Tra i molti aspetti che affascinano in Beirut, vi è sicuramente anche quello di essere un luogo ricco di storia e stimoli; una città colta nata dall’incontro e dalla compresenza di differenti culture, un crocevia secolare tra Oriente e Occidente. Non a caso, è una capitale ricca di atenei universitari, anche plurisecolari, pubblici e privati, tra cui alcuni anche di alta caratura e livello internazionale riconosciuto. Fondata nel 1875 dai Gesuiti, la USJ, l’Université Saint-Joseph, università libanese privata francofona, oggi è presente in quattro campus su altrettante città del Paese e raccoglie tredici facoltà a cui se ne aggiungono diciassette, tra scuole di specializzazione e istituti, a loro abbinate. Amministra anche l’ospedale universitario, l’Hôtel-Dieu de France, e le sue facoltà coprono vari campi, dalla medicina alle scienze politiche e sociali, dalla giurisprudenza all’economia, dalle lettere alle scienze, fino all’architettura e ai principali rami dell’ingegneria. Nel realizzare l’ultima estensione dell’ateneo, il “campus per l’innovazione e lo sport”, inaugurato nel 2011, la USJ chiese ai progettisti di pensare a un luogo aperto alla città in cui le persone si sentissero libere e stimolate a confrontarsi, come è nella missione di questa università sin dalle parole del suo inno “…vuole essere un luogo di incontro, nel rispetto delle differenze, a tutti i livelli di conoscenza, culti e credenze”. Gli architetti, i 109 Architectes e Youssef Tohmé, risposero alla richiesta ideando un campus che vuole avere un’impronta contestuale, al fine di “integrarsi fisicamente, culturalmente e storicamente con il tessuto urbano circostante” ma anche con quello, più in generale, della città di Beirut. L’area di progetto è collocata in una zona centrale posta sulla vecchia linea di demarcazione che durante la guerra civile divideva la città tra la parte orientale cristiana e quella occidentale musulmana. In questa zona dove purtroppo oggi non si è conservato praticamente nulla dell’antica struttura urbana, oggi vi è un quartiere a forte presenza diplomatica e alta sicurezza, localizzato nei pressi di Rue de Damas. Il sito è caratterizzato da un tessuto fortemente eterogeneo, per tipologia di costruzioni, periodi di realizzazione e funzioni, affacciato su un importante incrocio cittadino tra le arterie di Damascus, Pierre Gemayel e Abdallah El Yafi, circondato da edifici simbolici quali il Museo Nazionale, il Palazzo di Giustizia, l’Ambasciata di Francia, la Sicurezza Nazionale, il Centro Culturale Francese, il Ministero della Salute e l’Ippodromo. Nel confrontarsi con tale contesto i progettisti scelsero di realizzare una cittadella, un blocco urbano unitario e compatto, riconoscibile e identitario, dotato quindi di una presenza in linea con quella degli importanti edifici del quartiere, ma al tempo stesso anche caratterizzato da ampi vuoti scolpiti, aperture e varchi, fori e passerelle aeree, a renderlo un luogo aperto, urbano e accessibile. Il risultato finale è un complesso che riesce a essere ambivalente: monumentale e aperto al tempo stesso.

Come una scultura a scala urbana, il campus è composto da tre edifici, che appaiono però ancora più frammentanti in sei blocchi separati inframmezzati da vuoti in cui si costruiscono molteplici punti di vista, reciproci e verso il quartiere e la città. Il complesso diventa così estremamente permeabile e dinamico, con diversi punti di accesso a piano terra, come se si passeggiasse tra edifici diversi in un quartiere, che convergono tutti verso una corte interna e su cui si affacciano i diversi blocchi. Come una nuova piazza pedonale del quartiere, questo spazio è il luogo di incontro principale per la comunità universitaria ed è un’area ospitale organizzata attorno a uno specchio d’acqua ornamentale, sedute, caffetteria e uno scalone scenografico che può fungere anche da grande auditorium all’aperto. La scala esterna, oltre a essere un elemento di connessione tra gli spazi e le aule ai vari livelli del terzo blocco, ha anche la funzione di estendere lo spazio di incontro a livello strada fino alla terrazza paesaggistica che occupa tutto il piano delle coperture, su cui sono realizzati spazi panoramici per la socialità e l’incontro, affacciati sulla città, aree verdi, un ulteriore auditorium all’aperto per lezioni in esterni, un bar, un campo da basket e l’ingresso alla piscina. Lo spazio a uso pubblico diventa quindi protagonista, estendendosi anche in verticale e ricreando all’interno del campus un ambiente pedonale che richiama e ricorda gli spazi aperti più tradizionali di Beirut. In una città che a causa della guerra ha perso gran parte dei suoi luoghi pubblici, il progetto della USJ sceglie di affermare la necessità di ricostruirli proponendone uno nuovo, nel cuore del campus, con un carattere calmo, protetto dai rumori della città e pedonale. I volumi e le funzioni, volutamente, sono sovrapposti, intersecati e collegati, con la volontà di dar vita a nuovi usi e nuove possibilità che possono nascere da interazioni casuali e impreviste tra utenti diversi. La piazza, la scalinata, la copertura abitabile, le passerelle aeree di collegamento tra i volumi, le connessioni visive, sono tutti elementi che vogliono stimolare l’interazione e l’incontro tra le persone. Il blocco più a sud è caratterizzato da un materiale in contrasto rispetto agli altri; è infatti rivestito in policarbonato traslucido, contiene le strutture sportive sovrapposte l’una all’altra ai vari livelli e la sera diventa una lanterna dinamica che mostra alla città le attività che si svolgono all’interno. Il secondo blocco ospita l’auditorium principale al livello del terreno, con una grande vetrata che connette visivamente gli spettatori con la piazza interna, sopra al quale vi sono sale per musica e seminari e una cappella in sommità. Il terzo blocco, a nord, contiene le aule, la biblioteca, diversi laboratori e un ristorante in copertura.

