Edvard Munch (1863-1944), nel donare tutte le sue opere alla città di Oslo - oltre 26.700 fra tele, foto, schizzi e scritti - aveva espresso un’unica condizione: che i quadri venissero ospitati in un nuovo museo dedicato. Consapevoli dell’inadeguatezza del museo di Tøyen, inaugurato nel 1963 ma che poteva fare spazio a un numero troppo limitato di quadri e accogliere pochi visitatori, nel 2008 la municipalità di Oslo ha annunciato un concorso per la costruzione di un nuovo, importante, museo. Venti studi di architettura internazionali e con esperienze trasversali - di questi venti, per esempio, dieci non avevano mai progettato musei di grandi dimensioni - sono stati chiamati a partecipare e nel 2009 la giuria ha annunciato i vincitori: gli architetti spagnoli di estudio Herreros Juan Herreros e Jens Richter. Da quel momento lo studio spagnolo ha cominciato un percorso durato 12 anni e che è riuscito, attraverso l’inaugurazione del Munchmuseet nell’autunno 2021, a proporre un museo che racchiude una serie di novità, sia concettuali e legate alla tipologia stessa, sia costruttive che, non ultimo, legate al percorso seguito dai professionisti durante i 12 anni che hanno portato alla sua realizzazione. Come ha approfondito la mostra in calendario a Barcellona “Lambda Files. The project for the Munch Museum in Oslo”, il progetto per il Munchmuseet ha rappresentato un nuovo modo di fare architettura e che ha avuto origine da un intenso dialogo politico e sociale e dalla collaborazione fra più profili professionali.

Innanzitutto, per affrontare il progetto, estudio Herreros ha subito chiamato un ampio gruppo di esperti provenienti da tutto il monto per comporre una squadra di circa cento persone che mettesse in pratica un metodo di lavoro collaborativo; ma la novità principale è stato il ribaltamento del percorso decisionale che, anziché essere dall’alto in basso, ha riproposto la tradizione norvegese secondo cui le decisioni nascono dopo una discussione fra i cittadini e l’amministrazione. “Gli architetti, così, hanno dovuto imparare ad ascoltare e spiegare anziché convincere e imporre, per mostrare la volontà di non considerare il progetto come chiuso, diventando responsabili e interpreti di una conversazione fra più soggetti, dove non sempre loro avevano il ruolo principale”, raccontano gli organizzatori della mostra spagnola. Questo processo partecipativo è stato declinato in tre diversi modi: da parte dei progettisti formando una squadra di lavoro multidisciplinare e internazionale; da parte dei cittadini partecipando attivamente agli aggiornamenti sul progetto sia attraverso la presenza durante specifici appuntamenti che seguendo i media; a livello politico perché ciascuna decisione relativa al progetto doveva essere approvata dall’assemblea municipale. Dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi, il progetto per il museo, distribuito su oltre 26mila metri quadrati, ne prevede la distribuzione in verticale; il corpo principale del progetto, anticipato da un ‘podio’ a tripla altezza, è alto 60 metri e diviso in 13 livelli - non fra loro uguali - che ospitano diverse funzioni fra loro integrate. A differenza delle scelte compositive passate, Herreros non ha previsto una netta distinzione fra le aree non legate all’esposizione - come la libreria o i punti di ristoro, per esempio - e le sale dedicate alle opere d’arte, ma le ha volute integrare fra gli spazi dedicati alle mostre permanenti e temporanee. Il progetto ha infatti previsto un livello di complessità compositiva alto: mentre si segue il percorso museale si incontrano anche i ristoranti e i café, la biblioteca, il centro ricerche, il dipartimento per l’educazione o gli uffici amministrativi; “questo edificio fa parte della nuova generazione dei musei presenti in tutto il mondo e che sta ridefinendo il concetto di istituzioni culturali, per spostarsi rispetto al concetto di archivio storico e trasformarsi in luoghi di aggregazione sociale, dove ci si può incontrare e, intanto, scoprire e imparare qualcosa di nuovo”, dichiarano i progettisti, che hanno anche sottolineato la volontà di non proporre un museo ‘intimidatorio’, ma un luogo ospitale e accogliente.

