Se parliamo di luce e ombra immaginiamo due manifestazioni estreme e inconfondibili dello stesso fenomeno, che è la variazione delle luminanze. Una macchia di luce ben delineata, causata dai raggi diretti del sole, o un’ombra netta, ci rendono facile questa lettura. Laddove invece lo spazio esprima valori variabili, sfumati, e il passaggio da alte a basse luminanze sia graduale, come ci regoliamo? Se spostiamo lo sguardo da una sorgente luminosa verso una zona in ombra del campo visivo, qual è il punto in corrispondenza del quale possiamo dire di essere “usciti dalla luce” e “entrati nell’ombra”?
Posta così, la domanda perde di interesse per cadere nel cervellotico. Ha molto più senso chiedersi in che modo possiamo descrivere queste dinamiche e la loro capacità di caratterizzare l’architettura. Il gradiente è questo: la descrizione del passaggio da luce a ombra (e viceversa); l’espressione della modalità con cui questo accade, spostando lo sguardo dalle zone più accese a quelle di intensità minore. Può pertanto essere rapido o lento oppure, detto in un altro modo, stretto o ampio. Se la variazione della luminanza fosse una funzione matematica, potremmo visualizzarne la forma usando gli assi cartesiani: sulle ascisse, la distanza di un punto nel campo visivo dalla sorgente (in cui per “sorgente” intendiamo il punto di massima luminanza); sulle ordinate, l’intensità luminosa del punto stesso. Dato che la luce diminuisce di intensità man mano che ci si sposta dalla sorgente, il luogo geometrico sarebbe comunque una linea (retta, curva o spezzata) diretta verso il basso, ma potrebbe farlo con più o meno rapidità, o scendere improvvisamente, come accade quando visivamente attraversiamo il confine che separa una macchia di luce diretta dall’ombra. Per non indugiare troppo nell’astrattezza, può valere la pena trattare il gradiente per il tipo di effetto che ha, per il tipo di luce che genera, cercando un linguaggio meno analitico. L’architetto Alberto Campo Baeza, nel suo libro L’Idea Costruita (LetteraVentidue, 2012) dedica un intero capitolo alla luce naturale, considerata elemento primario e imprescindibile della progettazione architettonica. Il suo non è il linguaggio matematico-scientifico, ma quello arioso, proprio della materia costruita che incontra la vista. Quando parla della manifestazione provocata dal contatto della luce diretta con una superficie (in particolare laddove la sorgente sia nascosta), si disinteressa della descrizione della dinamica fisica tra elementi, per concentrarsi sull’effetto che il fenomeno provoca nell’osservatore, attraverso la vista. La chiama “luce solida”. Non è una definizione letterale o didascalica, bensì una suggestione legata alla sensazione spaziale. Alla luce solida, così come intesa da Campo Baeza, aggiungeremo la “luce gassosa” e la “luce liquida”, proseguendo sulla stessa linea di lettura, metaforicamente ispirata agli stati della materia.

Luce Solida

La definizione funziona perché racconta di una forma ben definita, nettamente separata dal resto, come se avesse una densità molto maggiore di ciò che la circonda. Il passaggio luce-ombra diventa protagonista ed è dunque ciò che condiziona la percezione, si pensi al Pantheon o alla stanza della vasca d’acqua della Casa Gilardi di Barragàn. Dal punto di vista architettonico, nessun mistero: ogni volta che i raggi diretti del sole sono lasciati liberi di entrare nell’involucro edilizio, attraverso aperture trasparenti, essi colpiranno una superficie. La loro direzione, funzione della posizione del sole, si esprime attraverso la combinazione di due angoli, zenitale e azimutale (la cui piena consapevolezza, ammesso che sia necessaria, può essere garantita dallo studio della mappa solare relativa alla località nella quale si sta progettando). In ogni caso, se il punto d’incidenza è nel campo visivo, l’osservatore vedrà una luce solida. Oltre al passaggio netto fra luce e ombra, questo tipo di luce ha alcune caratteristiche peculiari: la graficità, ovvero la capacità di disegnare forme definite sulle superfici nel campo visivo; la dinamicità, funzione del continuo movimento reciproco tra sole e osservatore sulla terra. Inoltre, la distanza tra sorgenti: se infatti consideriamo “sorgenti primarie” le aperture, possiamo sostenere che le macchie di luce solida, sono “sorgenti secondarie”, ovvero ulteriori “singolarità” dovute alla riflessione, luoghi in cui i valori sono sensibilmente più alti di altri. Solo nel caso di luce solida, le due sorgenti primaria e secondaria possono essere distanti.