Uno degli elementi che colpisce maggiormente nella USJ è il progetto relativo alla luce naturale o, meglio, il rapporto tra la luce e le ombre profonde che i volumi scolpiti, i tagli e i fori nelle facciate generano in tutte le parti del campus. La forte luce del Mediterraneo, elemento essenziale dell’architettura orientale, è qui enfatizzata dall’organizzazione dei volumi e anche dai profondi fori in facciata ispirati alle tipiche mashrabiyya, griglie tradizionali per la ventilazione naturale diffuse nell’architettura dei paesi mediorientali, qui reinterpretate anche come elemento che crea contrasti tra luce filtrata e ombre. Tali cavità aumentano, sia fisicamente che psicologicamente, la profondità dell’edificio. Il calcestruzzo a vista, in questo come in altri progetti a Beirut di cui abbiamo già avuto modo di parlare, è un materiale che dona al campus, oltre a una buona inerzia termica che rende piacevole il microclima naturale sia negli spazi aperti che in quelli interni, anche un’importante funzione identitaria. Una voluta artigianalità e “umanità” è stata ricercata e perseguita. Le strutture, ma soprattutto le complesse facciate forate, realizzate in opera in calcestruzzo armato a vista, sono il frutto della sapienza manuale delle imprese costruttrici locali e sono uno degli elementi caratterizzanti l’idea progettuale. In questa ottica, anche il colore del calcestruzzo varia leggermente sulle diverse facciate, rendendole così un po’ più “imperfette” e quindi aumentandone l’aspetto emotivo e artigianale, poiché la sabbia utilizzata è stata cambiata nel corso dei lavori, passando dal colore bianco al rosato, modificando leggermente l’aspetto finale nei vari blocchi.

CALCESTRUZZO ARTIGIANALE, FORATO E COLORATO COME ADESIONE AL LUOGO
Come abbiamo già avuto modo di osservare in altri edifici di qualità realizzati a Beirut da architetti contemporanei, anche nella USJ il calcestruzzo rappresenta uno degli elementi essenziali del progetto. In una città in cui l’uso della pietra naturale come principale materiale da costruzione è stato per molto tempo la norma, l’avvento del calcestruzzo venne accolto da subito favorevolmente tanto da diffondersi con rapidità in modo capillare. Nel caso della USJ il calcestruzzo è stato utilizzato come se i volumi fossero dei blocchi di pietra, spezzati e poi separati, a mostrare la loro monomatericità e compattezza. Le facciate che corrono sui quattro lati di ogni blocco risultante sono state ulteriormente trattate in modi diversi: lisciate, rigate, bocciardate, modificate con tagli e fori e, grazie al forte spessore, affermano un carattere grave e massiccio. Nel loro aspetto scultoreo e fuori scala, non consentono volutamente una lettura tradizionale dell’edificio in cui la facciata rivela la funzione degli spazi retrostanti ma, al contrario, danno un carattere unitario originale a una sorta di nuovo paesaggio artificiale che appare a tratti in alcuni punti, al tempo stesso, paradossalmente anche “leggero”. Per realizzare elementi in grado di trasmettere tali sensazioni i progettisti, in collaborazione con l’impresa di costruzione e gli artigiani locali, hanno fatto diverse prove, con casseforme, tecniche di colata e composizioni diverse di calcestruzzo, ottenendo un risultato di non semplice realizzazione e forte impatto visivo, frutto della maestria di chi lo ha realizzato in loco. La inevitabile “imperfezione” che vi è nel risultato finale, che evidenzia in modo immediato la lavorazione artigianale, è stata fortemente desiderata dai progettisti che non volevano una soluzione a grandi pannelli prefabbricati, ritenendo che “si sarebbe perso qualcosa” se fosse prevalsa un’immagine più industriale e seriale. La “umanità” nell’uso di questo materiale la si ritrova anche nel colore, che non è costante e unico ma varia nelle diverse facciate, poiché in alcuni punti tende più al rosa in quanto la cava che forniva la sabbia bianca utilizzata nelle prime fasi di costruzione cessò l’attività e la nuova sabbia importata dalla vicina Cipro aveva un pigmento molto più rossastro. Secondo i progettisti, tale imprevisto è interessante e lega ancora di più il progetto alla realtà di Beirut e del luogo, una città in cui le condizioni cambiano spesso in modo imprevedibile e la capacità di adattamento e reazione diventano elementi caratteristici che, in questo caso, sono rimaste leggibili anche sulle facciate degli edifici e ne hanno aumentato ancora di più il loro carattere “umano”.

