Laboratorio Italia – Brevi interviste a Mauricio Cardenas, Luca Dolmetta di LDA Studio, Paolo Brosio dello Studio AS Architetti Associati, Paolo Belardi dello Studio HOF, studio Quattroassociati, Andrea Ponsi, studio Exposurearchitects

Intervista a Mauricio Cardenas 


Cosa intendi per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?
A mio parere, la "sostenibilità" in architettura è porre particolare attenzione agli aspetti ambientali come nel passato, senza demandare solo alla tecnologia la responsabilità di ottenere ambienti con un alto livello di comfort e a basso o nullo impatto ambientale. Purtroppo, il rapido sviluppo tecnologico ha offuscato nel tempo questo importante aspetto dell'iter progettuale, in grado di mantenere un continuo e diretto contatto tra architettura e natura attraverso l'osservazione e la considerazione di alcuni aspetti fondamentali quali: la posizione geografica, il percorso del sole, la disponibilità di risorse naturali come vento, acqua, vegetazione, materiali oltre che il rispetto e la conservazione delle tradizioni locali. Una perdita enorme per la nostra professione che ha generato conseguenze dannose sia alla popolazione che all'ambiente stesso.


Ritieni che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
Penso che la sostenibilità sia un elemento primario ma trasversale ai vari temi dell'architettura; un elemento intrinseco e fondamentale che non oscura gli altri aspetti presenti bensì li integra e completa. Per questo motivo preferisco parlare di "consapevolezza" piuttosto che di "sostenibilità" perché è proprio una questione di atteggiamento, un metodo che in studio cerchiamo sempre di applicare ai vari temi proposti e alle diverse scale di intervento affrontate.


Quale relazione esiste, nella tua ricerca, tra il problema della sostenibilità e le scelte di linguaggio architettonico?
Ritengo che non esista una relazione diretta o conflittuale tra il problema della sostenibilità e i differenti linguaggi architettonici in quanto tutte le architetture, dovrebbero essere sempre e comunque "sostenibili" o meglio "consapevoli" su diverse scale senza il vincolo della medesima modalità o tecnologia.
Nella mia ricerca professionale, il linguaggio nasce da diverse esigenze e dal mio bagaglio culturale personale; per esempio, il progetto pubblicato in questo numero, è generato da una profonda analisi delle caratteristiche  intrinseche del bambù, dalla mancanza di disponibilità di manodopera specializzata in Italia, dalla funzione, dal budget messo a disposizione dagli sponsor e altri ancora.


Ritieni che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
La risposta al problema della sostenibilità non sono singoli e isolati interventi seppure utili come l'inserimento nei progetti di pannelli fotovoltaici, tetti verdi o frangisole o qualunque altro prodotto perché questi sono solo strumenti che ci consentono di raggiungere un obiettivo più ampio. Su questo aspetto insisto costantemente anche all'interno del Laboratorio di Innovazione Tecnologica che tengo al Politecnico di Torino per spiegare come sia fondamentale avere un piano "sostenibile" completo e specifico per ogni progetto, che consideri la committenza, la posizione geografica, le risorse naturali disponibili in loco, il budget, le funzioni ed utilizzi questi parametri come spunti progettuali consapevoli.


Potresti commentare la frase di Alvaro Siza "La tradizione è una sfida alla innovazione"?
A parer mio tradizione ed innovazione non sono in antitesi bensì  rappresentano l'equilibrio da raggiungere attraverso il progetto architettonico. Anche i capolavori contemporanei sono opere innovative ma che appartengono sempre e comunque ad una certa tradizione che in questo modo continua, si evolve e si rinnova continuamente. La tradizione può essere il fondamentale supporto per l'innovazione attraverso la riscoperta di tecniche dimenticate o appartenenti ad altre culture ma esportabili in nuovi contesti culturali, economici, sociali. La sfida che menziona Siza la intendo quindi come il raggiungimento di un'innovazione nel rispetto della tradizione e allo stesso livello qualitativo.



