Il modo di insegnare, e anche quello di apprendere, sta cambiando a una velocità mai raggiunta prima d’ora. Complice sicuramente la situazione indotta dalla pandemia da Covid 19, oggi si richiede agli spazi sempre maggior flessibilità per garantire lo svolgimento di attività tradizionali e, allo stesso tempo, consentire l’aggregazione o la frammentazione di gruppi più o meno grandi in funzione del livello di interazione (unidirezionale, bidirezionale, workshop, brainstorming). Qualsiasi siano la condizione e le esigenze di apprendimento, esistono parametri che un’aula scolastica, comunque la si intenda, non può non rispettare. E uno dei primi fattori è indubbiamente la luce naturale che, oltre a essere requisito fondamentale per la salubrità di un ambiente, favorisce lo svolgimento ottimale di molte funzioni, dalla fisiologia dei ritmi circadiani alla concentrazione, dallo sviluppo cognitivo all’efficienza nell’apprendimento e nell’esecuzione di compiti. Inoltre, ambienti con alti livelli di luminosità e buoni indicatori di distribuzione possono più facilmente essere modificati e riorganizzati secondo necessità, senza compromettere sostanzialmente le prestazioni. La possibilità di ventilazione naturale, associata all’uso consapevole delle finestre, garantisce, infine, un maggiore controllo della traspirabilità dell’involucro edilizio, aumentando la sensazione di comfort ambientale interno.
Le scuole non sono, dunque, contenitori neutri. A seconda di come sono concepite, possono favorire alcune dinamiche o rappresentare un freno a determinate situazioni. Normative di riferimento, da un lato, le capacità di progettisti e la cultura tecnica di riferimento, dall’altro, indicano seppur in modo spesso non perfettamente uniforme la direzione da seguire. Il progetto della luce naturale purtroppo è il “figlio illegittimo” di normative disattese e di prassi e abitudini non corrette raramente messe in discussione. La nuova scuola elementare/nido di Alfedena, in provincia de L’Aquila è un buon esempio di questo tipo di percorso che, grazie allo sforzo di alcuni, ha però preso una via diversa. Si tratta di un edificio di nuova costruzione, ancora in via di completamento, che ospiterà classi elementari e un asilo nido, con ambienti virtualmente collegabili, all’occorrenza. L’impostazione è semplice: una pianta rettangolare con corridoio centrale e aule disposte a pettine sui due lati, orientati a sud-est e nord-ovest; un piano fuori terra; un tetto in legno lamellare curvo, a vista.

Velux è entrato nel team di progetto quando il cantiere era prossimo all’avvio e, grazie all’accordo con l’Associazione Comuni Virtuosi (www.comunivirtuosi.org), l’Amministrazione locale e il progettista, l’arch. Antonio Di Tanna, si è deciso che una delle aule, quella destinata alle classi del nido, diventasse uno spazio modello in quanto a luce naturale. Il fine era realizzare un prototipo virtualmente replicabile in futuri interventi. Il progetto era già stato approvato, con la verifica dei rapporti aero-illuminanti a garanzia del livello di illuminamento previsto. Come spesso accade (l’abbiamo già evidenziato nell’articolo di Arketipo n. 147), il rispetto di tale prassi burocratica non riesce quasi mai ad assicurare quanto la stessa legge indicherebbe. Nel caso di edifici scolastici, infatti, il DM Salute del 18.12.1975 prescrive almeno il 3% di Fattore medio di Luce Diurna, laddove nel progetto in questione ci si attestava su un valore molto più basso (tra 0,63 e 0,71%, nelle aule).
Abbiamo già riscontrato, infatti, come il calcolo dei valori analitici non è ancora riuscito a diventare prassi dopo 46 anni dal suo assorbimento all’interno dell’apparato normativo nazionale obbligatorio. Tecnicamente, la colpa di questo scollamento, nel caso specifico, era attribuibile ad alcuni fattori:
a. l’aggetto orizzontale esterno;
b. i soffitti alti e continui e le strutture lignee a vista;
c. la scarsa quantità di cielo visibile.
Il primo punto ha, inoltre, una profonda influenza sul terzo, che dipende anche dalla (inevitabile) presenza di edifici dall’altro lato della strada. I passaggi nodali del processo di ottimizzazione sono stati tre:
1. il miglioramento delle quantità e verifiche illuminotecniche;
2. il confinamento delle componenti dirette nell’ottica della gestione futura dell’immobile;
3. la fase creativo-compositiva libera e la trasparenza verso l’aula adiacente.

