Torre per uffici  

Progettista: Hans Kollhoff
Collaboratori: Helga Timmermann, Jasper Jochimsen
Committente: Daimler Crysler Immobilien
Località: Potsdamer Platz, Berlino
Datazione progetto: 1993
Datazione realizzazione: 1997-2000
Ingegnere strutturale: Arup con Boll und Partner
Superficie fuori terra: 33.500 mq (27 piani fuoriterra 4 piani interrati)

La città di Berlino, attraverso il progetto di Potsdamer Platz, sta cercando di costruire un nuovo centro, non solo della vita economica, ma un quartiere-manifesto che rappresenti l'immagine dinamica della nuova capitale tedesca. L'area, un tempo lungo il muro, situata in un punto nodale fra est ed ovest è il proseguimento del Kulturforum, uno dei luoghi fondamentali dell'architettura moderna europea degli anni `60. Vari concorsi si sono susseguiti a partire dagli anni `90, da quello urbanistico del `91 a quello del `92 che ha portato alla costruzione del piano Daimler-Benz che, per garantire la desiderata ripresa della nuova parte di città, propone una commistione di abitazioni ed uffici, la costruzione di alcuni cinema, di un teatro per la musica e di un centro commerciale.
Il concorso, che ha visto come vincitore Renzo Piano con Christoph Kohlbecker, ha portato nel 1993 ad un masterplan che, oltre a Renzo Piano, ha coinvolto tra gli altri Arata Isozaki, Hans Kollhoff, Ulrike Lauber, Rafael Moneo e Richard Rogers, che per questo progetto ha conquistato nel settembre di quest'anno il 'Riba Awards for Architecture'.
Il progetto Daimler-Benz scegliendo il restringimento delle sedi stradali secondarie crea degli spazi fra i volumi con un calibro minuto, e delega alle due torri di testa e alla grande cupola del Sony Center di Helmuth Jahn il rapporto a nord con la piazza e a sud con le preesistenze monumentali del Kulturforum.
Hilmer & Sattler, nella relazione di progetto per il piano urbanistico posta ad occhiello delle pagine dedicate all'area nel recente libro 'Bauen in Berlin' di Kleihues, Becker-Schwering e Kahlfeldt, affermano che 'le basi del progetto non si trovano nel modello di città americana come agglomerazione di edifici alti, bensì nell'idea spaziale della città europea compatta'; l'accostarsi dei linguaggi fra hi-tech e memoria negli spazi di Potsdamer Platz scatenano, comunque, l'evocazione di un mondo americano, più che europeo. L'edificio a torre per uffici di Hans Kollhoff, Helga Timmermann e Jasper Jochimsen declina il master plan attraverso un percorso linguistico-sintattico molto diverso da quello delle architetture circostanti.
La ricerca di Hans Kollhoff, allievo di Ungers, potrebbe sintetizzarsi, per quanto riguarda questo edificio, in un brano della sua relazione di progetto: 'torri rivolte alla città e al parco, che si sviluppano dal sito e dal programma per diventare corposità figurativa'. Morfologia, tipologia, genius loci, funzione, si integrano in realtà spinte da una Kunst-wollen fortissima, conquistata attraverso un lavoro millimetrico intorno alla volumetria, studiata attraverso centinaia di modelli in scala fino alle minime variazioni, nella certezza 'che l'edificio alla fine assumerà una forma' come lo stesso Hans Kollhoff afferma in un'intervista a 'ARCH+' dell'ottobre `90.
La forma raggiunta è quella dei grattacieli archetipici di Sullivan o Burnham e dell'architettura industriale tedesca in mattoni, come quella della città di Amburgo o delle fabbriche Siemens a Berlino. Ne deriva uno spaesante Flatiron Building in klinker rosso e basamento in granito grigio-verde che si innalza su Potsdamer Platz quasi come un sogno attraverso il tempo. La nuova Hoch Haus berlinese, situata in un lotto triangolare fra la Neue Potsdamer Strasse e la Alte Potsdamer Strasse, denuncia un innesto tipologico fra un isolato con una corte interna chiusa ed un esplicito tipo a torre. Verso la piazza si pone con il massimo elevato, riservando alla parte a sud un articolarsi complesso dei volumi e delle altezze che dai ventiquattro piani della torre scendono alternativamente a tredici e sette piani.
L'edificio si apparta dal contesto con le sue facciate in vetro trasparente, proponendo i suoi curatissimi prospetti in klinker, dalle finestre binate e dai delicati e cangianti profili in rilievo, riservandosi di tracciare con precisione i confini dell'isolato urbano attraverso l'unitarietà nel basamento a doppia altezza in granito.
Lungo le tre strade che circondano l'isolato l'edificio si declina in modo seriale quasi solo a confermare il profilo stradale, ma è in alto, a sud, verso la Galleria d'Arte Moderna di Mies van der Rohe, che questa torre per uffici rivela com'è stata composta.
L'edificio a sud si pone simmetricamente con un profilo quasi icastico che ne aumenta percettivamente la dimensione, coronandosi con un loggiato dal passo fittissimo che nella parte centrale è alto oltre i nove metri, giocando con il tema attraverso la tradizione; le terminazioni dorate della loggia sono quasi una rêverie benjaminiana della Torre della Vittoria, in una presa di posizione ben precisa nel dibattito fra storia e modernità.
L'attacco a terra è esemplare da questo punto di vista; i portici, anche nei loro elementi illuminanti, ci riportano ad una Berlino che non c'è più, mentre il rapporto con la piazza è indiretto, mirato alla prevalenza del volume nella sua totalità, tenendo sottotono il basamento vero e proprio.
Gli ingressi al foyer sono entrambi mediati dai due porticati, nel corpo basamentale vi è solo l'accesso all'ascensore panoramico extrarapido (88 piani).
La hall di ingresso, anch'essa 'luogo della memoria', permette di usufruire del sistema degli ascensori ed è, con il loggiato terminale, uno degli stilemi più interessanti di questo edificio. Semanticamente il foyer a terra, 'the top' e la piccola corte triangolare pensile, afferiscono ad una figurazione neogotica, fra 'Edward mani di forbice' e la Gotham City di Batman.
Come Wright nei Johson Laboratory o nel Marin County evoca in modo consapevole gli spazi della fantascienza e del fumetto, aprendo le porte ad una trasformazione della sintassi architettonica che porterà lontano, qui in questo edificio posto nel cuore della 'nuova' Europa, il tema è la struggente nostalgia di mondi possibili. Non del futuro, ma di un passato che non ha avuto luogo.

Tratto da Area n°54 Gennaio/Febbraio 2001, pag 45-9 Federico Motta Editore

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