Intervista a Luca Dolmetta di LDA Studio 

Cosa intendi per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?
Per assicurare una buona qualità della vita alle generazioni future l'applicazione del concetto di sviluppo sostenibile rispetto alle risorse del pianeta è diventata imprescindibile. La sua applicazione nell'architettura (oltre che nell'urbanistica e nella gestione del territorio) comporta sempre più un'integrazione delle diverse competenze specialistiche che partecipano al processo di progettazione/costruzione degli edifici in modo da governare al meglio i vincoli ambientali chiamati in causa dalle attività di costruzione che hanno implicazioni sociali, ecologiche ed economiche. Affrontare quindi la sostenibilità in un progetto di architettura significa anche affrontare il tema della progettazione dal punto di vista energetico cui fa seguito evidentemente un grande lavoro ingegneristico e tecnologico per migliorare la prestazione di una costruzione.
 
Ritieni che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
Sicuramente la sostenibilità è un tema che caratterizza da tempo il progetto dell'architettura soprattutto di quegli architetti, come ad esempio Mario Cucinella, che sviluppano progetti di architettura ed urbani attenti alle strategie ambientali per il controllo climatico. Penso infatti che da un punto di vista energetico l'architettura sia di per sé responsabile di una serie di errori e benefici e forse converrebbe maggiormente parlare di sostenibilità "urbanistica" del progetto. Pensare al tema della sostenibilità ogni volta che si sviluppa un progetto di architettura dovrebbe comunque essere considerato non un tema di moda ma una necessità concreta soprattutto per la sopravvivenza stessa dell'architettura.


Ritieni che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
Sicuramente tecniche e materie sono importanti per il perseguimento di prestazioni energetiche di un edificio. Penso però che un edificio disegnato bene, orientato opportunamente e con la giusta forma abbia già buone performance, che possono essere migliorate con interventi tecnologici e con il ricorso a materiali maggiormente "energetici" (ad esempio, vetro e legno). Il tema della forma dell'architettura, più che il solo utilizzo di materie e tecniche specifiche, penso sia quindi importante per iniziare a perseguire un progetto sostenibile.


Potresti commentare la frase di Alvaro Siza "La tradizione è una sfida alla innovazione"?
Parlare di tradizione, legata ad un contesto locale specifico, ritengo sia molto importante nel progetto di architettura. Quello che un luogo metteva infatti a disposizione, in termini di materie e condizioni climatiche, ha sempre determinato forma ed architettura degli edifici tanto da renderli una cosa sola con quel luogo. Penso quindi che non esista vera innovazione se non si parte dalla conoscenza/reinterpretazione della tradizione soprattutto quando si persegue un progetto "sostenibile" anche dal punto di vista del suo rapporto con il paesaggio locale.


Intervista a Paolo Brosio dello Studio AS Architetti Associati


Cosa intendi per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?
La sostenibilità ha sempre costituito un elemento fondante del progetto  architettonico. In passato, l'uomo, nel costruire le proprie città, ha sempre tenuto in grande considerazione la sostenibilità degli edifici.
La scelta di siti sicuri e salubri, l'adattamento della forma degli edifici alla morfologia del territorio, la scelta dei materiali in funzione dell'affidabilità, della durevolezza e della disponibilità in loco, le scelte compositive relative alla forma e dimensione delle aperture, dei balconi, dei porticati, dei terrazzi, delle tipologie delle coperture ecc., in funzione delle caratteristiche climatiche, sono sempre state dettate da una grande  attenzione al contesto ambientale.


Ritieni che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
La sostenibilità, a nostro avviso, non è un tema nuovo, ma semplicemente un aspetto del progetto che nella seconda metà del secolo scorso è stato largamente trascurato. Oggi, è una doverosa e importante responsabilità di ogni progettista, recuperare l'attenzione per questi temi che non possono essere trascurati in funzione del cosiddetto "Linguaggio Architettonico" che se avulso dal contesto ambientale, diventa una pura esercitazione formale.


Ritieni che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
Noi pensiamo che la cosiddetta "tradizione costruttiva" si sia venuta a formare nel tempo, in seguito ad un continuo processo di sperimentazione e innovazione. Ciò che di antico costruito è giunto fino a noi quasi sempre costituisce testimonianza di una passata innovazione riuscita con successo. In questo senso "la tradizione sfida l'innovazione" perché essa stessa è figlia di un processo innovativo e ancora oggi può avere contenuti di grande modernità.


