In un numero di Arketipo dedicato al tema del “resistere”, il TPAC: Taipei Performing Arts Center, inaugurato nel 2022, è un’architettura emblematica nel suo dover programmaticamente resistere, per luogo e funzione, a differenti situazioni: a eventi naturali di intensità eccezionale, terremoti e tifoni, al clima estremo, al fuoco - permettendo l’evacuazione rapida di migliaia di spettatori -, ma anche all’ansia e allo stato di incertezza generati nella popolazione dal rapporto tra Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese. Il TPAC, progettato sotto la guida congiunta di Rem Koolhaas e David Gianotten di OMA, è frutto di un concorso internazionale vinto nel 2008; nasce da alcune considerazioni e alcune suggestioni provenienti dal contesto. Tra le considerazioni, vi è stata una riflessione sul ruolo del teatro nel passato, oggi e nel futuro. Come premessa, conviene ricordare come Koolhaas, nella sua lunga carriera, abbia spesso mostrato il suo interesse e il suo desiderio di riflettere sugli spazi teatrali: i suoi precedenti sono il Netherlands Dance Theater a L'Aia del 1987 (oggi demolito) e l’estremamente flessibile Dee and Charles Wyly Theater a Dallas del 2009 (si veda Arketipo n. 41/2010). Inoltre, OMA ha molte volte sperimentato spazi flessibili, ottenibili in architetture con elementi mobili. Con tali premesse, il progetto del TPAC nacque partendo dal ricordo di come, nel lontano passato, il teatro fosse la forma d’arte per eccellenza legata alla partecipazione civica, aperto e frequentato da tutti, l’intrattenimento a cui tutti assistevano a prescindere dai gusti e dalla condizione sociale. Con il passare del tempo esso si è progressivamente trasformato, diventando in tutto il mondo una forma di spettacolo a cui assistono soprattutto le persone di cultura, perdendo quel significato che aveva nella vita quotidiana di tutti. “Lo spazio teatrale è valutato per la sua capacità di produrre cultura formale, piuttosto che per il suo potere di includere e deviare, e di essere istantaneo. I teatri contemporanei sono sempre più standardizzati: una combinazione di auditorium di dimensioni diverse e una scatola nera…”. Da tale considerazione nacque la volontà di sperimentare - in una città che da tanti segnali sembrava propensa ad accettare la sfida - un teatro pubblico che fosse in grado di essere ancora inclusivo, in cui avere persone colte e non, gruppi elitari e masse, cultura classica e contemporanea: un luogo della creatività fortemente democratico e totalmente aperto a tutti.

Una desacralizzazione della funzione che ricorda quello che fecero col museo elitario tradizionale Renzo Piano e Richard Rogers quando, nel 1971, vinsero il concorso del Centre Georges Pompidou, dando vita probabilmente con la loro “macchina” agli odierni musei contemporanei di massa. Tale volontà di sperimentazione sul teatro futuro nacque anche dal fatto che il luogo sembrava essere adatto ad accogliere uno spazio di questo genere: situato nella zona di Taipei dove si svolge il vivace mercato notturno di Shilin, il quartiere è già caratterizzato da una vibrante vita in tutte le ore della giornata, tanto da ispirare i progettisti a voler prolungare tale vita all’interno del TPAC, facendolo letteralmente attraversare da tale energia popolare. L’importante volume del TPAC è costituito da un elemento centrale, il Cubo, alto dieci piani e caratterizzato su tre lati da un involucro in lunghi elementi vetrati ondulati senza montanti (già sperimentati da OMA nei progetti della Casa da Música a Porto del 2005 e della Biblioteca Nazionale del Qatar a Doha del 2017 - si veda Arketipo n. 127/2019), che contiene l’atrio a tripla altezza, i palcoscenici, le quinte, le torri sceniche, i foyer e gli spazi di supporto di tutti i teatri che costituiscono il complesso, mettendo così in modo efficiente in comune tali elementi. Su ciascuno