Sentenza Tribunale di Monza, n. 1706/2014

È frequente il caso – complici immobiliaristi frettolosi, cantieri stile Far West e direttori dei lavori distratti – di realizzazione di edifici difformi, viziati e difettosi, sia dal punto di vista urbanistico/edilizio, sia dal punto di vista civilistico.
L’acquirente – affascinato dal luogo e dalla narrazione del mediatore – compra l’immobile ultimato (a volte anche prima, sulla carta) e solo dopo la consegna si avvede delle manchevolezze.
Ne consegue talora un contenzioso legale amministrativo, con necessità di sanatorie edilizie accompagnate da salate sanzioni amministrative, oppure anche un contenzioso civile con richieste di riduzione del prezzo, di quantificazione dei danni e dei costi riparativi dell’immobile che non possieda le qualità promesse in sede di vendita.
Ultimamente vanno molto di moda i contenziosi in materia di certificazioni energetiche (spesso si attesta frettolosamente un edificio in classe A e poi si scopre che non ne ha le caratteristiche) e di rumorosità acustica (tema molto complesso, dove entra in gioco anche la problematica del c.d. rumore di fondo e del differenziale normativo di 3 decibel che a volte mette in crisi anche edifici ottimamente isolati dal punto di vista acustico).
Peraltro, la categoria dei vizi e delle difformità che si possono riscontrare in un edificio è molto ampia e variegata.
L’ordinamento prevede in ordine alle difformità edilizie rilevanti in sede amministrativa la possibilità per l’autorità comunale di intervenire in ogni tempo per contestarle e per emanare le ordinanze di ripristino sia a carico dell’esecutore sia a carico dell’attuale proprietario, recentemente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione 9/2017 si è espressa chiaramente in questa direzione superando alcuni indirizzi giurisprudenziali piu’ tolleranti che ritenevano illegittimo reprimere abusi edilizi in essere da molti anni e tollerati per lungo tempo dall’autorità.
Sul piano civilistico – invece – relativo ai rapporti tra venditore ed acquirente il codice civile prevede alcune norme (in particolare art. 1495 c.c.) in tema di decadenza e di prescrizione delle azioni di risoluzione del contratto di compravendita o di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno conseguenti alla scoperta di vizi nell’immobile compravenduto, norme finalizzate a garantire la certezza dei rapporti giuridici, impedendo che a distanza di molto tempo possano essere rimessi in discussione accordi privatistici spesso aventi importante contenuto economico.
Pochissimi – invece – conoscono un ulteriore limite legale alla possibilità di avviare liti contro il venditore introdotto dall’art. 134 del DPR 380/2001, testo unico dell’edilizia, il quale prevede che l’acquirente (o anche il conduttore) di un immobile che riscontri difformità nell’edificio acquistato (o condotto in locazione) rilevanti dal punto di vista amministrativo dispone di un termine massimo di un anno dalla data di scoperta del vizio per denunciare formalmente il vizio al Comune dove si trova l’immobile, quale condizione necessaria per poter poi agire in giudizio in sede civile e chiedere il risarcimento del danno al venditore (o proprietario locatore).
Il predetto art. 134 del testo unico dell’edilizia mira chiaramente a garantire il rispetto delle norme edilizie, mettendo “sotto pressione” l’acquirente od il conduttore affinché informino subito l’amministrazione comunale dell’esistenza dei vizi rinvenuti nell’immobile, consentendole di intervenire verso il proprietario per ripristinare la regolarità edilizia ed irrogare le sanzioni amministrative dovute, giacché in caso contrario l’acquirente o il conduttore perdono completamente il diritto di chiedere il risarcimento del danno per l’immobile difettoso che si trovino ad occupare, il che non è poco.
Insomma, una sorta di “whisteblowing” (delazione) edilizia imposta per legge e necessaria per tutelarsi e poter far valere i propri diritti contro il venditore o locatore, altrimenti … passata la festa gabbato lo santo …
Il Tribunale di Monza, decidendo con la sentenza che allego un caso singolare, ha fatto applicazione (uno dei primi in Italia) di questa regola dell’art. 134 del DPR 380/2001 (poco conosciuta da chi non frequenti molto il testo unico dell’edilizia), respingendo la domanda di risarcimento dei danni di soggetti che avevano acquistato un immobile irregolare (locali con altezza interna di 2,55 metri), che non avevano denunciato il vizio al Comune per anni e che si erano attivati giudizialmente contro i venditori solo dopo alcuni anni dall’acquisto, allorquando avevano deciso di affittare l’immobile ad un cittadino extracomunitario, il quale aveva ivi chiesto la residenza, costringendo gli uffici comunali a visitare l’alloggio e a negare l’agibilità proprio perché mancavano le altezze minime regolamentari, quindi facendo emergere il problema.
In altri termini, in caso di vizi e difetti edilizi che comportino rilievo dal punto di vista del testo unico dell’edilizia il Comune deve sempre e subito essere coinvolto ed informato, altrimenti viene meno la tutela giudiziaria civilistica per i vizi e le difformità.
Tra questi vizi non vi sono solo le difformità rispetto al progetto approvato dal Comune e gli abusi edilizi veri e propri (ossia opere mai autorizzate), ma anche – ad esempio – le irregolarità in tema di classe energetica e di classe acustica, come pure le irregolari attestazioni impiantistiche in sede di certificato di agibilità, poiché l’art. 24 del DPR 380/2001 pretende sempre che l’agibilità venga rilasciata solo a condizione che esista e sia attestata la conformità degli interventi edilizi ai progetti approvati, progetti che comprendono sia le parti edilizie che le parti impiantistiche e strutturali.