Importante elemento di completamento per la città di Mestre, luogo emblematico per l’offerta culturale e polo attrattivo per i cittadini e i visitatori esterni, il Museum District M9 progettato dallo studio berlinese Sauerbruch Hutton arricchisce la vita locale e ne stimola l’attività economica per mezzo di attività e servizi collaterali alla proposta museale capaci di ridonare vita a un’area pedonale fino ad oggi inesistente e scollegata dal suo contesto. Impostato su un’area ex-conventuale, il progetto architettonico ha proposto la realizzazione di uno spazio diagonale dalla forte riconoscibilità e di una “piazzetta del museo” attorno alla quale ruotano il nuovo Museo del ‘900, il corpo secondario di dimensione più compatta dedicato alle attività amministrative e di back office del museo e il recupero dell’ex-Convento delle Grazie. La sua collocazione peculiare all’interno dell’assetto cittadino e le opere di recupero e di nuova costruzione si inseriscono discretamente nel contesto preesistente e collegano per mezzo di un percorso pedonale piazza Erminio Ferretto e via Cappuccina, creando di fatto percorsi promiscui interni ed esterni che fruiscono dell’intero lotto senza interrompersi mai. Ed è proprio da un primo sguardo all’assetto urbanistico che hanno preso forma le scelte progettuali successive: il lotto è suddiviso dalla diagonale in due porzioni di forma triangolare; il triangolo maggiore, quello che guarda a via Brenta Vecchia, accoglie l’edificio destinato agli spazi espositivi, mentre sul triangolo più piccolo si imposta il volume di servizio adiacente a via Pascoli.

I due blocchi di nuova costruzione sono raccontati da una volumetria articolata, originata da valutazioni di carattere urbanistico e funzionale, quindi l’attraversamento dell’intero lotto, l’integrazione tridimensionale della costruzione nel contesto e l’accessibilità di tutte le componenti del programma. Il rivestimento di facciata, realizzato da mattonelle in ceramica policroma, rappresenta il carattere preminente dell’edificio. All’accordo cromatico tra le strutture preesistenti del centro storico di Mestre e il nuovo spazio espositivo si contrappongono volumi pieni che definiscono gli ingressi e le rientranze generate dai volumi asimmetrici, questi interamente rivestiti con cemento lasciato a vista e dettagliato da una superficie ruvida e strutturata con venature di legno prodotte per mezzo di casseforme rese irregolari con pannelli di legno tagliati ad hoc. Come fosse una prosecuzione della funzione interna, la scelta del rivestimento racconta in parte la contenutistica museale, che condivide con il Futurismo italiano la fascinazione per il movimento e la velocità come componenti fondamentali dell’orizzonte percettivo contemporaneo, sfruttando il colore come mezzo di percezione dello spazio. Il cemento a vista prosegue anche negli interni, dove il colore si fa ben più misurato e scansito da controsoffitti, rivestimenti acustici a parete e arredamenti completamente costruiti con pannelli o listelli di compensato impiallacciato di faggio. Completa i rivestimenti la pietra naturale di Trachite, originaria dei Colli Euganei, utilizzata per tutte le pavimentazioni, sia interne sia esterne. Al piano terra del Museo sono situati il foyer, la sala conferenze, la mediateca, il bookshop e la caffetteria. Un’ampia scala lunga circa 50 m e illuminata da una finestra continua pone l’attenzione sullo spazio diagonale generato all’esterno del museo, guidando dolcemente il visitatore attraverso l’intero impianto museale.