UNA STRUTTURA MASSIVA AD ALTA RESISTENZA
Il complesso dell’USJ è suddiviso in tre edifici fuori terra, che sono però uniti tra loro nei cinque livelli interrati comuni. Le strutture portanti e le facciate sono interamente realizzate in calcestruzzo portante realizzato in opera, materiale scelto per vari motivi. Oltre alle già citate considerazioni di carattere architettonico, gli ingegneri strutturisti hanno privilegiato tale scelta essenzialmente per motivi legati all’economicità rispetto a una soluzione in acciaio, per la disponibilità di materiale e lavoratori esperti in luogo nonché per la buona resistenza al fuoco. I piani interrati scendono fino a una quota di 17 metri rispetto al piano stradale per cui, trovandosi soggetti alla spinta dell’acqua di falda che a Beirut sappiamo essere a una quota alta, il volume sotto terra dell’edificio è stato realizzato come una scatola rigida di calcestruzzo con peso elevato, in grado di controbilanciare tale forza. Le fondazioni sono conseguentemente state realizzate con una platea priva di giunti al fine di aumentarne la rigidezza. In tutti i piani interrati, dedicati ai parcheggi, sotto tutti gli edifici, la maglia dei pilastri in calcestruzzo è una griglia con passo 7,5 metri. L’edificio “A”, con gli impianti sportivi, ha grandi luci tra i pilastri per consentire la presenza della piscina e dei campi da gioco, con un passo massimo di 27 metri. Gli altri due edifici, il “B” dedicato all’amministrazione e il “C” dedicato alle aule, hanno griglie più fitte, con il “C” che essenzialmente ha una distribuzione di 12,5x7,8 metri, dettata dalla dimensione delle aule più grandi. Gli impalcati sono tutti realizzati con delle piastre in calcestruzzo armato collegate direttamente ai setti verticali perimetrali e interni, scelte anche perché valutate come più economiche per luci sotto gli 8 metri e pratiche in quanto non avendo elementi strutturali fuori spessore consentono di avere interpiani utili più alti. Nell’edificio “A”, con luci maggiori, vi sono delle travi precompresse con un’altezza massima di 180 cm. Con la stessa logica, anche al piano terra dell’edificio “B”, in cui è presente l’auditorium, vi sono delle travi precompresse che poggiano sui setti delle pareti poste sul lato più corto, distanti tra loro 15 metri. Tra i pochi elementi prefabbricati, vi sono delle lastre di impalcato nell’edificio “C” in corrispondenza delle aule di grandezza maggiore. La necessaria resistenza ai sismi è ottenuta anche grazie alla rigidezza complessiva di tutti i sistemi strutturali, setti e impalcati in calcestruzzo armato, con le loro diverse giaciture.

Scheda progetto
Progettista: 109 Architectes & Youssef Tohmé
Periodo: 2005 - 2011
Total floor area: 55,000 mq
Neighbourhood: Ashrafieh
Partner in Charge: Ibrahim Berberi
Architect in Charge: Nada Assaf
Team: Rani Boustani, Etienne Nassar, Emile Khayat, Naja Chidiac, Richard Kassab
Committente: Université Saint-Joseph (USJ)
Ingegnere strutturale: Bureau d’Etudes, Rodolphe Mattar
Ingegnere meccanico: Ibrahim Mounayar
Ingegnere elettrico: Georges Chamoun
Project Management: Charles E. Maroun
Control bureau: Apave
General Concrete contractor: Hakime Entreprise
Photos: Albert Saikaly, Joe Kesrouani

Arketipo 151, Istruzione, novembre 2021