Un terremoto distrusse negli anni Trenta il teatro di Concepción, città e comune del Cile, capoluogo dell’omonima provincia e della regione del Bío Bío; nel 2010, fatalità dopo un altro sisma che colpì la città, fu bandito il concorso internazionale per il Teatro Regional del Bío Bío. Fra le richieste del bando c’era il divieto di costruirlo sottoterra, perché l’area di progetto insisteva sull’alveo del fiume, e di realizzare una struttura solida e possente, per dare l’impressione ai suoi utenti di potersi sentire al sicuro da ogni evento catastrofico. Smiljan Radic rivela che il concept di progetto ha avuto origine da The Room (1997-2007) - una stanza-rifugio realizzata dall’architetto cileno sulle pendici boschive dell’isola cilena di Chiloè - il cui modello originale era in bella mostra in uno scaffale dello studio, proprio quando stavano lavorando al concorso. Gli elementi di The Room sono i plinti di fondazione sui quali si appoggia una griglia modulare tridimensionale di pannelli portanti in legno (secondo elemento), che definisce una sorta di esoscheletro, avvolta da un sistema di facciata in vetro (terzo elemento). Gli stessi tre elementi, opportunamente scalati e realizzati con materiali diversi, si ritrovano nel teatro: una platea di fondazione (per migliorare l’efficacia del rapporto con il suolo), una griglia spaziale modulare strutturale e un rivestimento di facciata.

La platea di fondazione è una sottile piastra in cemento armato spessa 30 cm, nonostante il lotto di progetto sia prossimo all’epicentro del terremo del 2010, delimitata da travi di rinforzo perimetrali dello spessore di 50 cm. A proposito dell’esilità delle fondazioni l’architetto cileno afferma: «Se si guardano le sezioni, sembrano sezioni architettoniche, ma in realtà sono strutturali. Non ci sono disegni delle sezioni perché non esistono. Il teatro è una sorta di oggetto appoggiato su un letto di sabbia», un «edificio che va alla deriva, che non desidera lasciare impronta alcuna». Per Radic l’edificio sembrerebbe possedere le caratteristiche di un circo, perché imprime sul suolo un’impronta minima, e riproporre quanto succede nell’isola di Chiloè del progetto The Room, dove gli abitanti, quando comprano un terreno, trasportano nel nuovo lotto la propria vecchia casa, invece di ricostruirla, e l’unica cosa che abbandonano sono i plinti di fondazione. Il secondo elemento mutuato da The Room, ossia la maglia strutturale del teatro, definisce una scatola alta 30 metri, larga 39 e lunga quasi 110, impostata su una griglia quadrata di 3,90 metri, modulo che ha consentito di utilizzare dei pilastri di cemento armato di 30x30 centimetri invece che di 60x60 o 80x80. L’architetto ha rivelato che le sue fonti di ispirazione per la griglia snella e “isotropa” sono stati i labirinti strutturali di Constant Nieuwenhuys e le “Carceri” di Giovanni Battista Piranesi. Tuttavia, osservando la combinazione di travi e pilastri, scale e rampe, si potrebbe cogliere un rimando ai vertiginosi spazi disegnati di Maurits Cornelis Escher, tant’è che Radic, non a caso, parla di “labirinto”, per quanto riguarda l’effetto percettivo risultante nel foyer.

Lo spazio labirintico formato dalla “ossessività” della griglia strutturale è a tal punto complesso da riuscire a qualificarsi come un paesaggio in sé e per sé, secondo l’architetto, da qui la scelta di ridurre al minimo nel foyer le aperture verso il paesaggio esterno. Nei vuoti ricavati fra la struttura modulare sono stati collocati il teatro da 1.200 posti e la sala della musica da camera da 250. Il primo occupa tre quarti del corpo di fabbrica, ha una platea, e tre ordini di palchi (disposti solo sul lato corto di fronte al palcoscenico), una torre scenica, che non fuoriesce dal volume, e un palcoscenico mobile. La sala della musica da camera è posta sul lato nord-ovest del teatro e occupa circa un quarto dell’edificio, il suo volume, ricavato e incastonato fra la griglia strutturale, parte dal terzo piano e occupa gli ultimi quattro livelli. La sala è un parallelepipedo a base rettangolare, i cui lati corti sono occupati da gradinate contrapposte al centro delle quali c’è lo spazio per le esibizioni. Il rivestimento del volume del teatro, terzo elemento di progetto, è una sorta di aderente vestito plissettato in teli di PTFE, la cui scelta è stata suggerita perché, proprio durante il periodo del concorso, stavano sostituendo la tenda realizzata sul tetto di The Room con quello stesso materiale. Al di là delle caratteristiche tecniche del PTFE - basso coefficiente di trasmissione termica, ed è perciò da considerare un efficace isolante termico, estrema inerzia chimica, ottima resistenza al calore (il materiale può passare dai -200 °C a +260 °C senza perdere le proprie caratteristiche), nessuna igroscopicità e massima resistenza ai solventi, resistenza all’invecchiamento, caratteristiche autolubrificanti - e del fatto che di notte l’edificio sembri un enorme lampada luminosa, ciò che maggiormente interessava l’architetto era che una «membrana del genere conferisce all’edificio una scala astratta e smorza anche l’idea tradizionale che un edificio istituzionale debba avere una certa forma. Attualmente la sua scala è più in relazione con il fiume che con la città. Tuttavia è un progetto pronto, quando, fra venti o trent’anni, la città si espanderà fin qui. L’edificio apparterà allora proprio alla città».

