È un fatto ormai assodato che sia possibile realizzare, nei climi più diversi, nuovi edifici e interventi di ristrutturazione profonda con fabbisogni energetici ridottissimi, alimentati interamente o quasi da fonti rinnovabili, emissioni in sito azzerate e impronta di carbonio limitata nell’intero ciclo di vita. Nel quadro di questo percorso verso la neutralità climatica, il Kendeda Building for Innovative Sustainable Design dimostra in pratica che l’architettura può costituire un agente positivo di trasformazione e miglioramento dei sistemi naturali, e non soltanto un impatto ambientale da limitare il più possibile. Seguendo i principi della regenerative architecture, in un anno il Kendeda Building genera più energia elettrica e recupera più acqua piovana di quanto necessiti per il suo funzionamento, restituendo le eccedenze di elettricità alla rete del campus universitario in cui sorge e infiltrando l’acqua inutilizzata nel terreno, così da non sovraccaricare le infrastrutture idriche esistenti. L’edificio è quindi un manifesto che dimostra la praticabilità di un approccio rigenerativo, utilizzando conoscenze e tecnologie esistenti, anche in un clima difficile come quello caldo e umido del sud-est degli Stati Uniti. Questo era, in effetti, uno degli obiettivi per Georgia Tech, prestigioso ateneo di Atlanta, che con il supporto del Kendeda Fund, fondazione privata a supporto di iniziative sociali e ambientali, tramite questo progetto ha inteso promuovere l’innovazione delle pratiche progettuali e costruttive nella regione, oltre a dotarsi di spazi di alta qualità per la didattica e l’interazione con la comunità locale.

Il Kendeda Building sorge sull’area precedentemente occupata da un parcheggio, che è stata quindi nel complesso ampiamente de-pavimentata grazie al minore ingombro in pianta del nuovo edificio. L’elemento con il quale i progettisti Miller+Hull Partnership dichiarano immediatamente la natura speciale dell’intervento è l’ampia tettoia fotovoltaica, che si libra sopra i volumi dell’edificio con echi di certe delicate coperture di Renzo Piano e Norman Foster. Questo elemento reinterpreta, con linguaggio e funzioni contemporanee, il tipico portico esterno dell’architettura vernacolare locale, fondamentale elemento schermante e di mediazione climatica fra interno ed esterno. Il “portico rigenerativo”, così definito dai progettisti, con il suo sbalzo da 12 metri è in grado di ombreggiare gli spazi esterni e mitigare il microclima intorno all’edificio; proteggere l’involucro dei volumi climatizzati dalla radiazione diretta; fornire uno spazio di transizione fra il clima esterno e quello interno; raccogliere l’acqua piovana (più di 1.700.000 l ogni anno, da progetto); e infine ospitare un campo fotovoltaico da 330 kW (più di 900 pannelli) in grado di produrre, da progetto, circa 450.000 kWh di elettricità ogni anno. All’interno del Kendeda Building si trovano aule didattiche, laboratori, spazi per seminari, un auditorium, uffici e una terrazza con giardino per insetti impollinatori e alcune arnie. Tutti questi spazi si articolano intorno a un atrio a tutta altezza, che con le sue scale e rampe aperte, alternate a spazi per la sosta e gli incontri informali, rappresenta un luogo di interazione privilegiato per gli utenti dell’edificio e anche per il resto della comunità durante gli eventi aperti al pubblico. Questo generoso spazio centrale consente anche alla luce naturale di raggiungere le parti più profonde dell’edificio, nonché di attivare la ventilazione naturale quando le condizioni climatiche lo consentono.