Intervista a Paolo Belardi dello Studio Hof 

Cosa intendi per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?
Forse perché sono umbro, e quindi sono particolarmente sensibile al pensiero francescano, per sostenibilità intendo il rispetto e la cura della terra. Il che, se relazionato al progetto di architettura, significa evitare di sprecare inutilmente le risorse ambientali e governare virtuosamente le modificazioni degli agenti fisici e biologici. Ovvero significa concepire ogni intervento non come fine a se stesso, ma come parte di un insieme. Il concetto di sostenibilità è quindi legato indissolubilmente ai concetti di fratellanza e di appartenenza. Così come puntualizzato fin dai primi anni Cinquanta dal Richard Neutra di Survival Through Design/Progettare per sopravvivere.


Ritieni che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
La sostenibilità, parafrasando un'acuta notazione di Massimo Pica Ciamarra, sostiene da sempre l'architettura. Ma ormai l'architettura sostenibile è diventata una polirematica modaiola onnicomprensiva e, quindi, assolutamente generica: un grimaldello professionale volto a strappare il "permesso a costruire" (al pari del servizio igienico 1,80 per 1,80 metri nel caso dell'accessibilità) o, più ancora, un vessillo ideologico sbandierato senza cuore anche da coloro che contrabbandano per sostenibili interventi edilizi manifestamente insostenibili. Così come appalesato dagli "orrendering" pubblicati a corredo della gran parte degli annunci immobiliari.


Quale relazione esiste, nella tua ricerca, tra il problema della sostenibilità e le scelte di linguaggio architettonico?
Da ingegnere che lavora con altri ingegneri e insegna in una facoltà d'ingegneria (ma che ama l'architettura nel senso indicato da Giò Ponti), sono consapevole del fatto che, per rendere sostenibile un edificio, non basta infarcirne il tetto con pannelli fotovoltaici o con pale microeoliche. Un edificio sostenibile non è la sommatoria degli eco-gadgets presentati nell'ultima manifestazione fieristica, ma è l'integrale alla data dei saperi umanistici e scientifici della comunità cui appartiene. Ovvero è una vera e propria condizione culturale.


Ritieni che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
Si, anche se insolite quanto forse desuete: l'etica, l'estetica e l'euristica. Anche in materia di architettura sostenibile, infatti, il senso della morale, l'amore per la bellezza e il coraggio delle idee (in sintesi la cultura del progetto) rappresentano componenti progettuali ben più efficaci e incisive delle vernici antipolveri o delle pareti ventilate. In tal senso, quella della sostenibilità è una grande sfida creativa che, imponendo un sensibile rinnovamento tipologico, potrebbe aprire nuovi scenari disciplinari. Magari restituendo alla nostra categoria professionale la credibilità necessaria per ricucire lo strappo tra addetti ai lavori e grande pubblico. 


Potresti commentare la frase di Alvaro Siza "La tradizione è una sfida all'innovazione"?
Dal punto di vista della sostenibilità, non ha senso approfondire l'aspetto energetico trascurando l'aspetto compositivo. Perché una casa molto efficiente dal punto di vista energetico, ma brutta, è meno sostenibile di una casa poco efficiente dal punto di vista energetico, ma bella. Almeno fino a quando la qualità del paesaggio rimarrà un valore da tutelare. Così come non ha senso coltivare la cultura della separatezza disciplinare. Altrimenti rischiamo di disseminare edifici più o meno intelligenti all'interno di una città stupida. Questo i nostri avi lo sapevano benissimo. Basta pensare a come sia le case rurali che le ville patrizie (e con esse le città storiche in genere), oltre a essere bellissime, funzionavano (e spesso funzionano tuttora) perfettamente dal punto di vista bioclimatico grazie ai semplici principi metaprogettuali (orientamento, esposizione, forma ecc.) su cui era fondata l'architettura della città.


Intervista allo studio Quattroassociati 
 
Cosa intendete per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?

