Rame-Bronzo-Piombo-Stagno

Autore testo: Giuseppina Clausi

Il rame, oltre ad essere un metallo largamente utilizzato, è sicuramente quello che presenta il maggior numero di prodotti di alterazione. Questi saranno propri, oltre che dei manufatti in rame, anche di quelli in bronzo, di cui il rame è un componente insieme a stagno e piombo, e si possono suddividere in 4 grandi gruppi: cloruri, solfati, ossidi e carbonati.
Gli ossidi (tenorite, cuprite) rappresentano una delle patine più frequenti soprattutto sul bronzo; sono considerati patina nobile perché producono un bell'effetto, e per questo motivo sono spesso provocati intenzionalmente.
Nel caso so presentasse la necessità di asportarli, risultano solubili negli acidi e nelle basi, ma bisogna tenebre presente che tali sostanze intaccano il nucleo metallico e sono quindi da utilizzare solo in casi estremi. E' da ricordare invece che l'acido solforico, diluito in acqua al 10%, non intacca il metallo ma solo la patina.
I carbonati (azzurriti, malachiti) si presentano sotto forma di incrostazioni cristalline e sono più che altro presenti su manufatti provenienti da scavi. Sono anch'essi considerati una patine nobile e svolgono una funzione protettiva nei confronti del metallo sottostante: andranno quindi al massimo ridotte tramite mezzi meccanici (bisturi, microtrapani, ultrasuoni), ma mai asportate, soprattutto in presenza di pustole, in corrispondenza delle quali si trovano spesso crateri o fori.
Inoltre la rottura di queste pustole può generare l'attivazione energica di nuovi processi localizzati di degrado.
Se fosse proprio indispensabile un intervento chimico, come può accadere nel caso dei bronzi dorati, quando si voglia liberare l'oro dai depositi superficiali di sali di rame, si possono impiegare soluzioni di sale disodico dell'acido etilendiamminotetracetico in varie concentrazioni, dall'1 al 10 % in funzione delle esigenze. Oppure si può effettuare un trattamento con i sali di Rochelle: in mezzo litro di acqua fredda si sciolgono 30 g. di soda caustica e 90 g. di tartrato di sodio e potassio (sali di Rochelle). Poi si prepara un'altra soluzione di acido solforico al 10% mescolando gradualmente 60 g. di acido solforico concentrato in mezzo litro d'acqua; bisogna ricordarsi di versare sempre l'acido nell'acqua perché l'operazione inversa genera, da parte della soluzione, reazioni molto violente con bolle e schizzi. La prima soluzione, applicata per impacco, dissolve i carbonati di rame lasciando, intatti gli ossidi, i quali vengono sciolti dalla seconda soluzione, usata invece con tamponcini d'ovatta; i tempi di reazione variano a seconda della tenacità e dello spessore della strato da rimuovere. Si devono concludere questi interventi sempre con un intenso lavaggio, in acqua deionizzata, per eliminare i residui delle soluzioni saline impiegate. Questi due trattamenti chimici hanno il vantaggio, rispetto ad altri, di essere facilmente controllabili poiché agiscono lentamente. Per pulire le superfici poco incrostate dei bronzi dorati si possono anche impiegare le resini scambiatrici di ioni, che sono polveri composte da polimeri sintetici di granulometria variabile, in grado di effettuare scambi ionici con cationi e anioni del materiale calcareo da asportare, favorendone la decomposizione.
Per i cloruri (atacamite, nantokite) è invece necessaria la rimozione, perché sono forti attivatori di corrosione. Se la corrosione è solo superficiale, l'asportazione verrà fatta meccanicamente con bisturi e microtrapani, oppure con metodo elettrochimico, avvolgendo il manufatto in carta d'alluminio e immergendolo in acqua calda da 30' a diverse ore, terminando l'operazione con una spazzolatura.
Si può anche verificare il caso in cui il manufatto sia già interamente mineralizzato, nel qual caso non è più da temere un progredire del fenomeno corrosivo.
I solfati, sempre presenti sugli elementi in rame e bronzo esposti all'aperto, hanno la particolarità di presentare patine polverulenti, che vanno eliminate con spazzole e microtrapani, lasciandone però una strato sottile aderente al metallo.
Lo stesso sistema è da adottarsi in casi di alterazione di oggetti in piombo; sia che presentino una patina costituita da carbonati di colore grigio-bianco, la cui consistenza è tenace, ma che si distacca lasciando una superficie lucida; sia che si tratti di corrosione, soprattutto solfati.
Per quanto riguarda lo stagno, è raro imbattersi in manufatti in stagno puro, semmai si possono trovare superfici stagnate che andranno pulite con un panno e al limite con un leggerissimo abrasivo.
 
Fonte testo:
G. Carbonara, Trattato di Restauro Architettonico, Torino 1996.