Il miglioramento delle quantità

La normativa UNI 10840 del 2007 indica il 5% come soglia minima del FmLD per le scuole per l’infanzia. Un valore maggiore del già menzionato DM del 1975. Pur non essendo norma nazionale, ma standard europeo, esso rappresenta il riferimento tecnico per una progettazione adeguata: è stato dunque l’obiettivo della prima fase di implementazione. Non essendo possibile intervenire su alcuno dei caratteri precedenti, identificati come corresponsabili dello scarso risultato (il progetto architettonico e strutturale erano già approvati), la strada maestra è stata quella di coinvolgere il tetto. L’uso di quattro finestre in copertura assicura, come prevedibile, il raggiungimento del valore target (in questo caso, si arriva al 5,37% di FmLD). A una prima analisi, il problema parrebbe risolto: lo spazio è migliorato e i valori di riferimento sono sotto controllo. Le finestre in copertura sono belle e danno una meravigliosa sensazione di continuità con l’esterno, consentendo la vista del cielo azzurro dell’Abruzzo. Se si ragiona però sulla reale gestione dell’immobile, si apre un’altra questione: le aperture zenitali contribuiscono per la quota maggiore all’alto livello di luminosità, ma la loro posizione e l’orientamento dell’ambiente comportano la presenza di intense macchie di luce diretta (quella che abbiamo definito “luce solida”) non solo nella parte centrale del campo visivo ma direttamente sui pavimenti e sulle superfici di lavoro, che si tratti di banchi o di tavolini bassi, o anche di aree gioco. Il guadagno termico a esse correlato, così come l’iperilluminamento delle superfici d’impatto, rischiano di diventare causa di discomfort ambientale e visivo. L’uso di schermature oscuranti o filtranti, di cui le finestre sono provviste, garantisce teoricamente la necessaria flessibilità nella prestazione, se utilizzate in modo corretto in funzione delle necessità e del tempo atmosferico (condizioni del cielo, orario, giorno ecc.). Data la funzione scolastica, è risultata difficile da prevedere una costante e oculata attenzione alla gestione delle schermature e, in caso di “distrazione”, il provedimento sarebbe stato inefficace.

La gestione dell’immobile e il confinamento delle componenti dirette

A volte la posizione delle aperture può essere studiata strategicamente per ovviare a questo tipo di disagi: spostare le finestre in prossimità delle pareti interne orientate a sud fa sì che le macchie di luce solida rimangano confinate sulle superfici verticali, arricchendole con la loro graficità e, allo stesso tempo, tenendo le zone centrali delle stanze al riparo dall’arroganza del raggio diretto. La posizione radente comporta un assorbimento della luce più rapido, concentrando parte della diffusione (considerazione supportata dai valori di riferimento che si abbassano), ma il FmLD resta comunque oltre il 5% richiesto dalla UNI di riferimento. In termini percettivi, la distribuzione delle sorgenti è nettamente più equilibrata: la funzionalità dello spazio centrale è garantita e le forme disegnate dalla luce diretta sono più allungate con conseguente diminuzione dell’illuminamento (stessa intensità per una superficie maggiore). Il confinamento delle componenti solide sulle superfici verticali è una strategia a costo zero, poiché influisce solo sulla posizione di aperture magari già previste nel progetto, ma consente di ottimizzare il bilanciamento delle luminanze sulle superfici e nel campo visivo, sempre che l’orientamento degli ambienti e la funzionalità delle zone lo consentano. È bene sottolineare che non è una strategia di tipo energetico: la luce diretta è ancora in grado di entrare e colpire le superfici, scaldandole, ma il fatto che non finisca addosso alle persone o sui piani di lavoro può rappresentare un iniziale compromesso anche con la ricerca del comfort termico.

Fase compositiva: l’importanza della trasparenza

Una volta sciolti tutti i nodi tecnici, c’è spazio per divertirsi e per lasciare un po’ di libertà all’espressività. Aver localizzato nel campo visivo una “zona della luce” ci consente di enfatizzarla con una forma pura, colorata, dietro la quale si muovano e si nascondano le macchie di luce solida. Un triangolo blu, sospeso, diventa l’oggetto iconico dell’aula, lasciando comunque aperta la vista del cielo. Inoltre, sulla scia del tema della trasparenza e della continuità affrontato nei numeri precedenti, un foro circolare tra l’aula oggetto di intervento e quella alle sue spalle, dietro il triangolo, regala una distribuzione di secondo livello agli alunni privi della vista diretta del cielo, aggiungento una luminanza nuova in un punto dell’aula che altrimenti resterebbe in ombra. Queste ultime scelte non aggiungono né tolgono nulla ai ragionamenti di tipo tecnico. Come in molti altri passaggi di ogni processo progettuale, una volta garantite le prestazioni, ci si può spingere oltre, verso la caratterizzazione spaziale, senza temere di compromettere la funzionalità. In un mondo in cui l’ottavo di RAI rappresenta erroneamente l’alfa e l’omega, il consiglio sulla metodologia di approccio ideale (anche in parte legato al buon senso) è questo: prima di tutto, atteniamoci alle normative vigenti; in secondo luogo cerchiamo gli standard ottimali del settore; infine, melius est abundare quam deficere nella ricerca di valori matematici conformi ai riferimenti in modo da poter lavorare anche sull’espressività della forma, delle superfici o per caratterizzare gli ambienti. Ultimo suggerimento: cerchiamo di non privare uno spazio a uso diurno della meraviglia di poter vedere il cielo azzurro.