Marmi e pietre – In soli dieci anni l'isola è diventata la regione leader nella produzione nazionale lapidea e, nonostante la concorrenza asiatica, esporta all'estero per il 70%

Nel giro di un decennio, la produzione lapidea siciliana è triplicata, essendosi portata a circa 1,9 milioni di tonnellate, con una potenzialità pari a circa venti milioni di metri quadrati, riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2: si tratta di un risultato particolarmente significativo, perché con questo volume di materiali estratti la Sicilia si è portata al primo posto nella graduatoria nazionale delle quantità scavate, al netto degli sfridi (scarti).

Uno sviluppo più impetuoso anche del boom mondiale
Come emerge dall'analisi storica, lo sviluppo produttivo ha avuto luogo senza soluzioni di continuità, con una maggiore accelerazione negli ultimi anni, e con un tasso nettamente superiore a quello nazionale: non a caso, l'incidenza della produzione siciliana su quella nazionale è salita dal 7,2% del 1996 al 16,5% del 2006. C'è di più: la progressione isolana è stata maggiore di quella mondiale, che pure ha visto, nel medesimo decennio, il raddoppio del volume estratto e trasformato. Oggi, la quota siciliana sul totale di marmi e pietre prodotti nel mondo è pari al 2%, contro l'1,3% rilevato nel 1996. Il caso Sicilia merita di essere approfondito, perché esprime un consuntivo in forte controtendenza positiva rispetto al resto del Paese e dimostra che anche in Italia esistono spazi apprezzabili per il settore lapideo, nonostante la crescita, talora impetuosa, dei maggiori Paesi concorrenti.

Un'ampia disponibilità naturale
Le ragioni che hanno dato luogo a questo bilancio certamente positivo, sia pure a fronte di problemi importanti tuttora in essere, non sono molte, ma la loro convergenza ha finito per essere determinante. Le maggiori sono la disponibilità di ampie riserve, la propensione delle categorie produttive ad investire, e la presenza di una legislazione regionale favorevole. Non c'è bisogno di presentare analiticamente, in questa sede, le vaste risorse della Sicilia lapidea, a cominciare dal classico Perlato, che già nel 1876 ottenne il primo premio all'Esposizione Universale di Parigi, e che può contare, secondo valutazioni del Centro Regionale per l'Internazionalizzazione, su disponibilità accertate nell'ordine dei due miliardi di metri cubi, che agli attuali livelli estrattivi del comprensorio sono capaci di assicurare la prosecuzione del lavoro per alcune migliaia di anni. Non mancano altri distretti già affermati a livello produttivo e distributivo, come quelli del basalto etneo, della pietra di Comiso, del travertino di Alcamo e di varie tipologie di colorati.

Una legislazione favorevole
Quanto agli investimenti, il settore industriale non si è mai tirato indietro. Nel solo distretto di Custonaci le cave attive sono quasi un centinaio, mentre nel 2000 non arrivavano a settanta, e circa un quarto delle Aziende regionali del settore opera a ciclo integrale, a dimostrazione del fatto che hanno compreso l'importanza di valorizzare compiutamente le risorse in un'ottica di valore aggiunto. Del resto, il 70% della produzione è spedito all'estero, e l'incidenza del grezzo sul valore esportato non supera il 5%: in altre parole, in Sicilia si estrae, si trasforma, e si assicura l'occupazione di 3.500 unità lavorative. La legislazione, dal canto suo, non ha assunto i connotati punitivi che l'hanno contraddistinta altrove. Anzi, la legge regionale 9 ottobre 1980 n. 127 rimane un modello nel suo genere insuperato, per l'ampiezza degli interventi e dei mezzi finanziari resi disponibili, sebbene sia rimasta sulla carta per quanto riguarda la predisposizione del Piano delle attività estrattive, in una moderna logica di programma.

I problemi: l'export sbilanciato e gli scarti
Vale la pena di aggiungere che i risultati avrebbero potuto essere migliori, se fossero stati risolti alcuni problemi che, con l'andare del tempo e la crescita della produzione, sono diventati vere e proprie strozzature. A prescindere dalla mancanza del Piano e dalle incertezze che ne sono derivate nell'impostazione a lungo termine degli investimenti di cava, nell'attuale congiuntura pesano molto le carenze formative in materia professionale, e soprattutto, la questione degli sfridi di estrazione e trasformazione, che nel solo comprensorio del Perlato ammontano a centinaia di migliaia di metri cubi all'anno: la mancanza di un'adeguata infrastruttura di smaltimento, che in quanto tale dovrebbe competere alla Pubblica Amministrazione, ed in modo più specifico agli Enti locali, si fa sentire. Commercialmente, poi, c'è una sperequazione distributiva dell'export a favore del Medio Oriente, a cui è destinata oltre la metà delle esportazioni isolane, imponendo quotazioni sempre meno remunerative, e che condiziona in modo considerevole la redditività di un fatturato che, limitatamente ai due distretti maggiori, si colloca intorno ai 250 milioni di euro: di qui, l'opportunità di politiche distributive e promozionali più articolate.

La Sicilia lapidea è stata capace di progredire in modo assai apprezzabile nonostante lo sviluppo quasi esponenziale della concorrenza, mettendo a frutto una sinergia piuttosto infrequente tra volontà politica e capacità imprenditoriali, e naturalmente, muovendo dalla presenza di risorse importanti e diffuse sul territorio. Ora, è auspicabile che il modulo sperimentato con successo venga riproposto anche attraverso gli opportuni adeguamenti legislativi, per avviare a soluzione i problemi che tuttora sussistono e completare in modo organico e funzionale il ventaglio degli interventi storici.