Luce gassosa

Ci sono altri modi in cui la luce penetra attraverso un’apertura, o una discontinuità dell’involucro, e si diffonde. Se la componente diretta, per qualche motivo, non ha modo di entrare nel campo visivo, l’ambiente avrà comunque la sua illuminazione, solo diversa. Si prenda, ad esempio, uno spazio in cui la sensazione sia di grande omogeneità, tutto illuminato nello stesso modo, o quantomeno in cui sia difficile individuare particolari picchi, sia di luce che di ombra. È come se la luce, una volta entrata, tendesse a espandersi, fino a occupare tutto lo spazio a disposizione, fino a raggiungere un equilibrio di “densità” stabile, senza concentrazioni. Questo è il tipo di luce che chiamiamo “gassosa”. Una luce gassosa a volte semplicemente avviene, senza che sia ricercata, altre volte è il risultato di scelte precise e delicate: una stanza con sole finestre orientate a nord, avrà per lo più una luce gassosa, sempre che tali aperture siano sufficienti a far arrivare luce in profondità (ricordiamo che condizione per questo tipo di sensazione è il fatto che non ci siano particolari disuniformità nell’intensità). Allo stesso modo, un involucro edilizio con più finestre su più fronti, dovrà essere trattato in modo da escludere dal campo visivo le componenti dirette, affinché la percezione non risenta dei contrasti decisi della luce solida. Potrebbe accadere solo in un periodo, o in un certo orario, o ancora in certe condizioni atmosferiche, il cielo coperto così amato dai fotografi ad esempio. In questo caso, giocheranno un ruolo essenziale le riflessioni esterne, come schermi o pareti circostanti, o a volte la stessa forma dell’edificio, e interne, gli spessori dei muri perimetrali e la profondità delle imbotti. In condizioni di luce gassosa, il passaggio luce-ombra sarà sfumato e lento (gradiente ampio). La luce, in questo caso, non disegna forme, non c’è graficità. Al contrario, poiché il suo protagonismo è ridotto dalla gradualità della variazione di luminanza, ciò che emergerà con maggior forza saranno le superfici architettoniche. Risalterà in particolare il fatto che tali piani siano più o meno incidenti (perpendicolari) rispetto alla direzione prevalente di provenienza della luce, oppure più o meno radenti. In altre parole: se una luce solida aumenta i contrasti e riduce il campo visivo a forme determinate dal solo equilibrio tra “acceso” e “spento”, la luce gassosa tende a enfatizzare la tridimensionalità, attraverso le sfumature e i cambi di giacitura. Infine, un campo di luce solida è molto più statico: con lo scorrere del tempo ci saranno variazioni di intensità, ma non di posizione.

La luce gassosa. 56 Sunrises Dietrich, Klaus, Austria, Untertrifaller Architekten

Luce liquida

Che la luce del sole sia capricciosa e difficile da addomesticare è cosa nota. Ma quando guardiamo il convento de La Tourette di Le Corbusier, La Iglesia de Iesu di San Sebastian di Rafael Moneo, o il Museo di Arte Contemporanea di Cordoba dello studio Nieto Sobejano (per menzionare solo opere contemporanee), scopriamo che arte e tecnica sono state svelate, che qualcuno ne ha dominato i meccanismi. La luce sgorga da forme architettoniche, senza l’arroganza del raggio diretto. È “densa”, concentrata, localizzata. Conseguentemente, l’ombra pesa, ma non riesce a dominare il campo visivo. Protagonista è l’elemento catalizzatore che la mano sapiente dell’architetto ha immaginato, la singolarità che spicca e attrae la vista e il corpo. La luce “liquida” è indiretta, si diffonde, ma non invade tutto lo spazio: viene costretta nella porzione di spazio a lei dedicata, contenuta tra le forme. Si spegne verso l’ombra, molto rapidamente quando ci si allontana dalla sorgente (gradiente stretto). Per questo sembra essere incanalata, direzionata. Allo stesso tempo, però, non disegna forme nette né si muove, rimane docilmente attaccata alle superfici contro cui è compressa. Come i liquidi, sembra prendere la forma del recipiente che la contiene, ma conserva una sua densità, stretta tra riflessioni. Dal punto di vista processuale, la “liquidità” si lega a tre fattori: l’avvicinamento delle superfici al fascio luminoso in ingresso come tecnica; la contrazione del gradiente come indicatore del bilanciamento di luminanze; il peso dell’ombra in quanto condizione prevalente per chi osserva. Il gradiente e le sue tre manifestazioni (che se usati con padronanza possono essere compresenti nel campo visivo), funzionano efficacemente tanto come chiave di lettura di spazi caratterizzati da un preciso equilibrio di luminanze, quanto come strumenti per una progettazione consapevole dell’involucro edilizio nel suo delicato rapporto con la vista.

TUR, Tuerkei, Buyuk Cekmece, die Sancaklar Moschee in einem Vorort von Istanbul, Architektur von Emre Arolat Architects 2014 | TUR, Turkey, Buyuk Cekmece, the Sancaklar Mosque in a suburb of Istanbul, architecture by Emre Arolat Architects 2014