Office Block  

Località Blumenstr. 47, Fellbach,
Germania
Committente - IMT - Nagler GmbH,
Fellbach
Architetti Dollmann + Partner,
Stuttgart
Progetto costruttivo Bürogebäude con
Montagebereich im eg
Collaboratori Arno Freudenberger,
Stefan Rappold, Abduraman Colaku, Dina Debis, Tim
Lütje
Strutture Heinz Kipp,
Stuttgart
Impianti Rudolf Olbert, Herrenberg; Transsolar
GmbH, Stuttgart; Grlinger + Merkle, Schorndorf
Progetto
Novembre 1996 - Marzo 1997
Realizzazione Marzo 1998 -
Ottobre 1998
Superficie lotto 1.240 m2
Superficie
costruita
1.805 m2
Volume 6.360 m3

Il pregio di una costruzione pensata per il terziario avanzato si misura
sulla base dei requisiti di efficienza economica e funzionale. Il suo valore è
tutto interno ad una dinamica legata alle rigide leggi di mercato, in cui i
parametri osservati rientrano nello stretto rapporto costi-benefici che regola,
in ogni settore dell'attività umana moderna, l'economia delle scelte. In questo
panorama il compito dell'architettura è vissuto come sfida all'imperativo dei
vincoli imposti dalla committenza aziendale, i quali trascendono i processi
tradizionali e, se vogliamo, anche accademici della
progettazione.
Nell'edificio per uffici della ditta IMT Peter Hager a
Fellbach, lo studio Dolmann ha ben interpretato le priorità della commessa senza
tuttavia rinunciare all'indirizzo di una ricerca insieme estetica e tecnologica.
L' assenza di riferimenti sul luogo (non era stato infatti indicato il sito
della costruzione) ha concentrato gli sforzi degli architetti oltre che sulle
scelte di programma - tempistica e contenimento dei costi - sul design del
prodotto inteso nella sua estrema sintesi di forma-
funzione-tecnologia. Più
che di architettura occorre in questo caso parlare di oggetto di design a scala
architettonica. Il rapporto già osservato da altri critici tra questa
costruzione e l'estetica dei microchip rende bene l'idea della sostanza
oggettuale del prodotto, della sua anomia rispetto alla collocazione in un luogo
prefissato, del suo essere, insomma, perfettamente adattabile a qualsiasi
contesto, in quanto oggetto rispondente a logiche interne e trascendenti la
contingenza del luogo.
La forma scelta per questo edificio è il quadrato di
21 m di lato, mentre il principio costruttivo è quello modulare della
prefabbricazione pesante. La struttura portante è una griglia in acciaio
composta da 4 x 4 moduli con interasse di 5 m. In altezza l'edificio si sviluppa
su quattro livelli con un interpiano di 3,5 m. All'interno si inseriscono oltre
ai componenti di tamponamento (solette e pareti), le scale e le unità spaziali,
e cioé sale riunioni, biblioteca e servizi, interamente prodotti in fabbrica. La
geometria delle operazioni e delle scelte progettuali, che ha condotto alla
realizzazione di questo manufatto squisitamente tecnologico, risponde
puntualmente ai programmi funzionali di un'azienda di servizi: trasparenza in
termini di apertura e luce nelle aree di lavoro e nei percorsi di circolazione,
privacy negli spazi deputati agli incontri aziendali e massima flessibilità
ubicativa.
Il principio secondo cui la sostanza di una costruzione procede
dai dettati del programma e non da presunte categorie formali o tipologiche è
stato significativamente esposto agli inizi dell'Ottocento da un teorico
francese d'eccezione: J. N. L. Durand, destinato ad ispirare con il suo trattato
enciclopedico generazioni di architetti futuri. Con la formulazione dell'"idea
di programma", infatti,
si viene ad affermare un principio che, oltre ad
avviare un processo che vede il suo apice nell'esperienza del movimento moderno,
determina con forza un antidoto alla più classica versione del concetto di
"tipo" di matrice formalista. Non sono pertanto i dati fisici e materiali a
determinare le caratteristiche di un edificio ma le sue ragioni astratte e
immateriali, e comunque quantificabili in termini di efficienza ed economia, a
verificare le valenze di una soluzione progettuale.
Superati i connotati di
"stile", "carattere" ma anche di "tipo", che presuppongono l'importanza della
specificità in un prodotto edilizio, le avanguardie, dal movimento moderno in
avanti, propongono il rispetto delle istanze programmatiche in concomitanza con
una produzione edilizia che si caratterizza per una prevalente omogeneità e
indifferenza formale, in cui il significato di forma è inteso nella accezione
classica di misura e/o proporzione.
Entro questo quadro complessivo va letta
anche l'esperienza progettuale dello studio Dolmann, che ha l'indubbio merito di
proporre un oggetto di qualità nella difficile prova dell'edilizia
prefabbricata. In questo senso, nonostante i limiti congiunturali, o forse
grazie a questi, il prodotto realizzato colpisce per la ricchezza dei dettagli e
l'efficacia di certe soluzioni estetiche. Esse non risultano infatti
compromesse, ma semmai favorite, dallo sfruttamento di materiali e sistemi di
montaggio economici (le unità spaziali prefabbricate sono semplici container) o
da modalità compositive e di assemblaggio tipiche della costruzione in serie.
Ciò sta ad indicare quanto da tempo, almeno dall'epoca del Bauhaus, si è andato
via via consolidando nell'ambito dell'edilizia industrializzata e cioè che
quella dell'architetto è una specializzazione con metodi e strumenti
inevitabilmente legati al panorama delle possibilità offerte dal moderno mercato
dei materiali e delle tecnologie. Ad attestare la qualità del progetto di
Dolmann sono i numerosi riconoscimenti ricevuti da vari concorsi, quali il
premio tedesco dello zinco 1999 e il premio Hugo Häring 2000, in cui si fa
esplicito riferimento allo speciale impiego di tecniche di anticorrosione
nell'acciaio zincato e all'originalità delle modalità di costruzione e più in
generale compositive dell' edificio.
La scatola architettonica dell'edificio
è un oggetto ad un tempo aperto ed ermetico, semplice e complesso: un volume a
tutta altezza solcato da passaggi aerei e dalle esili strutture verticali dei
pilastri. Tutt'intorno alla maglia strutturale corre la pelle dell'edificio
composta alternatamente dalle due coppie di facciate opache e trasparenti. Le
prime, realizzate con elementi prefabbricati in calcestruzzo a base di pomice,
presentano una serie di aperture orizzontali rifinite con sistemi di protezione
in acciaio zincato; le seconde, realizzate interamente in pannelli di vetro
fissati su correnti e montanti in acciaio, possono presentarsi nella doppia
veste aperta-chiusa con l'ausilio di una serie di frangisole a scorrimento in
lamelle d'alluminio.
Alla essenzialità ermetica delle facciate opache,
dunque, si alterna il sistema aperto e trasparente delle altre, dove un prezioso
gioco di sovrapposizioni, leggibile in filigrana, lascia intravedere la
complessità ed insieme la leggerezza sospesa dell'impianto interno.

Testo di Filippo Nicotra
Estratto da Materia n. 40

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costruttivi del lucernario

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costruttivi della facciata

												Pianta piano terra
Pianta primo piano Sezione AA