Prima di tutto vorremmo soffermarci sulla considerazione che "l'architettura è uno strumento per la felicità e il benessere degli uomini". Ci sembra che questa relazione necessaria si sia un po' persa e che l'architettura, o perlomeno una parte di essa, sia diventata lo strumento per la felicità e il benessere dei soli architetti. Intendo dire che l'architettura, o perlomeno quella che più facilmente appare sui mezzi di informazione, sta diventando sempre più una disciplina autoreferenziale, che parla solo a se stessa, indifferente ai reali bisogni di chi questa architettura deve fruire. Ne viene privilegiato il puro valore iconico o, quando va bene, intellettuale. Forse questo è un processo inevitabile, inserito nella complessiva spettacolarizzazione della cultura, e non tutta la colpa è degli architetti; forse, anche, è sempre stato così, ma ci sembra che ora questo atteggiamento coinvolga tutti gli aspetti legati al vivere dell'uomo, dal design degli oggetti quotidiani allo sviluppo urbanistico delle città, come si dice "dal cucchiaio alla città", o che perlomeno si sia "democratizzato": se fino alla metà del secolo scorso l'esaltazione del valore iconico di un'architettura era limitato ad alcuni episodi legati alla rappresentatività istituzionale o sociale, ora questo aspetto è diventato il più importante se non l'unico preso in considerazione anche per gli interventi più minuti. Ma forse sto andando fuori tema?


Ritenete che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
La "sostenibilità" in architettura può, deve, essere declinata in modi diversi e anche alternativi: pare che la leggerezza, l'immaterialità, la trasparenza incarnino di per se il concetto di sostenibilità; ma paradossalmente uno dei complessi più "sostenibili" della storia dell'architettura occidentale ci sembra siano i Fori Romani, in cui ogni singola pietra, ogni singolo mattone è stato riutilizzato per secoli, per costruire altri e diversi edifici. Ma non è solo un problema di riutilizzo dei materiali: la Cà Granda di Milano per le sue caratteristiche tipologiche, da ospedale che era è diventato un'università, e funziona perfettamente, e altrettanto perfettamente potrebbe diventare un museo; è la lezione di Aldo Rossi, quale edificio moderno può pensare di "sostenere" senza radicali trasformazioni un simile cambiamento funzionale? Per questo la sostenibilità vera appartiene forse più al passato che al presente. E' sempre stata tema della migliore architettura. Ogni progetto ha come fine la modificazione dell'esistente: la sua efficacia e la sua sostenibilità stanno nella capacità di introdurre nella realtà modificazioni significative, che consentano di costruirla in un equilibrio più evoluto e complesso.


Quale relazione esiste, nella vostra ricerca, tra il problema della sostenibilità e le scelte di linguaggio architettonico?
Il linguaggio architettonico per noi non è mai una scelta a priori; è invece il risultato, uno dei risultati possibili, della lettura, ovviamente soggettiva, delle condizioni in cui il progetto si cala: non solo il contesto fisico, che comunque per noi ha un ruolo rilevante, ma anche l'appartenenza culturale, la relazione storica. Per noi ogni opera di architettura è innanzitutto organizzazione di conoscenze e un progetto è sostenibile non solo e non tanto perché consuma poche risorse o perché utilizza l'ultima tecnologia disponibile per il risparmio energetico, ma perché si rapporta significativamente con le condizioni dei luoghi come espressione misurata dell'interazione fra uomo e ambiente. Poi, certo, anche noi siamo completamente immersi nel momento storico in cui viviamo e ne subiamo, consapevolmente o meno, i condizionamenti; e ne sfruttiamo le opportunità, anche utilizzando nuovi materiali o nuove tecniche di messa in opera che prima non esistevano. Crediamo sia, questo dei nuovi materiali, un tema comunque importante con cui confrontarsi, anche se il rischio è quello di farsi prendere la mano: a volte viene declinato in modo riduttivo, e la "materializzazione dell'architettura" è effettivamente un aspetto del problema. Molti nuovi edifici si risolvono totalmente nella pelle che li veste. I rapporti dimensionali, le relazioni spaziali, la dialettica tettonica non sono più tema di indagine, il confronto avviene tutto a livello di superficie, si tratta di architettura "superficiale" in tutti i sensi.


Ritenete che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
La materia non è mai neutra, indifferente all'uso che se ne fa. Per questo non si può dire che un certo tipo di materiale sia più "sostenibile" in assoluto rispetto a un altro. Molto dipende dal modo in cui lo si utilizza. Il legno è percepito come uno dei materiali più sostenibili, ma se io lo utilizzo male, non ne sfrutto le caratteristiche intrinseche o lo colloco in una situazione in cui queste sue caratteristiche non sono adatte, allora anche il legno diventa non "economico" e quindi non sostenibile. Materiali e tecniche costruttive diventano per noi scelte architettoniche nel momento in cui sono anche funzionali alla rappresentazione dell'identità di un contesto specifico.


