Settore lapideo – Gli acquisti della Germania dal nostro paese sono precipitati del 55% in valore nel 2007 rispetto al 1995, per la concorrenza dei paesi asiatici. Unico rimedio è puntare su qualità e specializzazione

L'importazione di marmi e pietre da parte degli acquirenti tedeschi continua a crescere e nel 2007 ha raggiunto un nuovo massimo, pari a 2,6 milioni di tonnellate, superando il volume del 1995 in misura del 16,6% e quel che più conta, segnando un nuovo massimo storico. Nel decennio, ci sono state tre o quattro battute d'arresto, ma il tono sostanziale resta quello di un trend positivo, che conferma la tradizionale dipendenza del mercato locale dagli approvvigionamenti esteri.

Il fatto nuovo è costituito, invece, dal progressivo ridimensionamento dell'import dall'Italia, che sempre nel 2007 si è ridotto a 578mila tonnellate, portandosi ad un nuovo minimo con una flessione del 43,4% nei confronti del 1995.
Ancora peggio è andata al valore, dove il corrispettivo è sceso a meno di 227 milioni, contro i 507 dell'anno di riferimento e, quindi, con un calo superiore al 55 per cento. Qualche tentativo di reazione si è registrato, nell'ultimo biennio, solo nel prezzo medio, dove c'è stato un recupero di 13 punti, ma il livello del 2007 resta inferiore a quello del 1995 di un buon 21 per cento.

Il dato che fa maggiormente riflettere è quello relativo all'incidenza italiana sul totale degli approvvigionamenti lapidei tedeschi: 45,8% nel 1995 e 22,3% nel 2007, passando per il 32,2% del 2001 e il 28% del 2006. Si tratta di una curva in diminuzione costante, che fa pensare all'esistenza di cause strutturali: la qualità del prodotto italiano, a detta degli stessi importatori tedeschi, è fuori discussione, ma la concorrenza è sempre più pressante, specie per alcuni prodotti di serie come i pavimenti.
Qualcosa di simile è accaduto sul mercato statunitense, dove la quota italiana è diminuita in modo altrettanto visibile, ma dove il fenomeno è stato parzialmente circoscritto dalla conservazione delle cifre assolute di base, che in Germania, al contrario, sono state perdute con larghezza.

L'import tedesco, in buona sostanza, continua a proliferare, ma i nuovi protagonisti dell'interscambio sono i paesi terzi, in primis la Cina e l'India, seguite da Turchia e Brasile. Per l'Italia, il regresso degli acquisti tedeschi non è cosa da poco, perché la Germania è stata per lungo tempo il primo mercato di sbocco in volume, soprattutto per gli esportatori settentrionali, le cui imprese sono state notevolmente condizionate dalle esigenze conseguenti di riconversione.
È vero che altri mercati sono saliti alla ribalta, anche nell'Europa orientale, ma la mancanza di un flusso decisivo, come quello a suo tempo diretto in Germania, si fa sentire.

Sarebbe superficiale sostenere che le potenzialità di recupero sono a disposizione di tutti, e che basta investire per portarle a maturazione. Certo, acquisire migliori dimensioni distributive e cogliere le occasioni promozionali offerte dalla Germania, a cominciare dalle fiere, è utile e raccomandabile ma resta difficile competere con chi vende un pavimento di granito a 16 dollari al metro quadrato. Bisogna puntare in modo sempre più convinto sulla qualità, sui prodotti di nicchia, sui fattori professionali e il know-how, anteponendo la politica del pregio a quella del volume e coltivando, in Germania come altrove, le commesse ad alto valore aggiunto. Del resto, su altri mercati, come quello giapponese, da cui l'Italia e gli altri produttori occidentali sono stati in pratica espunti, a vantaggio esclusivo della Cina, è andata anche peggio.

Eppure, l'export italiano, grazie alla specializzazione produttiva, è sempre in piedi e riesce a mantenere le cifre assolute globali, pur dovendo rinunciare a uno sviluppo conforme a quello mondiale. Si deve aggiungere che il mercato tedesco è parte importante di un grande mercato domestico, quello europeo, in cui trovano spazio non marginale le stesse produzioni locali, supportate da un rilevante sviluppo tecnologico, compreso quello d'importazione italiana. Allora, se è vero che l'industria lapidea tedesca riesce a ritagliarsi spazi di qualche rilievo, pur dovendosi confrontare con costi massimi, l'assunto dovrebbe valere a maggior ragione anche per l'Italia. Bisogna ritrovare la fiducia e trarne spunto, se non altro, per qualche buon investimento promozionale.