Per Vittorio Gregotti

Caro Vittorio, ho appena terminato di leggere la tua “Autobiografia del XX secolo” che ho comprato dopo aver finito “Il mestiere di architetto”: due dei tantissimi tuoi libri - li ho quasi tutti - che ho letto, dovrei dire studiato, a volte con fatica, che riprendo quando sento il bisogno di tornare ai principi della riflessione disciplinare, sull’architettura, sul contemporaneo, in genere sulla vastità della cultura, sui riferimenti alle altre arti, sulla storia. Un patrimonio senza confronto con qualsiasi altro autore.
Ti ricordo come insegnante quando ci ammaliavi con le lezioni sul “Territorio dell’architettura”, quando correggevi i progetti, quando partecipavi ai dibattiti con gli studenti, quando ci sorprendevi con citazioni e riferimenti vastissimi di letteratura, filosofia, arte (da te ho scoperto Saenredam), architettura, e con i tuoi vastissimi ricordi. Ti ho incontrato qualche mese fa quando hai presentato “Scritti per il Corriere 2001-2017”, che ho con una piccolissima dedica scritta con calligrafia tremante: nell’occasione hai detto “basta libri, troppi libri, ho 92 anni”.

Ricordo anche i dibattiti, e se qualche volta mi sono permesso di esprimere pareri diversi dai tuoi, da te ho sempre imparato quello che ci lasci come primo esempio: allargare lo sguardo oltre il particolare, cercare i riferimenti, guardare alla storia (la passione per Alberti distaccato dai cantieri, è significativa) vivere l’architettura come un impegno culturale, leggere, “soprattutto poesia” come insegnava anche Rogers.
Hai diretto per anni Casabella, e Edilizia Moderna, tutti numeri da collezione, hai progettato oltre 1000 opere di ogni tipo e dimensione, di architettura e urbanistica, nel mondo, un corpus unico: come si può classificare il tuo lavoro ? Io apprezzo, a differenza di molti, le architetture della Bicocca, ho visitato anche le tue opere più problematiche, l’università della Calabria -di cui ricordo magnifici disegni, e lo Zen a Palermo. Ma anche tante altre tue opere che resteranno modelli: gli stadi di Barcellona e Nimes, il centro Belèm a Lisbona, il teatro a Aix en Provence, la magnifica sede della Pirelli alla Bicocca, la chiesa a Baruccana, e la nuova città di Pujiang, sempre per imparare e su cui riflettere: non ne ho tratto una sintesi. Ma forse non è necessario, non so se lo avresti voluto, o non ti sarebbe interessato, perchè la tua impronta non è nel linguaggio, ma nell’impegno, nel molteplice, nel complesso, nel vario, nell’universale. Nella condizione di questi giorni non potremo partecipare ai tuoi funerali: ti ricorderemo sempre nella tua vitalità.

Paolo Favole