Le aree espositive permanenti sono situate al primo e al secondo piano e sono concepite come “scatole nere” flessibili di circa 1.300 m² per piano. Al secondo piano, raggiunto il culmine della scala principale, si attraversa un ambiente estruso in lunghezza che ospita i pannelli e gli espositori guida relativi alle mostre. Da questo spazio si accede alla scala che porta al terzo piano, illuminata dall’alto tramite lucernari di grande impatto. Questi diffusori di luce preannunciano l’illuminazione naturale che caratterizza gli spazi espositivi dell’ultimo piano museale, che conta circa 1.200 m², dotati di una copertura a shed orientati verso nord. Questo livello è concepito come una grande “scatola bianca” che si contrappone alle precedenti stanze total black, dalla quale è possibile accedere alla terrazza oppure godere del panorama esterno attraverso ampie vetrate. Tutti i livelli espositivi sono progettati a partire da una griglia strutturale di 9x12 m. Qualora si optasse per una configurazione museale “classica”, la galleria è progettata per essere trasformata in ambienti modulari di 6x9 m, con una superficie minima degli ambienti di 54 m². Grazie a questo modulo tutti i piani del museo possono essere configurati con flessibilità, come uno spazio continuo ripartito oppure come un’unica e indivisa area. I corpi di fabbrica del nuovo complesso museale sono stati concepiti adottando una nutrita serie di misure attive e passive atte a ridurre il fabbisogno energetico e la produzione di CO² facendo uso di fonti naturali e rinnovabili, materie prime e tecniche costruttive ecocompatibili. Tra queste misure vanno segnalate la forma compatta del volume principale e il rapporto tra la dimensione delle aperture e le pareti opache di quest’ultimo, così come l’introduzione del concetto di massa termica, l’ampio ricorso alla geotermia e l’integrazione e produzione energetica fornita dai pannelli fotovoltaici posti in copertura. Per di più, tutto il complesso distrettuale del M9 persegue l’impiego di materiali e processi costruttivi coerenti con i principi LEED, oltre a un sistema di valutazione della sostenibilità edilizia che viene adottato su base volontaria per valutare le performance ambientali degli edifici durante il loro intero ciclo di vita. Queste soluzioni comprovano la comunanza d’intenti del committente e dei progettisti nel privilegiare il risparmio di energia, acqua e materie prime sia in fase di realizzazione sia durante il ciclo di vita degli edifici, l’attenzione espressa nei confronti dei fruitori del centro e dell’ambiente e l’impegno nella riduzione delle emissioni inquinanti e del volume di rifiuti da smaltire.

Il restauro conservativo dell’ex Convento delle Grazie
Il complesso dell’ex Convento delle Grazie, risalente al XVI secolo, è stato più volte rimaneggiato e trasformato per accogliere al suo interno molteplici funzioni, tra cui anche una caserma. In disuso da molti anni, l’edificio si trovava nel momento in cui è stato indetto il concorso in stato di abbandono. Grazie alla rivitalizzazione dell’area, l’intero edificio e annessi, che contano le zone attigue di corte Legrenzi e i fabbricati delle ex cavallerizze, sono stati ristrutturati e trasformati in un vero e proprio distretto commerciale e ludico, oggi rinominato Innovation Retail Center. Il progetto architettonico ha visto restaurare la facciata del ex Convento lungo via Poerio, ora arricchito da spazi commerciali descritti da ampie vetrine al piano terra. I portici del chiostro, anch’essi dotati di vetrine che illuminano lo spazio claustrale, sono stati completati con il resto dell’edificio da un consistente intervento di consolidamento strutturale, che ha previsto il rinforzo di tutti i solai, ha eliminato le barriere architettoniche con l’inserimento di scale mobili e ascensori e ha risolto anche le questioni di sicurezza legate alle nuove normative antincendio. L’idea architettonica ha optato per una chiara differenziazione tra elementi preesistenti e introdotti tramite l’uso dei materiali: i nuovi varchi ottenuti nelle murature portanti sono delineati da una cornice di acciaio, utilizzato anche per la realizzazione delle scale pedonali e per la struttura portante dei vani ascensori, pur salvaguardando il carattere complessivo dell’edificio. Per coprire il chiostro in modo leggero gli architetti hanno disegnato una superficie irregolare immaginata da una struttura primaria di acciaio che sorregge elementi traslucidi. Come fosse il risultato di un movimento tettonico, la forma di questi pannelli sottolinea l’attraversamento diagonale della corte e assicura una buona dispersione acustica. La luce che filtra dalle membrane traslucide offre un’atmosfera soffusa al riparo dal sole, mentre la luce riflessa dal tetto del Convento penetra all’interno della corte attraverso i vuoti lasciati tra le due coperture, aumentandone la plasticità già spiccata dei moduli lattei.

