attività in un ambiente dinamico, versatile ed economicamente conveniente. Ciò che li distingue dai business center è la maggiore informalità, l'apertura relazionale e lo spirito di condivisione di chi li utilizza, con un'età media dai 25 ai 35 anni.

Gli effetti positivi
E gli effetti? Da un mio recente studio, è emerso nel 94% degli intervistati un miglioramento della propria vita privata (nel 51% lieve, nel 43% di cospicua entità), dovuto a diverse cause come il riuscire a separare la vita professionale da quella privata, minor stress, la capacità di gestire in modo elastico e autonomo la propria attività e il far parte di una comunità che non di rado sostiene i propri membri. Per quanto riguarda la vita professionale, nella totalità delle risposte pervenute, si è verificata un'evoluzione in positivo della propria condizione grazie alla maggiore visibilità nel mercato, la flessibilità di utilizzo degli spazi in base alle proprie esigenze, l'economicità, l'opportunità di ricevere in tempo reale feedback da punti di vista professionali più diversi e le occasioni di scambio e sviluppo di nuove idee.

I problemi
Ma non sono tutte rose e fiori: gli aspetti lamentati dagli intervistati sono il troppo rumore, la mancanza di privacy citata nel 10% delle risposte, preceduta dalla possibilità di essere distratti, nel 24% dei casi, da fattori come il via vai di gente, qualche coworker indisciplinato o più in generale dal brusio che può esserci in uno spazio aperto (non bisogna dimenticare che si tratta anche di un ritrovo sociale). Dai suggerimenti dati dai lavoratori nomadi che hanno risposto al sondaggio, possiamo tracciare gli elementi essenziali di un coworking ideale, che deve essere composto da un'area aperta in cui lavorare arredata con materiali di qualità, sale riunioni private, area relax dove pranzare e socializzare e infine, zone più riservate dove poter accogliere clienti e fare telefonate senza disturbare o essere disturbati.

* Neolaureato presso la facoltà di Scienze Manageriali dell'Università degli Studi “G. d'Annunzio” di Pescara-Chieti