Potreste commentare la frase di Alvaro Siza "La tradizione è una sfida alla innovazione"?
Tradizione, che è sempre espressione di una particolare identità culturale, e innovazione devono necessariamente far parte entrambe della cultura del costruire. La tradizione ha stratificato nel tempo le tecniche migliori, in un processo di selezione che è proprio di tutte le attività umane, non solo dell'architettura. La resistenza al cambiamento così come l'enfasi verso tutto ciò che appare come nuovo sono entrambe parte necessaria della dialettica selettiva. Sapersi porre criticamente, con intelligenza e apertura, all'interno di questa dialettica è la sfida che come architetti ci sentiamo di raccogliere.


Intervista ad Andrea Ponsi


Cosa intendi per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?
Per sostenibilità  intendo l'applicazione di principi  inerenti alla  definizione vitruviana di architettura: attenzione alle caratteristiche fisiche e culturali di un luogo, conoscenza delle implicazioni energetiche e di impatto ambientale nell'uso delle tecniche e dei materiali, organizzazione degli spazi  a scala architettonica, urbana o paesaggistica tali da contenere gli effetti inquinanti e sostenere  l'equilibrio economico delle comunità. Una progettazione sostenibile implica  l'utilizzazione, per quanto possibile, delle energie naturali rinnovabili e, in alcuni casi, stimolarne il loro uso anche mediante progetti di  valore simbolico.  Tutto ciò, tuttavia, solo a   integrazione  della "venustas" che da sempre stabilisce  la differenza tra buona architettura e mediocre, anche se ambiziosa, edilizia.


Ritieni che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
La sostenibilità implica una complessa trama di cui l'architettura rappresenta solo un filo. E' difficile definire la relazione tra  un edificio o un piano urbanistico e le interrelazioni che  si vengono a creare con le psicologie individuali, la cultura, l'ambiente, la disponibilità di risorse di un luogo. Lo stesso luogo non è  distaccato dal mondo, ma è anch'esso  un filo in relazione al grande tessuto della superficie terrestre. Concessa  l'attenuante del dubbio,  occorre lavorare nella direzione della sostenibilità e far si che tecniche, sistemi e materiali sostenibili  diventino, per quanto sappiamo e possiamo, pensieri fondanti del nostro progettare.  Non credo invece ad un' "estetica della sostenibilità" . Lo stesso concetto di sostenibilità implica un continuo fluttuare di principi che si differenziano a seconda della funzione e della localizzazione di un progetto.  Sostenibilità significa "equilibrio" e come tale è inerente alla stessa definizione di architettura.  La  sostenibilità costituisce l' anima dell'architettura, ma , si sa, l'anima è invisibile e chi dimostra di averne una "bella", lo dimostra più con i fatti che con le apparenze.


