UNA ARCHITETTO UNA CITTÀ
"LEZIONE DI UNA ARCHITETTURA": ALBINI A PARMA
di Federico Bucci


"Chi vuol intendere gli architetti d'oggi deve riconoscere nelle cose di Albini, i caratteri di una limpidezza e linearità di pensiero, di una longilineità (come è nel suo fisico) asciutta, elegante e sottile, i caratteri di un rigore e di una coerenza assoluti, e della personalità nelle successive invenzioni architettoniche pure e nell'impiego di elementi. Così è in questa costruzione, quale appare - forse più intelligibilmente che non sarà sul vero - dal modello". Gio Ponti usa queste parole per presentare, sulle pagine del primo numero di "Domus" del 1952, il "modello per un edificio bancario a Parma" progettato da Franco Albini.
Si tratta in realtà dell'edificio per abitazioni e uffici che l'Istituto Nazionale di Assicurazioni incarica Albini di realizzare nel centro storico di Parma, al posto di un antico palazzo distrutto dai bombardamenti, all'angolo tra l'ampia via Cavour e la stretta apertura di Borgo San Biagio.
L'Ina è un committente storico per l'architetto milanese. Tra le prime opere di Albini ci sono infatti i padiglioni costruiti per l'ente alla Fiera campionaria di Milano e alla Fiera del Levante di Bari tra il 1933 e il 1935. Ma a Parma, nel dopoguerra, succede ciò che sulla rivista "Casabella" è da più parti invocato negli anni tra le due guerre: un architetto moderno italiano può finalmente uscire dagli stretti confini delle iniziative espositive, alle prese con la progettazione di "intelligenti baracche" provvisorie, per partecipare alla reale costruzione della città.
Non a caso, se si escludono le realizzazioni degli anni trenta nella periferia storica milanese, come i tre quartieri popolari firmati con Giancarlo Palanti e Renato Camus e l'episodio isolato della Villa Pestarini, l'edificio di Parma è una delle prime architetture urbane portate a termine da Franco Albini, che fino a quel momento aveva dato grandi prove della sua maestria nel campo dell'arredamento e dell'allestimento (come gli ambienti progettati per la Triennale di Milano e la straordinaria mostra su Scipione tenuta alla Pinacoteca di Brera nel 1941).
Nel 1950, anno dell'assegnazione dell'incarico a Parma, Albini ha quarantacinque anni. All'indomani della guerra, l'architetto ha già ricoperto incarichi politici e culturali di notevole responsabilità e ha riavviato con slancio l'attività del suo studio. Tra il 1945 e il 1946 Albini è contemporaneamente commissario straordinario presso l'ordine degli architetti della Lombardia, primo presidente del Movimento di studi per l'architettura e direttore - con Giancarlo Palanti - della nuova serie di "Costruzioni-Casabella" (una breve ma significativa avventura). Dal punto di vista dell'impegno professionale, gli anni tra il 1945 e il 1950 segnano il futuro della carriera di Albini: a partire dalla partecipazione al Piano AR, lo schema di piano regolatore per Milano (nel folto gruppo composto da Lodovico Belgioioso, Piero Bottoni, Ezio Cerutti, Ignazio Gardella, Gabriele Mucchi, Giancarlo Palanti, Enrico Peressutti, Mario Pucci, Aldo Putelli, Ernesto Nathan Rogers), fino all'avvio dei lavori per il Rifugio Pirovano a Cervinia, per l'edificio Ina a Parma (che per la cultura architettonica italiana diventeranno un punto fermo nel dibattito sulla tradizione) e per la sistemazione della Galleria di Palazzo Bianco a Genova, inaugurata nel 1951, opera capitale della museografia del Novecento...