Anche gli ambienti interni offrono l’occasione di mostrare agli utenti, con intento didattico, il funzionamento dell’edificio: oltre alla maggior parte degli impianti, anche il sistema costruttivo - strutturale è esposto alla vista. La maggior parte degli elementi è in legno, materiale a ridottissima impronta di carbonio, con alcuni rinforzi in acciaio al fine di limitare le sezioni strutturali e quindi la quantità complessiva di materiale. Per ridurre ulteriormente l’impatto ambientale della costruzione sono stati usati diversi materiali di recupero: per esempio, grazie a una associazione non-profit che recupera componenti di scarto dalle demolizioni nella regione, nelle finiture a controsoffitto sono stati riutilizzati quasi 8.000 metri lineari di montanti in legno 2”x4” provenienti da set cinematografici; alcuni elementi di arredo sono stati realizzati con alberi caduti nel campus stesso; le tegole di ardesia rimosse dal tetto di un altro edificio di Georgia Tech sono state impiegate come piastrelle nei bagni; e infine alcuni elementi di pietra recuperati da un edificio statale si trovano ora nelle sistemazioni a verde esterne. Per lo sviluppo del progetto secondo rigorosi criteri rigenerativi, e il relativo controllo nelle diverse fasi di costruzione e conduzione, si è deciso di seguire il protocollo Living Building Challenge (LBC), articolato in sette aree di intervento e venti imperativi da rispettare. A seguire sono riportati maggiori dettagli sulle varie strategie e tecnologie adottate, incluse quelle relative all’efficienza energetica e al risparmio di acqua potabile. È però utile sottolineare qui che la certificazione LBC viene rilasciata dopo almeno un anno di monitoraggio del funzionamento effettivo dell’edificio (con occupazione continua), e che durante tale periodo l’energia elettrica prodotta è stata più del doppio di quella effettivamente consumata, mentre l’acqua piovana raccolta è stata 15 volte quella utilizzata. A fronte di un costo di costruzione di solo il 13% superiore allo standard, il Kendeda Building mostra come l’obiettivo di edifici che non solo siano meno dannosi per l’ambiente, ma che addirittura restituiscano più di quanto prelevano, sia del tutto raggiungibile tramite un progetto multidisciplinare accurato e consapevole. Si può certamente affermare, in questo caso, che l’obiettivo della riduzione degli impatti non limiti il benessere per gli utenti né la qualità architettonica, e che forse l’abusato less is more miesiano abbia trovato una declinazione all’altezza delle sfide ambientali del ventunesimo secolo.

Il portico rigenerativo contribuisce a definire il microclima delle aree circostanti l'edificio

LIVING BUILDING CHALLENGE
Living Building Challenge è un protocollo di certificazione ambientale - e indirettamente un supporto alla progettazione - per edifici rigenerativi, che connettano gli utenti agli elementi naturali e alla comunità, che siano autosufficienti e rimangano nei limiti di risorse del sito, e che generino un impatto positivo sui sistemi naturali e umani. Il protocollo si articola in sette aree di prestazione, chiamate “petali” in omaggio alla metafora di un fiore, e venti “imperativi”: la certificazione viene rilasciata quando un edificio dimostra di soddisfare tutti gli imperativi e di avere un bilancio positivo (monitorato) di energia e acqua su un minimo di dodici mesi di occupazione continuativa.
Petalo Luogo
Il Kendeda Building sorge sul sito di un precedente parcheggio, in parte rinaturalizzato grazie alle sistemazioni a verde integrali al progetto (imperativo 1 - limiti alla crescita). Una superficie superiore al 20% della SLP è stata dedicata alla coltivazione di cibo, grazie a orti sulla copertura ed essenze edibili utilizzate nei muri verdi e negli spazi verdi a terra (imp. 2 - agricoltura urbana); inoltre, a compensazione dell’area occupata dall’edificio, è stata garantita la protezione perpetua a un lotto di terreno collocato altrove (imp. 3 - scambio di habitat). Un parcheggio per 44 biciclette, la connessione alle reti pedonali e ciclabili del campus, e la presenza di scale e rampe a vista (gli ascensori sono volutamente poco visibili) incentivano la mobilità dolce (imp. 4 - usare le proprie energie).
Petalo Acqua
L’edificio è concepito in modo da raccogliere, trattare e gestire l’acqua in modo da preservare i flussi ecologici a valle (imp. 5 - bilancio dell’acqua netto positivo). A tale scopo, l’unica fonte di acqua potabile è quella piovana, opportunamente trattata e raccolta in una cisterna da 190.000 l che garantisce autonomia anche nei periodi di lunga siccità. Servizi igienici a bassissimo consumo di acqua ne riducono fino all’80% il consumo, mentre le acque grigie vengono trattate, grazie a specifiche piante, negli spazi verdi dell’edificio. L’acqua di condensa dei sistemi di condizionamento dell’aria viene usata per irrigare gli spazi verdi. Infine, l’acqua piovana in eccesso (circa 282.500 l/anno) viene fatta filtrare nel terreno.
Petalo Energia
Grazie a una combinazione di strategie passive e attive, e all’ampio tetto fotovoltaico, l’edificio produce ogni anno una quantità di energia pari ad almeno il 105% del suo fabbisogno (imp. 6 - energia netta positiva). In primo luogo, i carichi termici dell’edificio sono stati limitati grazie all’ombra generata dal portico, da ulteriori schermature mobili esterne, e da un involucro molto efficiente con tripli vetri ed elevata tenuta all’aria. I serramenti apribili e l’atrio a tutta altezza, inoltre, attivano la ventilazione naturale quando le condizioni esterne lo consentono: il fabbisogno risultante è del 72% più basso rispetto a un edificio universitario standard nello stesso clima. Un sistema radiante a pavimento, alimentato da pompa di calore, copre i carichi restanti di climatizzazione, eliminando ogni forma di combustione in sito.

