Testo di Carlotta Eco




Nomadic Museum
Testo di Carlotta Eco

SCHEDA PROGETTO

Luogo: New York,
Santa Monica (L.A.), Tokio
Committenza: Bianimale
Foundation
Progetto architettonico: Shigeru Ban Architects
(France), Officina Di Architettura Progetto illuminotecnico:
Alessandro Arena
Progetto esecutivo N.Y.C.: Buro Happold

Progetto esecutivo L.A.: Gensler
Impresa di
costruzione N.Y.C.
: MVN Associates land and water
solutions
Impresa di costruzione L.A.: RMS
Group
Tempi progetto: maggio 2003 -settembre
2004
Tempi di realizzazione: 5
settimane
Superficie costruita temporaneamente: 5.200 mq

Volume costruito mc: 83.200
Costo
complessivo
: 6 milioni di dollari
Costo smontaggio e
rimontaggio
: 1 milioni di dollari
Fotografie:
Gregory Colbert, Officina Di Architettura

Nomadic Museum

Prima e dopo: New York e Los Angeles

Centocinquanta container navali, un tetto e una struttura interna in tubi di
cartone: è questo il Nomadic Museum, un museo itinerante che ospita le opere del
fotografo canadese Gregory Colbert. Già alcune grandi metropoli, come New York e
Los Angeles, hanno ospitato il museo viaggiante, mentre prossimamente è previsto
l'approdo a Tokio. A ogni tappa, i container vengono assemblati e poi rismontati
per costruire la struttura temporanea che ospita la mostra.
Il principale
promotore dell'operazione è la Fondazione Bianimale, un'organizzazione no profit
svizzera che si serve dell'arte per propagandare la preservazione dell'ambiente
e degli fauna animale; secondo quanto stabilito dalla Fondazione, la struttura
espositiva doveva essere costituita da materiali riciclati e riciclabili. Da
qui, secondo il concept elaborato dallo studio milanese "Officina Di
Architettura", nasce l'idea di utilizzare i container navali per la struttura
portante e la ghiaia e il legno per la pavimentazione interna. Sarà poi Shigeru
Ban, giovane architetto giapponese noto per le sue "architetture di cartone" a
progettare il "capannone", con i container a scacchiera, idealmente sorretto da
una struttura interna di pilastri e da una doppia capriata di tubi di cartone.

Il concept iniziale
L'idea di realizzare il Nomadic
Museum è nata in occasione di una mostra di Colbert allestita alle Corderie
dell'Arsenale di Venezia dallo studio "Officina di Architettura" di Milano. Dopo
la mostra, l'artista voleva riproporre altrove lo stesso allestimento: 200 foto
riprodotte su grandi fogli sospesi all'interno di uno spazio con campate da
parecchi metri di altezza. Dato che era impossibile ritrovare uno spazio quale
quello dell'arsenale di Venezia, l'antico cantiere navale del XV secolo, nacque
l'idea di una struttura viaggiante in grado di ospitare la mostra, il Nomadic
Museum appunto. Si decise infine che le mostre si sarebbero dovute tenere presso
i luoghi che, naturalmente, rappresentano il concetto di trasporto: i porti.

I porti
Tuttavia, i porti sono stati scelti non solo per
evocare l'idea di transitorietà e di passaggio bensì anche per motivi
"logistici": il museo, infatti, si sposta via mare. Una volta terminata
l'esposizione, viene smontato e i materiali da costruzione vengono stoccati
all'interno degli stessi container che lo compongono (circa una trentina);
caricati sulle navi, e trasportati attraverso l'oceano sino alla nuova meta.
Infine, i porti costituiscono luoghi di approvvigionamento dei materiali da
costruzione che, di volta in volta, vengono affittati - come nel caso dei
container - oppure acquistati per essere poi rivenduti - come nel caso della
ghiaia e del legno per la pavimentazione degli interni.