Una terza lettura del progetto riguarda il suo rapporto con la città; se, infatti, la distinzione strutturale fra zona statica e zona dinamica, rispettivamente relative al guscio posteriore in cemento opposto alla facciata trasparente, risponde a necessità di contenimento energetico, rispecchia anche la volontà dei progettisti di mettere in relazione il museo con la città e di far sì che diventi uno strumento per avvicinare i visitatori al fiordo e permettere loro di scoprire un nuovo punto di vista sulla capitale norvegese. Occupato fino agli Ottanta dal porto della città, nel 2000 l’area su cui è sorto il museo è stata sgomberata per diventare la Harbour Promenade della città, il cui centro storico si trova più a ovest. Dal 2000 a oggi il progetto di riqualificazione è stato intenso, fino a formare l’attuale quartiere di Bjørvika che, oltre a ospitare il nuovo Munchmuseet, nel tempo ha fatto spazio a una nuova stazione ferroviaria, la Central Train Station, alla Oslo Opera House firmata da Snøhetta e alla più recente Deichmann Library di Atelier Oslo + Lund Hagem (Arketipo 148). A questo lungo percorso decisionale è corrisposto un ampio approfondimento sulle tecnologie costruttive da applicare che, proprio per gli anni trascorsi dall’approvazione del progetto fino alla sua realizzazione hanno richiesto interventi di aggiornamento per rispettare il criterio fondamentale del progetto: costruire un edificio non energivoro e di basso impatto, rispettando i criteri Future Built che impongono una riduzione del 45% sulla propria carbon footprint. Chiave dell’intervento è stata la facciata, che con la sua seconda pelle in alluminio riciclato e perforato garantisce protezione dall’eccessivo irraggiamento, contenendo i consumi energetici, mentre permette comunque ai visitatori di ammirare il panorama sul fiordo.

LE SOLUZIONI PER LA SOSTENIBILITÀ
“Normalità” per la tradizione norvegese da tempi non sospetti e attuale obbligo legato alle normative da rispettare in ambito costruttivo, il Munchmuseet si presenta come esempio di architettura virtuosa, dove ogni tappa del percorso risponde alla volontà e alla necessità di contenere il carbon footprint, di utilizzare la maggior quantità di materiali provenienti da riciclo e riciclabili, e di adottare sistemi di ventilazione e costruzione che seguono i concetti delle Passive House. L’alternanza fra zona statica - la schiena in cemento - e zona dinamica, la facciata in alluminio, è stata pensata sia per poter disporre, nell’area senza finestre, di ambienti adatti a ospitare opere d’arte senza il contributo della luce naturale, sia per mettere in pratica alcune soluzioni legate all’efficienza energetica e costruttiva. La schiena, infatti, è realizzata in cemento con un basso tenore di carbonio e la parte leggera del progetto, invece, considerata dinamica, è realizzata in acciaio riciclato. La struttura portante, inoltre, è stata progettata per avere un’aspettativa di vita di almeno 200 anni. La facciata in pannelli ondulati di alluminio forato con diversi gradi di trasparenza, mentre dà vita a una percezione diversa dell’edificio in funzione dell’ora del giorno e della specifica stagione in cui ci si trova, scherma in modo efficace la luce solare, la riflette e rinfrange anche per evitare eccessivi sbalzi di temperatura. Oltre alle scelte relative strutturali relative ai due prospetti principali, il Munchmuseet, in ambito di sostenibilità, mette in atto anche altre misure: l’edificio, per esempio, è collegato a un impianto di teleriscaldamento e a uno di raffrescamento capace di sfruttare l’acqua del fiordo; dispone inoltre di un sistema di controllo per i consumi energetici e per la manutenzione predittiva. Sempre rispettando questa filosofia, il museo non dispone di posti auto per i visitatori o per il personale: grazie alla sua posizione molto vicina alla stazione ferroviaria e alla presenza di 100 parcheggi per biciclette, l’intervento intende annullare la necessità di arrivarci in auto. Nonostante le proporzioni radicalmente diverse fra i due musei, Estudio Herreros comunica che il nuovo Munchmuseet ha un consumo energetico per metro quadrato inferiore rispetto a quello dell’edificio del piccolo museo precedente di Tøyen.