Quale relazione esiste, nella tua ricerca, tra il problema della sostenibilità e le scelte di linguaggio architettonico?
Nel rispondere a questa domanda  mi vengono in mente alcuni ricordi autobiografici significativi del rapporto tra architettura e sostenibilità. Nel 1972, stimolato da pioneristici esempi che venivano dai paesi anglosassoni , progettai una "casa autonoma"  all'isola d'Elba. La mia tesi di laurea  di due  anni dopo, titolata appunto "La casa autonoma", trattava dell'uso dell'energia solare, eolica, riciclaggio  rifiuti  ecc.  Alla tesi fu negata la lode perchè uno dei professori della commissione di laurea, comunista rigoroso, disse che era una tesi ( leggi: "argomenti") da  hippies. Altro episodio: dopo avere sviluppato  questi temi in California per dieci anni, tornato a Firenze, un famoso  architetto locale ex Radicale mi presentò ad alcuni colleghi definendomi, con il solito benevolente sarcasmo toscano ,come  " quello che si occupa di quelle merdate"... ovverosia di progettazione ecologica. I due episodi simbolicamente chiariscono quanto l'architettura ufficiale,  Razionale, Radicale o altro, tenesse in considerazione il tema della "sostenibilità": cosa c'entrava, a loro parere, l'energia con l'Arte ( e le sue trasformazioni) o  con le grandi interpretazioni  concettual-intellettuali sulla società industriale? Purtroppo  dovevano passare  ben 35 anni per accorgersi che quelle idee non rappresentavano intrattenimenti di giovani borghesi prestati alla contestazione hippy.  Sull'altro versante, in California, ebbi  un'esperienza altrettanto significativa: i pochi studi di architettura specializzati in progettazione sostenibile   tenevano in qualche cosiderazione la  "firmitas "e la " utilitas", ma, concentrati sulle tecniche del problema sia a scala architettonica che urbanistica,  non sapevano di cosa si parlasse quando si parlava di "venustas". Forse c'era la "sostenibilità" ma non l'architettura. I tempi non erano chiaramente maturi per la sinergia dei concetti. Sembra che ora lo siano e questo fa ben sperare. Come ho  detto in precedenza, alla domanda  si può rispondere  con una sola parola: equilibrio. Un' architettura dell' equilibrio non grida la "sostenibilità": la fa sua, talvolta esternandola  in forme riconoscibili, il più delle volte  nascondendola tra i muri, nelle vene  e nell'arterie degli edifici, nei materiali che li compongono,  nel  loro adattamento e disposizione sul suolo;  ne tiene sempre conto  intessendola  a maglie strette con i mai vetusti concetti di  bellezza e di poesia.


Ritieni che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
 Il  luogo suggerisce quali siano, tra le infinite scelte, quelle più rispondenti in tema di materiali o tecniche costruttive.  In alcune situazioni le risposte sono facili e dirette; in altre, come ad esempio nel caso della filiera del percorso dei materiali, talmente complesse  da necessitare, per ogni scelta , una serie di capillari consulenze. Quando ciò è possibile conviene approfittarne. Altrimenti occorre semplicemente affidarsi alla propria intuizione ed al buon senso.


Potresti commentare la frase di Alvaro Siza "La tradizione è una sfida alla innovazione"?
Questa bellissima frase ci dice quanto sia importante  ancor oggi, dopo i fondamentalismi modernisti o postmodernisti, guardare all'architettura come  fosse il nostro stesso corpo: conoscerne la sua anatonomia e  fisiologia , ma anche la storia e la lingua che l'hanno formato. Nutrirlo con  il cibo della curiosità, dell'invenzione e degli incontri con altri liguaggi, ma anche sempre tornare con il pensiero al passato, alla sua autobiografia e alle immagini che sono state impresse nella sua mente fin dall' infanzia.


Intervista al Exposurearchitects


Cosa intendete per "sostenibilità" in relazione al progetto di architettura?
La sostenibilità non si deve ridurre a soluzioni tecniche o  tecnologiche ma deve comprendere -come è sempre stato- la sfera della  qualità dello spazio costruito, la relazione con il contesto, l'attenzione alle ricchezze culturali e storiche del sito ove si va ad  operare.


Ritenete che la sostenibilità sia o possa divenire, in sé, un tema di architettura?
Al momento è uno slogan al quale molti si rifanno per cavalcarne il  carro. Rifacendoci a quanto sopra, sicuramente è il tema che, preso  nella sua varietà, esprime buona parte del fare l'architettura.


Quale relazione esiste, nella tua ricerca, tra il problema della sostenibilità e le scelte di linguaggio architettonico?
Noi partiamo sempre da una ricerca molto concettuale, alla quale fa seguito una ricerca delle forme e dei materiali. In tutte tre le fasi  esiste una fase di riflessione sulla sostenibilità del progetto.


Ritieni che vi siano materie o tecniche costruttive specifiche in relazione al problema della sostenibilità?
Le università vanno sempre più alla ricerca dello specialistico, quindi sicuramente la sostenibilità potrebbe essere materia specifica  di studio.


Potresti commentare la frase di Alvaro Siza "La tradizione è una sfida alla innovazione"?
Alvaro Siza, come Tadao Ando, hanno saputo innovare formalmente sia pur mantenendo, nella gestione degli spazi e della organizzazione dei programmi, una forte tradizione. Non tutti ci riescono...