Il museo sorge nella zona di Nuovo Polanco ed è uno dei più estremi interventi di recupero di una ex area industriale di Città del Messico; oggi il quartiere è uno dei più dinamici della città con i suoi esclusivi negozi, boutique, ristoranti e centri commerciali. Il lotto di progetto è caratterizzato da una difficile forma triangolare. È delimitato a sud dalla strada a grande scorrimento Miguel de Cervantes Saavedra, a nord dai binari ferroviari della linea (ancora in funzione) Ferrocarril de Cuernavaca e a est, a brevissima distanza, da una torre ellittica per appartamenti. L’ecclettico contesto comprende lo scultoreo Museo Soumaya (progettato da FREE - Fernando Romero per ospitare la collezione d’arte privata del magnante delle telecomunicazioni Carlos Slim) e, un paio di metri di fronte, il Teatro Cervantes (progettato dallo studio madrileno Ensamble Studio), una costruzione ipogea che segnala la sua presenza con una gigante copertura caratterizzata da una esibita struttura di acciaio. Se la maggior parte delle opere del raffinato progettista inglese traggono la loro origine dalla morfologia e dalla texture del contesto di riferimento, qui, la natura eclettica del quartiere, privo di un’estetica coerente con cui confrontarsi, porta David Chipperfield a concepire il museo come un padiglione indipendente. Una sorta di piccola e robusta fortezza che sorprendentemente riesce a distinguersi nel caos degli edifici che lo circondano e a portare regolarità al contesto. Il quartiere generale (operativo e amministrativo) della Fundación Jumex, così come il deposito delle opere, rimane nella spazio espositivo che precedentemente ospitava la collezione nella periferia industriale di Ecatapec, all’interno della fabbrica di succhi Jumex. Il museo di Città del Messico ha come obiettivo quello di fornire un contenitore flessibile (rispetto alla diversa natura delle opere esposte e ai differenti approcci dei curatori) per le esposizioni temporanee provenienti dalla sempre crescente Colecciòn Jumex, rendendola visibile a un pubblico vasto nel cuore della capitale messicana. Al contempo, il Museo vuole essere una infrastruttura sociale e culturale, assumendo l’ambizioso ruolo (che comunemente compete a un’istituzione pubblica) di promuovere un’azione educativa della collettività fornendo spazi per dibattiti, proiezioni e conferenze pubbliche sull’arte.

Le prime ipotesi del museo elaborate dai progettisti prevedevano una struttura frammentata in una serie di piccole scatole. La soluzione è stata poi scartata per la natura della Collezione e per esplicita richiesta della committenza che richiedeva un ambiente il più possibile grande e unitario, come quello dell’originario deposito. Nella soluzione finale il museo ha una forma planimetrica regolare (che realizza la massima occupazione di piano del lotto triangolare) e si sviluppa in altezza per trovare tutta la superficie necessaria alla sua funzione. Si tratta di una compatta scatola di travertino locale colore crema, sospesa su massicce colonne che, con i suoi successivi piani lievemente sporgenti uno sull’altro, ricorda alcune forme precolombiane. Gli spazi espositivi veri e propri sono ospitati negli ultimi due livelli con la galleria superiore che ottimizza l’uso della luce naturale per mezzo dei quattro shed. A essi si deve il profilo frastagliato in sommità, un richiamo a una pietra miliare dell’architettura moderna messicana: la casa-studio costruita da Juan O’Gorman per la coppia di artisti Diego Rivera e Frida Kahlo. I due livelli inferiori comprendono una serie di spazi che rispondono agli obiettivi più sociali e pubblici del programma. Il piano terra sospeso su 14 massicci pilotis è organizzato con un atrio vetrato e una caffetteria aperti su un profondo loggiato. Esso occupa la maggior parte dello spazio e si apre a sua volta sulla piccola piazza antistante (condivisa con il museo Soumaya e il foyer del teatro ipogeo Cervantes) permettendo a quest’ultima di fluire direttamente nel “ventre” del museo.

Gli ambienti del piano terra incarnano così la funzione di luogo dinamico a destinazione realmente pubblica del museo in un riuscito equilibrio tra apertura e riservatezza. L’atrio vetrato, con le sue pareti di cristallo a tutta altezza incorniciate da sottili telai di acciaio, i pavimenti in grandi lastre di travertino e la coppia di enormi porte di legno pivotanti, richiama con la sua purezza gli interni Miesiani del Padiglione di Barcellona e, contemporaneamente, il minimalismo monastico delle opere del grande architetto messicano Luis Barragán. Il primo piano (o piano nobile) è formato da un box vetrato multifunzionale avvolto dal guscio di pietra. Approfittando del clima mite per la gran parte dell’anno la maggior parte dello spazio è organizzato come una loggia aperta dalla quale i visitatori possono godere di una vista protetta sul contesto. La forma della pianta e la posizione del cuore rigido della distribuzione verticale e dei servizi permette di avere a ogni piano un’ampia stanza, suddividibile attraverso gli allestimenti temporanei in due o più spazi individuali. Il livello interrato ospita gli ambienti di servizio, gli impianti e gli uffici amministrativi e un bookshop. Qui, come in tutti gli altri ambienti del museo, la cura del dettaglio è maniacale. Di particolare rilievo la pavimentazione in strisce di travertino di differenti colori provenienti da diverse parti del modo, un’installazione che diventa architettura dell’artista Martin Creed.