LA TECNICA COSTRUTTIVA
Il cantiere per il Munchmuseet non è stato privo di sfide: il museo è stato praticamente costruito sull’acqua, come raccontano gli architetti, perché la piattaforma su cui doveva poggiare l’intero progetto si è rivelata essere una ex-discarica, quindi un terreno con una capacità portante molto scarsa e che ha costretto i progettisti a trovare una soluzione alternativa: ancorare la struttura fino al fondo del fiordo utilizzando pali di 40 metri. Composto da due volumi, la torre alta sessanta metri e il ‘podio’ di accesso a tripla altezza, il progetto ha fatto sì che il suo cantiere dovesse prevedere la coesistenza delle due strutture, una costruita in acciaio riciclato e materiali leggeri - arricchiti da finestre molto performanti in termini di isolamento termico - e uno integrato e composto da un guscio opaco in calcestruzzo. Nello specifico, per la costruzione del corpo in calcestruzzo corrispondente alla parte statica pensata da Estudio Herreros è stata utilizzata una cassaforma scorrevole che ha sollevato un volume di 65x20x45 m di altezza in 24 giorni, applicando nell’ambito dell’architettura una tecnologia solitamente utilizzata nel settore della trivellazione petrolifera, area di forte expertise per i tecnici norvegesi e, particolare curioso, messa in atto per questo cantiere proprio nel momento in cui il governo del paese stava votando una moratoria sull’estrazione del petrolio dal Polo Nord. La realizzazione del sistema di climatizzazione ha previsto la presenza di criterio che ha fatto della decentralizzazione la sua efficacia: unità indipendenti di piccole dimensioni sono distribuite in tutto l’edificio, offrendo al contempo versatilità nella regolazione delle temperature per ogni ambiente e, conseguentemente, un più semplice risparmio energetico.

Scheda progetto
Progettista: estudio Herreros, Juan Herreros - Jens Richter
Località: Oslo Bjørvika
Committente: Oslo Kommune, Kultur -og idrettsbygg
Area: 26,300 mq
Superficie espositiva: 4,400 mq
estudio HerrerosProject director: Gonzalo Rivas
Project team: Beatriz Salinas, Carlos Canella, Andrea Molina, Paola Simone, Carlos Ramos, Iván Guerrero, Ana Torrecilla, Alberto Sánchez, María Franco, Raúl García, Frank Müller, Víctor Lacima, Carmen Antón, Ramón Bermúdez, Margarita Martínez, Luis Berríos-Negrón, Spencer Leaf, Verónica Meléndez, Xavier Robledo, Ricardo Robustini, Paula Vega
Architetto locale: LPO Arkitekter
Facciate: Bollinger + Grohmann, ARUP (concept design)
Sustainability: Asplan Viak
General engineering: Multiconsult, Hjellnes Consult, Brekke & Strand Akustikk
ICT: Rambøll Norge
Sicurezza: COWI
Awards: 1st Prize. International Competition by Invitation NAN Award 2012. Best International Project; Urban Project Category Project Award. XI Spanish Biennial of Architecture and Urban Planning 2012; German Design Awards 2020. Special Mention. Architecture Category
Photos: Einar Aslaksen, Iwan Baan - Lambda Files, Adrià Goula, Jorge Queipo

Arketipo 153, Musei, Gennaio/Febbraio 2022