Il montaggio dei container

Il montaggio dei container

Il montaggio della copertura

La struttura in cartone interna

L'attacco dei teli in pvc

Muri di container
Unico materiale da costruzione della
struttura, il container viene montato, naturalmente, a secco. I pezzi vengono
caricati uno sull'altro, grazie all'impiego delle gru portuali, e sfalsati
secondo un disegno a scacchiera. Come unico ausilio alla costruzione, i
progettisti hanno fatto realizzare giunti in ferro a sostituzione dei perni
asimmetrici - comunemente chiamati "clic cloc" - che normalmente permettono di
fissare i contenitori uno sull'altro sfruttando le asole di fissaggio poste ai
quattro angoli inferiori (e ai quattro superiori) per stoccarli sulle navi, sui
treni o sui camion.
Il basamento per il montaggio dell'intero edificio, la
platea, è costituita dall'asfalto esistente. Sopra le pareti metalliche
multicolori poggia il tetto in ferro, rivestito in PVC, materiale utilizzato
anche per chiudere gli spazi rimasti liberi tra un container e l'altro e
proteggere i visitatori dalla forza del vento.

I luoghi e il montaggio
Date le dimensioni di questo
peculiare "capannone industriale" sono stati individuati alcuni posti
particolarmente adatti all'allestimento tecnico della mostra/museo, ad esempio
in base alla presenza di un gruppo elettrogeno: a New York si così è scelta la
storica banchina "Pier 54" della zona del porto sull' Hudson River (la stessa da
dove salpavano i primi transatlantici del secolo scorso e dove avrebbe dovuto
attraccare il Titanic). Per quanto riguarda Los Angeles la scelta è caduta,
invece, sul piazzale di un immenso parcheggio.
Di particolare interesse è
stato il montaggio di New York. L'intera costruzione, lunga 200 metri, occupava
quasi completamente la banchina, e mancava quindi l'area di cantiere. Si è reso
necessario così operare con la gru via mare e tutti i container sono poi stati
spostati con l'ausilio dei mezzi di supporto alla logistica navale.

Il montaggio dei pilastri in
cartone

I materiali degli interni

I materiali degli interni

I materiali dell'allestimento interno
Attraverso i
materiali e le luci dell'allestimento interno questa struttura dal carattere
prettamente industriale è riuscita ad acquistare il calore di cui era priva
grazie all'utilizzo di ghiaia, ciotoli di fiume, legno, cartone e carta. Il
criterio di scelta è stato quello di utilizzare materiali riciclati e reperibili
sui luoghi stessi degli allestimenti. A New York, la ghiaia, uno dei materiali
da costruzione più facilmente reperibile nei porti e più facilmente
riutilizzabile, era proveniente dal New Jersey ed è stata usata per ricoprire il
pavimento della mostra insieme a tavole di legno da cantiere. Il colore bianco
dei suoi sassolini ha costituito una quarta scenografica ideale su cui
proiettare, attraverso un gioco di ombre e luci, le sagome nere dei singoli
fogli delle stampe fotografiche. Ma la scelta di materiali non convenzionali
poteva risultare un problema da un punto di vista della normativa antincendio;
anche questa difficoltà è stata superata in modo molto pragmatico, secondo la
logica anglosassone che si basa sulla scelta, operata insieme agli enti preposti
alla sicurezza, delle misure e gli accorgimenti da prendere in relazione al
contesto: in questo caso, il problema è stato risolto con l'utilizzo di vernici
ritardanti di fiamma.
Infine un particolare curioso: un milione di bustine
di tè usate sono poi state incollate a mano fra loro a costituire la tessitura
di grandi teli che fungono da tende. Realizzate in Sri Lanka, adornano l'interno
e, interagendo con la luce, conferiscono all'ambiente un caratteristico, e
caldo, colore ambrato.

LINKS
www.ashesandsnow.org
www.shigerubanarchitects.com
www.officina-architettura.it