dei lati vetrati del Cubo si inserisce uno dei tre teatri del TPAC: la Globe Playhouse da 800 posti, con volume a sfera leggermente irregolare, il Blue Box, teatro flessibile adatto agli spettacoli sperimentali, anch’esso da 800 posti e con volume parallelepipedo e il Grand Theater, teatro a proscenio “tradizionale”, ma asimmetrico in pianta, da 1.500 posti con volume a cuneo. I tre teatri, sporgono a sbalzo dal Cubo enigmaticamente, ma anche in modo dissacrante e antimonumentale, rivestiti in alluminio opaco color naturale e appoggiando su colonne che emergono dal piazzale pubblico. L’aver messo il Cubo e i suoi spazi comuni al centro, ha permesso di realizzare al meglio la volontà di avere una flessibilità pressoché totale, permettendo di unire anche i due teatri, il Grand Theater e il Blue Box, in una configurazione chiamata “Super Theater”, caratterizzata da un palcoscenico lungo ben sessanta metri, che si è già prestato a rappresentazioni del tutto innovative o popolari (come la Taipei fashion week). Grazie a tale articolazione spaziale, le configurazioni possibili che possono avere i tre teatri, uniti o separati, muovendo le sedie, cambiando la posizione e la dimensione del palcoscenico, invertendo lo spazio tra attori e spettatori, sono idealmente infinite, consentendo alle compagnie teatrali e alle persone di sperimentare all'interno di questa loro nuova “casa” della città.

Per realizzare il rapporto con Taipei e il mercato di Shilin, anche il Cubo, oltre ai volumi dei tre teatri, è sollevato da terra, dando vita a una vivace piazza sottostante che, nelle intenzioni iniziali di OMA, doveva ospitare le bancarelle del mercato (battaglia parzialmente persa perché le autorità locali hanno preferito spostarle a fianco al TPAC). Per portare le persone dentro il teatro, dalla piazza, i cittadini possono entrare nell’edificio percorrendo il Public Loop, un percorso che si snoda da terra fino in copertura, per poi riscendere. Grazie a esso si raggiunge la terrazza panoramica in sommità ma si incontrano anche, lungo il percorso, diversi punti in cui vedere ciò che di solito è nascosto nei teatri tradizionali, ovvero le macchine sceniche, gli spazi di servizio, gli impianti, la struttura portante. Il culmine di tale percorso è uno spazio nero, all’interno dell’intercapedine perimetrale della Globe Playhouse, in cui la dissacrazione dell’edificio teatrale tradizionale raggiunge il suo culmine, permettendo di osservare, non visti, il “dietro le quinte” del teatro. L’idea di “svelare” le macchine, la si legge anche nell’aver scelto un involucro trasparente per il Cubo che le contiene, rendendo visibili i movimenti scenici dall’esterno, soprattutto la sera. Il TPAC raggiunge il suo scopo di democratizzazione dell’esperienza teatrale attraverso un’architettura “alla OMA”, dall’aspetto industriale, al limite dello spartano in certi elementi, con alcuni ingredienti classici del repertorio dello studio olandese: dall’ormai iconico cartongesso non finito ai grigliati, dai materiali diafani traslucidi e deformanti a quelli lasciati allo stato grezzo, come ad esempio la schiuma di protezione al fuoco delle strutture in acciaio. Una voluta presa di distanza dai materiali e dai colori tipici di un teatro tradizionale, a rendere ulteriormente più familiare e “non giudicante” lo spazio per qualsiasi tipologia di fruitore. Una nota finale la vorrei dedicare proprio all’uso del colore. Il TPAC ha una pressoché totale assenza di colore, sia all’esterno che all’interno, che vede solo poche eccezioni sugli elementi che devono comunicare qualcosa di importante, facendolo proprio anche attraverso il colore: l’immancabile arancione OMA delle finiture di tutto il Public Loop, a renderlo ancora più visibile e quindi accessibile e i delicati diversi toni di PANTONE blu che caratterizzano integralmente gli interni dei tre teatri.

