Un progetto di recupero e riqualificazione di un’area dimenticata, siglato da tre grandi firme del panorama architettonico italiano, Sandro Rossi, Edoardo Guazzoni e Paolo Rizzato, per un unico obiettivo: riconsegnare alla città di Milano la sua Darsena.
Arketipo: Quali sono gli obiettivi che vi hanno guidato nella progettazione della Darsena?
Sandro Rossi. In primo luogo volevamo che la Darsena ritornasse a essere porto. Un porto rinnovato e adeguato alle necessità del tempo presente. Inoltre volevamo restituire alla città un grande luogo pubblico. Un nuovo grande spazio disposto al passeggio, alla sosta, agli incontri, allo svago sia sulle sponde che sulla superficie dell’acqua.
Un grande spazio pubblico infine che sapesse introdurre all’interno della città le dimensioni dilatate del paesaggio rurale, del territorio milanese e lombardo. In fin dei conti il senso del lavoro condotto alla Darsena è tutto qui.
Ma anche gli strumenti scelti per perseguire questi obiettivi costituiscono motivo conduttore di questo progetto. All’origine di questo lavoro vi è il Concorso bandito nel 2004 dal Comune di Milano di cui risultammo vincitori. Il Bando perimetrava un’area molto grande che, oltre al bacino in senso stretto, comprendeva porzioni urbane contigue ma differenti fra loro: piazza Cantore, piazza XXIV maggio, l’area della conca di Viarenna. Volevamo che il progetto attraverso l’acqua restituisse unità a quella vasta area, a quell’insieme di porzioni urbane.
Volevamo inoltre che il nuovo grande luogo pubblico venisse definito nel suo carattere, nel suo significato urbano, nella sua unità costruttiva da manufatti tecnici (vecchi e nuovi, grandi opere di arginamento, sponde attrezzate per l’approdo, ponti, chiuse ecc.) destinati a risolvere il rapporto fra l’edificazione e la città con l’acqua. Volevamo che questa scelta divenisse la ragione dell’individualità di questo luogo, ne definisse il grado di necessità all’interno della costruzione urbana. E volevamo soprattutto che questi manufatti tecnici potessero trovare, nel loro insieme, nei loro rapporti, risposte adeguate sul piano dell’architettura.
A questo proposito vorrei ricordare un monumento presente all’interno dell’area, la Porta neoclassica di Luigi Cagnola di piazza XXIV Maggio. La sua motivazione pratica, come è noto e come viene nuovamente esibito dalle trasformazioni operate, è compresa nell’essere soprattutto un ponte costruito per superare il Ticinello. Ma la sua ragion d’essere risiede nella capacità di fornire una risposta rappresentativa sul piano della costruzione a un problema complessivamente urbano – il collegamento tra corso di porta Ticinese e corso san Gottardo e il rapporto fra la città costruita all’interno delle mura cinquecentesche e la città ‘nuova’ e le sue campagne. Penso alla razionalità esaltata della sua architettura, ai suoi dati dimensionali. Per noi quel monumento ha costituito esempio e modello metodologico, vero e proprio leitmotiv di questo lavoro.
A. Quali strutture sono state recuperate e quali invece realizzate ex novo?
S.R. È stato rimosso il vecchio mercato comunale la cui edificazione era in parte sovrapposta alla copertura del Ticinello, il canale che è stato riaperto e che oggi scorre all’interno di piazza XXIV Maggio. La sua presenza avrebbe precluso il rapporto fra la piazza e l’acqua. È stato inoltre abbattuto il bar edificato in prossimità della sede dei Marinai d’Italia che ostacolava l’accesso al bacino da piazza Cantore e ne impediva l’affaccio all’acqua. Tutte le restanti edificazioni presenti nell’area sono state conservate. O, meglio, sono state oggetto, tramite le addizioni previste dal progetto, di una sorta di reinterpretazione. Provo a spiegarmi meglio. La Darsena ha avuto vicende urbane molto complesse e a volte fra loro contraddittorie. I fatti di cui si compone rinviano anche ai diversi passaggi attraversati da questo luogo. Il loro senso (urbano e architettonico) si è modificato nel tempo. Per comprenderne la complessità è forse sufficiente rinviare alle cartografie storiche, alle diverse rappresentazioni che sono state date nel tempo alle mura urbane, alle loro trasformazioni, al loro progressivo abbattimento; o ricordare le rappresentazioni del sistema dei corsi d’acqua che si accostano alle mura e del loro progressivo mutare; o è sufficiente considerare le trasformazioni della vecchia piazza del mercato divenuta, nell’Ottocento, la piazza dei caselli daziari e della porta del Cagnola, e che nel Novecento è stata ridotta a poco più di uno svincolo automobilistico. Il progetto si inserisce all’interno di queste vicende. Ne costituisce l’ultimo (sino a ora) di questi passaggi.