Petalo Salute e Felicità
Il Kendeda Building garantisce accesso a luce e ventilazione naturali in ogni zona, offrendo agli utenti la possibilità di controllare le condizioni ambientali (imp. 7 - ambiente dignitoso). Per mantenere alta la qualità dell’aria interna, monitorata costantemente, sono stati installati sistemi che evitano l’ingresso di polvere, estrazioni d’aria dedicate per i bagni e un sistema di ventilazione che usa interamente aria esterna (imp. 8 - ambiente interno salubre). Infine, i progettisti hanno implementato un quadro di riferimento per la progettazione biofilica articolato in sei punti (imp. 9 - ambiente biofilico).
Petalo Materiali
I progettisti hanno impiegato un numero limitato di materiali (perlopiù legno, con quantità ridotte di calcestruzzo e acciaio), lasciandoli esposti ove possibile; allo stesso modo, anche gli impianti sono spesso a vista, così da ridurre la necessità di controsoffitti e pareti. Molta attenzione è andata nella selezione dei materiali, evitando completamente i 22 della “lista rossa” del protocollo LBC e verificando continuamente le scelte dell’impresa di costruzioni (imp. 10 - lista rossa). Si è anche minimizzata, per quanto possibile, la quantità di carbonio incorporato, ottenendo un’impronta del 30% inferiore allo standard, che è stata poi compensata con un acquisto di crediti di emissione (imp. 11 - impronta di carbonio incorporato); molti dei materiali utilizzati, inoltre, sono di recupero o possiedono certificazioni ambientali (imp. 12 - industria responsabile). Più della metà dei materiali e dei componenti provengono da una distanza inferiore ai 1.000 km, riducendo l’impatto ambientale della fase di costruzione e supportando l’economia locale (imp. 13 - supporto locale). Per garantire un bilancio positivo netto dei rifiuti, oltre a recuperare il 99% dei rifiuti da costruzione del cantiere, sono stati impiegati materiali di recupero in più di 27 diverse situazioni (imp. 14 - rifiuti netti positivi).
Petalo Equità
Grazie alla sua articolazione, l’edificio è concepito per favorire le interazioni fra le persone, sia all’interno che negli spazi aperti (imp. 15 - scala umana e luoghi umani), con particolare attenzione all’accessibilità per tutti gli utenti grazie a rampe integrate ai percorsi principali (imp. 16 - accesso universale). La comunità locale è stata coinvolta anche nella costruzione nel progetto tramite una cooperativa sociale che ha realizzato i pannelli di controsoffitto di legno (imp. 17 - investimenti equi); inoltre, alcuni degli attori del processo erano in possesso di una certificazione di qualità delle condizioni di lavoro per i propri dipendenti (imp. 18 - aziende JUST).
Petalo Bellezza
Il protocollo LBC include la qualità estetica fra i parametri che qualificano un edificio sostenibile: a questa sfida i progettisti hanno risposto con un edificio articolato e ricco di spazi comuni, ispirato a soluzioni locali e che include programmi di arte pubblica (imp. 19 - bellezza e spirito). Con l’intento di rappresentare un modello replicabile, Georgia Tech usa il Kendeda Building come esempio educativo grazie a visite guidate, conferenze, un sito web dedicato (https://livingbuilding.gatech. edu/) e altre iniziative per la comunità (imp. 20 - ispirazione e insegnamento). L’edificio ha ottenuto la certificazione LBC 3.1 nel marzo 2021. Informazioni più dettagliate sulle strategie adottate per rispettare ogni imperativo sono disponibili ai siti web indicati in bibliografia.

Scheda progetto
Timeline: 2016-2019
Owner: Georgia Institute of Technology
Donor: The Kendeda Fund
Design architect: The Miller Hull Partnership, LLP
Area: 4.370 mq
Budget: 25 milioni di dollari (including design costs and fit-out)
Collaborating architect & prime architect: Lord Aeck Sargent General
Contractor: Skanska USA
Landscape architect: Andropogon
Mechanical, electrical & plumbing engineer: PAE and Newcomb & Boyd
Civil engineer: Long Engineering
Structural engineer: Uzun & Case Greywater
Systems: Biohabitats
Photos: Jonathan Hillyer
Drawings: Miller Hull

Arketipo 165, Less, Maggio 2023