STRUTTURE RESILIENTI
La struttura portante del TPAC è stata ideata per poter resistere al meglio ai forti terremoti e tifoni che si verificano a Taiwan, consentendo al contempo la libertà compositiva e la flessibilità spaziale che contraddistinguono il progetto. A causa dell’elevata sismicità di Taipei i progettisti strutturali di ARUP hanno optato per una struttura a comportamento molto elastico, con marcata prevalenza di elementi in acciaio, isolata fortemente alla base tramite una serie di isolatori sismici, che attenuano la trasmissione dei moti del terreno all’interno dell’edificio, arrivando a una riduzione calcolata del 60%, delle forze agenti su strutture, involucri e partizioni, rispetto a una struttura che ne fosse priva. Sono stati utilizzati, per la prima volta a Taiwan, degli isolatori del tipo a pendolo ad attrito, consentendo di ridurre significativamente le dimensioni degli elementi strutturali e di conseguenza anche il costo dell’edificio. In caso di forte sisma, il TPAC sarà immediatamente agibile, diventando un rifugio post- terremoto essenziale per la città. I grandi volumi a sbalzo dei tre teatri sono essenzialmente realizzati in travi reticolari. In particolare, la Globe Playhouse, con i suoi 26 metri di sbalzo, è costituita da una trave reticolare tridimensionale, che realizza la forma sferica, sostenuta dalla struttura perimetrale del Cubo e dalle lunghe scenografiche colonne che formano una V rovesciata e inclinata. Essendo una trave spaziale tridimensionale, lo spazio vuoto al suo interno, che va dalla superficie interna della Globe Playhouse fino all’involucro esterno, costituisce una larga “intercapedine” risultata utile per inserirvi i palchi (da cui il disegno della facciata interna del teatro), le balconate, i percorsi di collegamento orizzontale nonché tutti gli apparati tecnici e impiantistici. La resistenza al fuoco, nonché la sicurezza antincendio, è stata un ulteriore tema complesso da gestire. Alla difficoltà già tipica dei teatri, dovuta al fatto di dover evacuare in pochi minuti un gran numero di persone, al TPAC si è aggiunta la complessità che i tre teatri sono sollevati da terra, per cui tutti gli spettatori evacuano necessariamente attraverso le scale non potendo scappare direttamente all’aperto. Ulteriore difficoltà: le molte configurazioni possibili nella disposizione delle poltrone e dei palchi previste dalla flessibilità spaziale del progetto, soprattutto la configurazione a Super Theater con i due teatri uniti, non rispettavano evidentemente le norme locali in termini di sicurezza antincendio. È stato quindi necessario ricorrere ad analisi dinamiche di simulazione dell’incendio per garantire la sicurezza, ottimizzando il numero, la posizione e la dimensione delle vie di fuga, nonché per evitare di dover chiudere i palcoscenici con metodi di separazione tradizionali (come le serrande tagliafuoco).