A. Quali passaggi si sono rivelati decisivi per la buona riuscita del progetto?
S.R. Momento essenziale di questo lavoro è stata la definizione della sponda settentrionale. Quella sponda, per intenderci, in cui si sentiva l’assenza delle mura urbane di cui si erano riportate alla luce le fondazioni con gli scavi archeologici eseguiti prima dell’avvio del cantiere. Con il progetto decidemmo di costruire un muro di sostegno continuo destinato a risolvere il rapporto fra il livello della città e il piano ribassato delle banchine contigue all’acqua. Si conformò una sorta di opera di arginamento estesa da piazza Cantore sino a piazza XXIV Maggio. Un grande argine (e non quindi una semplice evocazione delle mura) che, come le vecchie mura spagnole abbattute, tornava a disegnare l’assetto complessivo della Darsena. Un manufatto che rinviava altresì ad aspetti di quel territorio e di quel paesaggio irriguo a cui il grande luogo d’acqua era connesso. Ricordo i tempi dei completamenti successivi delle banchine e delle loro pavimentazioni, delle rampe e delle scale che attraversavano il nuovo argine, rivelandone lo spessore. Ricordo i tracciamenti delle variazioni a quell’ordine imposto all’assetto della sponda: i ritrovamenti e le ricostruzioni in prossimità della conca di Viarenna, le interruzioni delle gradonate, le curvature che disegnavano un bastione divenuto pennello e le edificazioni metalliche di servizio che vi si accostavano scandendone le parti. Era sempre più chiaro che non si trattava unicamente del ridisegno di una sponda. Se ne avvertiva sempre più la necessità su di un piano formale e complessivo.
A. Come avete affrontato la questione del verde?
S.R. Non come una questione in sé. La Darsena è un porto, non è un giardino. È luogo in cui la vita urbana sembra essere sospesa per dar spazio a un paesaggio che, con la presenza dell’acqua, è sicuramente anche naturale. Ma non è propriamente un luogo vegetale. Il verde in questo caso partecipa alla definizione del progetto, ne completa aspetti: contribuisce a disegnare la sponda settentrionale, lungo viale D’Annunzio, parallelamente al muro d’arginamento ricostruito, con l’integrazione dei bagolari (Celtis Australis) mancanti; contribuisce a disegnare la sponda meridionale con un nuovo filare continuo di nuovi bagolari. Oppure è frattura, sospensione, incrinatura forse, dell’ordine minerale prevalente: riconoscibile nei platani che hanno completato le sistemazioni neoclassiche di piazza di Porta Ticinese, nelle sistemazioni palustri, danneggiate oggi dai modi della frequentazione dell’area, che il progetto aveva previsto in prossimità di piazza Cantore. Lo ritroviamo infine nelle aiuole o nei rampicanti che, con il tempo, potrà contribuire a disegnare, assieme alle sponde, i limiti, il recinto di questo luogo separato dalla concitazione urbana.
A. E finalmente il ritorno delle acque..
S.R. Il ritorno dell’acqua, dopo anni di abbandono, di secca forzata, era la condizione essenziale su cui si fondava il progetto. Tutto il progetto è stato definito per poter assolvere a questo compito. E non solo in vista delle ragioni portuali a cui questo luogo è destinato. Navigando sui Navigli, durante la redazione del progetto, abbiamo verificato la navigabilità del bacino, l’adeguatezza delle sue dimensioni per le manovre che le imbarcazioni devono compiere. Navigando, ci si muove tra alte sponde, in uno spazio separato dalla concitazione urbana. Si naviga su una materia fluida in cui si muovono anatre, nuotano pesci. L’acqua che scorre proviene da molto lontano, si connette ad altri luoghi d’acqua; richiama la presenza a distanza di altri paesaggi, di altre esperienze. È rinvio a una dimensione, a un insieme di relazioni, diverse, alternative a quelle che sperimentiamo quotidianamente all’interno della città. In fin dei conti volevamo che la Darsena tornasse a essere evocativa di tutto questo: nei dati dimensionali derivati dalle dimensioni del bacino, racchiuso da opere di arginamento, scandito dalla presenza di manufatti tecnici e da edifici metallici protesi sull’acqua. Dati dimensionali e manufatti che riportano all’interno della costruzione urbana il senso, le misure, il carattere di esperienze depositate nel territorio milanese e lombardo. Ma soprattutto per continuare a suggerire, attraverso l’acqua, i temi di un possibile riassetto, di un possibile ridisegno complessivo esteso all’intera città e al suo territorio.