Settori – Le otto realtà territoriali del lapideo possono trainare lo sviluppo del comparto

Il mondo del marmo e della pietra sta crescendo in fretta, tanto da avere raddoppiato la produzione e gli impieghi nel giro di circa 12 anni: merito dell'avanzamento tecnologico che ha permesso di contenere i costi e di automatizzare ogni tipo di lavorazione, comprese quelle artistiche, nonché della costante rivalutazione del lapideo da parte della progettazione. Non tutti i Paesi, peraltro, hanno progredito in misura proporzionale: alcuni hanno fatto registrare incrementi quasi esponenziali, come nel caso della Cina e di altre realtà asiatiche, mentre altri hanno segnato il passo. Tra i casi di ristagno c'è quello dell'Italia, che ha pressoché mantenuto le cifre assolute di produzione e di esportazione, ma ha visto ridimensionate le sue quote di mercato, sia nel grezzo che nel prodotto finito.

Un rimedio alla scarsa competitività
Le cause maggiori di questa congiuntura sono state analizzate più volte e sono state individuate nella scarsa competitività di alcuni costi, come quelli energetici e finanziari, nella forte parcellizzazione aziendale e nelle permanenti carenze di comunicazione e promozione. Per porre rimedio a questa situazione, che ha bisogno di adeguati interventi anche dal punto di vista istituzionale, sono stati creati otto distretti settoriali, cui altri potranno aggiungersi nel breve e nel medio termine. A parte quelli trainanti delle zone di Carrara e di Verona, non sono stati trascurati comprensori di buona consistenza (Friuli, Lazio, Liguria, Sardegna, Trentino), titolari di esclusive importanti anche dal punto di vista del commercio internazionale. La Sardegna, anzi, è presente con due diverse realtà (Gallura e Baronia).

L'eccessiva frammentazione associativa
I distretti, che si auspica possano impostare azioni comuni di tutela del prodotto in chiave ambientale, distributiva e tecnologica, e perseguire obiettivi di ripresa e ulteriore sviluppo, sono diffusi su tutto il territorio italiano, riguardano un ventaglio merceologico esaustivo che va dal marmo al granito, o dall'ardesia al porfido, e vantano un elevato grado di specializzazione da cui discende, fra l'altro, che non siano tanto concorrenti, quanto complementari. Si potrebbe aggiungere che il carattere ufficiale dei distretti appare in grado di superare un altro fenomeno tipicamente italiano come la frammentazione associativa: al momento si contano non meno di venti soggetti organizzativi, la maggior parte dei quali a carattere locale, che danno luogo a una dispersione di energie tanto più pregiudizievole in condizioni congiunturali difficili come quelle odierne.

Una realtà importante
Gli otto distretti in questione, secondo rilevazioni recenti, possono contare sull'operatività di circa 2.500 aziende, con un'occupazione di 18.300 unità lavorative, pari, rispettivamente, al 29 ed al 37% delle rispettive cifre globali italiane. Gli addetti per azienda risultano 7,4 e superano di oltre un quarto la corrispondente media nazionale (con un livello massimo di 13,2 a Verona, supportato dalla presenza di parecchie imprese di cospicua dimensione, e un livello minimo di 3,3 in Gallura, dove l'attività, prevalentemente estrattiva, è affidata a piccole squadre di cavatori). Si tratta, quindi, di una realtà assai notevole, che costituisce una maggioranza relativa determinante, anche se in altri comprensori si può giustamente aspirare ad analoga attenzione (si pensi ai casi di Ossola, Carso, Valle del Chiampo, Botticino, Travertino Romano, Puglia, Sicilia).

La forza del lapideo  
La logica distrettuale ha dato buona prova in altri settori produttivi importanti, e quindi non c'è motivo di ritenere che ciò non possa accadere anche per il marmo e per la pietra. Occorre, casomai, che dalla fase programmatica si passi tempestivamente a quella operativa, dotando i distretti delle strutture e dei mezzi finanziari indispensabili a portare a compimento un programma di forte valenza settoriale, tenuto conto delle notevoli incidenze socio-economiche e distributive del lapideo (1% dell'occupazione industriale e dell'export).