INVOLUCRI RESISTENTI A TIFONI E CLIMA ESTREMO
Oltre che dai forti terremoti, Taipei è caratterizzata anche da fenomeni atmosferici estremi, in termini di forza del vento e intensità delle piogge, nonché da un clima che per molti mesi all’anno è fortemente caldo e umido. Tali peculiarità hanno avuto una ricaduta evidente sulla progettazione degli involucri e sulle strategie impiantistiche del TPAC, in termini di resistenza al vento (strappo, deformazione, rottura) dei rivestimenti, degli spessori degli isolanti, di ventilazione naturale e meccanica, eccetera. L’edificio è costituito da un volume centrale a forma di cubo, alto dieci piani e caratterizzato su tre lati da un involucro in grandi elementi verticali di facciata in vetro ondulato stratificato. Essi hanno il vantaggio di resistere meccanicamente per forma, anche ai forti venti di Taipei, consentendogli di avere grandi altezze e spessore ridotto - gli elementi più alti arrivano a 4,5 metri e lo spessore varia da 17 a 26 millimetri in funzione del carico da vento - e permettendogli soprattutto di non avere montanti metallici o altre strutture verticali, facendo apparire la facciata come un’unica tenda traslucida senza elementi visivi di disturbo. Inoltre, la forma ondulata diffonde il suono anziché rifletterlo in un’unica direzione, come fanno i vetri piani, riducendo l’eco negli spazi utilizzati per le prove e le piccole rappresentazioni. Come nei citati casi precedenti, a Porto e a Doha, in cui OMA li aveva già sperimentati, gli elementi ondulati sono stati prodotti dall’azienda specializzata barcellonese Cricursa, sulla base del progetto degli ingegneri facciatisti di ABT, gli stessi del progetto di Doha. Rispetto ai casi precedenti, in cui gli elementi avevano forma di Ω, per cui il giunto si verificava in corrispondenza della cresta delle onde, qui a Taipei essi hanno forma a S, con il giunto che “cade” tra le onde, rendendolo meno visibile e quindi migliorando l’effetto scenografico di distorsione e riflessione tipico di questa facciata. Ogni elemento è sostenuto verticalmente in tre punti tramite mensole in acciaio, collegate a loro volta alle solette, permettendogli di muoversi e deformarsi in modo controllato sotto l’azione dei sismi e del vento, impedendone la rottura. Poiché i pannelli curvi non si possono tagliare o adattare in cantiere, è stato necessario un rilievo accurato preventivo sul posto delle geometrie realizzate, in particolare in corrispondenza del teatro sferico, per produrre dei pezzi speciali fuori standard (che sono stati solo 50 rispetto ai 1.200 totali). Infine, il doppio strato in PVB all’interno dei vetri stratificati è stato scelto con caratteristiche tali da ridurre fortemente il guadagno solare diretto, riducendo l’apporto di calore all’interno e i consumi energetici complessivi, con l’effetto di dare al Cubo una tonalità scura quando è immerso nella piena luce del giorno.

Scheda progetto
Client: Authority in charge - Taipei City Government
Architect: OMA
Partners in charge: Rem Koolhaas and David Gianotten
Competition: 2008 - 2009
Design: 2009 - 2013
Construction: 2012 - 2022
Area: 58,658 m2
Cost: 175 million euro
Executive departments: Department of Cultural Affairs, East District Project Office, Department of Rapid Transit Systems, Public Works Department
OMA’s project architects competition phase: Adam Frampton, Mariano Sagasta Garcia, André Schmidt
OMA’s project architects design development phase: Ibrahim Elhayawam, Adam Frampton
OMA’s construction phase team: Project Director: Chiaju Lin; Associates: Paolo Caracini, Inge Goudsmit, Daan Ooievaar; with: Vincent Kersten, Han Kuo, Kevin Mak, Chang-An Liao, with Yannis Chan, Hin-Yeung Cheung, Meng-Fu Kuo, Nien Lee, Nicole Tsai
Executive architect: KRIS YAO | ARTECH
Structure, MEP, building physics, fire engineer: ARUP
Façade engineer: ABT, CDC Inc
Theater consultant: dUCKS Scéno, Creative Solution Integration Ltd
Acoustic consultant: Royal HaskoningDHV and Theo Raijmakers, SM&W
Landscape designer, interior designer: Inside Outside
Structural engineer: Evergreen Consulting Engineering Inc
Services engineer: Heng Kai Inc, IS Leng and Associates Engineers
Fire engineer: Taiwan Fire Safety Consulting Ltd
Sustainability consultant: Segreene Design and Consulting
Photos: Iwan Baan, Shephotoerd Co. Photography, Philippe Ruault, OMA, Frans Parthesius

Arketipo 178, Resist, Novembre 2024