CONTESTO RACCONTATO DA UN ABITO DI CERAMICA POLICROMA
Progettata come fosse un delizioso abito su misura, la facciata di ceramica policroma che corre lungo le quattro facce principali dei volumi costruiti riveste l’anima di calcestruzzo lasciato a vista per fondersi con il contesto dal quale ne desume le tonalità, principalmente riferendosi alle facciate degli edifici e dunque ai mattoni e ai colori dell’intonaco. Alla base della tavolozza cromatica della facciata di ceramica c’è la tecnica del cocciopesto, che prevede l’aggiunta di frammenti di argilla fine o polvere di mattoni alla malta di calce. Ognuna delle 17 tonalità sviluppate per il Museo del ‘900 risulta da una sovrapposizione tra il colore del corpo, ovvero la base in pasta, e il colore dello smalto. Applicando un secondo processo di cottura è stato possibile rendere trasparente lo smalto facendo di fatto brillare il colore del corpo attraverso di esso; questo effetto di sovrapposizione ha conferito alla superficie della mattonella e al suo colore una particolare vitalità. La stessa tonalità di smalto - 13 colori di smalto in totale - è stata applicata a frammenti più chiari e più scuri, più neutri e più rossi, portando a diverse sfumature di colore. Per di più, applicando diversi spessori di smalto i progettisti hanno notato come fosse possibile ottenere molteplici intensità di colore con una conseguente variazione della tonalità. La tavolozza cromatica finale è dunque la risultante di un processo di campionamento del materiale sulla base del quale anche la distribuzione del colore, quindi l’equilibro delle percentuali dei singoli colori e la combinazione cromatica dei singoli elementi in “pixel” più o meno grandi o piccoli, è stata definita dagli architetti in collaborazione con l’azienda produttrice delle mattonelle. Se da un lato la naturalezza del materiale e la conseguente imprevedibilità del risultato cromatico hanno rappresentato una grande difficoltà durante il processo di campionamento, dall’altro lato questa stessa incognita ha portato a un risultato cromatico inatteso e affascinante.

Scheda progetto
Progettisti: Sauerbruch Hutton
Architetto locale: SCE Project srl, Milano
Committente: Polymnia Venezia srl
Design: 2010
Periodo di costruzione 2014 - 2018
Area: 25,600 mq
Design: Sauerbruch Hutton, Matthias Sauerbruch, Louisa Hutton, Juan Lucas Young
Project leader: Bettina Magistretti Project team: David Wegener, Carlos Alarcón Allen, Sibylle Bornefeld, Marc Broquetas Maduell, Giuseppe Castellaneta, Stefan Fuhlrott, Costanza Governale, Stephanie Heese, Philipp Hesse, Anna Hollstein, Rémi Jalade, Jonathan Janssens, Isabelle McKinnon, Emanuela Mendes, Francesca Poloni, Gonzalo Portabella, Tanja Reiche-Hoppe, Nora Steinhöfel, Francesco Tonnarelli, Jörg Albeke
Structural engineering: SCE Project srl, Milano
Facade technology: NBK Keramik GmbH, Emmerich am Rhein
Wood finishes: Pollmeier Massivholz GmbH & Co. KG, Creuzburg
Air conditioning: Tomaselli Engineering, Fontanafredda; Hospital Engineering Group srl, Pordenone
Electrical services: Studio Tecnico Giorgio Destefani, Sesto San Giovanni
Fire safety: GAE Engineering srl, Torino
Sustainability: Ambiente Italia srl, Milano
Photos: Alessandra Chemollo, Jan Bitter

Arketipo 134, Colore, dicembre 2019