NUDA ARCHITETTURA
Il Teatro Regional del Bío Bío è un elogio della griglia strutturale in cemento armato nella sua nuda secchezza materica, nella sua immediata semplicità espressiva che rimanda, probabilmente in modo inconscio, alla famosa immagine dello scheletro strutturale della Maison Domino (1914) di Le Corbusier, il prototipo moderno della nuda struttura in cemento armato, «un modulo di costruzione dello spazio abitativo che […] configura un’opera aperta» e «un telaio strutturale che imbriglia il vuoto» [p. 64]. Negli anni Venti, ma non solo, la potenza del nudo scheletro strutturale dei grattacieli in costruzione, soprattutto negli Stati Uniti d’America, colpisce architetti e artisti, El Lissitzky la chiamava “la salute della nudità”. Nel 1922 Mies van der Rohe affermava: «Solo i grattacieli in costruzione mostrano ardite idee costruttive e l’effetto di questi scheletri di acciaio che si stagliano contro il cielo travolgente». Nel 1928 Mendelsohn, commentando la foto di un grattacielo di Detroit, ne esaltava «l’ossatura metallica, il reticolo delle putrelle della costruzione chiara, razionale, rispondente ai soli criteri economici»; analogamente, prima di Mendelsohn, il critico d’arte Karl Scheffler sosteneva: «Attualmente la migliore impressione architettonica si ottiene da costruzioni non ancora completamente finite». Più avanti, nel 1985 Frank Gehry ribadiva «Gli edifici in costruzione sembrano più belli degli edifici finiti. […] Capita di camminare per strada e dire: “Guarda che bella struttura. Non ti pare? Che peccato che non venga lasciata così com’è”». Architetti e artisti sottolineano il potenziale espressivo delle strutture grezze e tutti lamentano, nella parte non riportata delle citazioni, che il rivestimento nega l’estetica della crudezza espressiva dell’idea costruttiva. Nel 2012 Valerio Paolo Mosco ha pubblicato un libro dal titolo Nuda architettura nel quale descrive una tendenza dell’architettura contemporanea «al ritorno a una architettura nuda, spogliata, asciugata, anti-decorativa, semplificata non solo nelle forme, ma anche negli apparati concettuali», quella che Bruno Zevi avrebbe definito “architettura grado zero”, ossia un’architettura primitiva, priva di scorie intellettualistiche, o che Bernard Tschumi, parlando di “grado zero” del significato, descrive come «qualcosa che non è gravato da alcun significato, né da preferenze formali o estetiche. Qualcosa che non è culturalmente motivato. È il tentativo di ridurre le cose semplicemente a luogo di attività». Mosco definisce sei categorie dell’architettura nuda: skeletal, rough, thin, lyric, frugal e primitive. Il Teatro Regional del Bío Bío può senz’altro ricadere nella prima categoria, proprio per la sua tensione a ridursi alla sua nuda essenza scheletrica, a ossificarsi in un certo qual modo, e a fare in modo che la sua immagine corrisponda alla struttura, «l’idea di una costruzione di ossa resistenti alle forze agenti su di essa». Il teatro è rivestito da un tessuto plissettato, che non nega tuttavia l’approccio che informa tutto il progetto, anzi lo esalta, perché il PTFE è impiegato in modo secco, brutale, nudo, per l’appunto.

Scheda progetto
Committente: Ministry of Culture and Arts. Ministry of Public Works Government of Chile
Design year: 2012-2013
Construction year: 2015-2017
Site area: 20,050 mq
Building area: 9,650 mq
Program: Theatre and Concert hall
Photos: Roland Halbe
Text: Matteo Zambelli

Arketipo 155, Involucri, aprile 2022