UNA COMPATTA SCATOLA DI TRAVERTINO
Il Museo Jumex è formato da una struttura di calcestruzzo armato bianco sospesa su massicce colonne e rivestita su tutti i lati con lastre di travertino colore crema, a eccezione delle colonne e dei soffitti. Il travertino proviene da una cava a Xalapa nello stato di Veracruz sulla costa del Golfo del Messico. Una manodopera altamente specializzata ha tagliato e modellato a mano le lastre di grande dimensione della facciata di (1x2 m e 4 cm di spessore) creando un effetto morbido e naturale. Nel suo insieme il sistema forma una facciata ventilata che avvolge anche le superfici opache degli shed della copertura. Le lastre sono fissate alle pareti di calcestruzzo armato dell’edificio o alla sottostruttura metallica della copertura con un sistema di ancoraggio meccanico. Si tratta di un sistema integrato per facciate ventilate progettato per supportare lastre di pietra di grande dimensione e peso (ciascuna lastra pesa 240 kg) garantendo la sicurezza in fase di installazione e di esercizio e rendendo facile l’eventuale sostituzione dei pannelli nel tempo. La continuità del rivestimento di travertino da all’edificio un solido carattere che rimanda alla tradizione dell’architettura precolombiana. Il rimando è enfatizzato dall’andamento scalettato della facciata che suggerisce l’esistenza di tre livelli con differenti altezze. Una importante decisione, di origine Mieasiana, è la riduzione al minimo dei materiali utilizzati nel museo: oltre al travertino, che caratterizza la facciata e i pavimenti, il calcestruzzo armato bianco, che connota le strutture e i soffitti, e l’acciaio inox, usato per i sottili telai delle aperture finestrate e per i parapetti dei loggiati al primo e secondo piano. Le scale sono un elemento in cui si manifesta l’estrema cura del dettaglio. Esse hanno struttura metallica e sorreggono gradini pieni di travertino con ampi pianerottoli formati da un’unica lastra di marmo. Il parapetto interno è formato da una balaustra di acciaio nero che crea un raffinato contrasto con il bianco morbido delle parti restanti della scala.

LUCERNARI A “LAMA DI SEGA”
Ogni galleria del museo è illuminata dalla luce naturale per offrire ai visitatori esperienze diverse dello spazio. Gli interni non sono illuminati per mezzo di finestre tradizionali ricavate nell’involucro dell’edificio, ma attraverso pochi e grandi vuoti ritagliati nella massa muraria e indirettamente dai lucernari in copertura che determinano il frastagliato profilo della costruzione. I volumi del piano terra e del primo piano sono spazi aperti e flessibili individuati da un involucro trasparente caratterizzato da grandi lastre di vetro ultra chiaro di 6 metri di altezza: semplici membrane di separazione tra l’interno e l’esterno che fanno apparire gli ambienti come un prolungamento delle grandi logge esterne protette dal guscio di pietra. La galleria dell’ultimo livello è uno spazio privo di ingombri strutturali ed è illuminato dall’alto con una luce omogenea che proviene da 4 grandi lucernari inclinati che conferiscono al coronamento dell’edificio la caratteristica forma a lama di sega. La struttura di ogni lucernario è formata da una trave reticolare di grande dimensione che appoggia sui muri perimetrali di calcestruzzo armato e da una orditura secondaria in travi tubolari di acciaio con le specchiature trasparenti orientate a ovest; la loro altezza varia tra 5 e 10 metri sopra il livello del pavimento della galleria. I lucernari con la loro geometria ritmica consentono di realizzare ambienti flessibili ma non privi di espressione, diventando una presenza enfatica non solo fuori ma anche dentro il museo. Ogni lucernario ha un diffusore orizzontale interno (realizzato per mezzo di un grigliato metallico) che permette di ottenere una illuminazione indiretta che consente il pieno godimento delle opere esposte. La luce della galleria superiore può essere moderata per incontrare le specifiche richieste dei diversi curatori e, per soddisfare quelle di chi preferisce un ambiente artificializzato e controllato (in accordo con la teoria del White Cube), gli shed sono completamente oscurabili.

Scheda progetto
Progettista: David Chipperfield Architects with TAAU
Committente: Eugenio Lopez
Periodo di costruzione: 2009 - 2013
Gross area: 4,000 mq
Localizzazione: Mexico City, Mexico
Direttore: Andrew Phillips
Responsabile del progetto: Peter Jurschitzka
Gruppo di progettazione: M. Ball, J. Cohen, R. Trent Davies, J. Feder, P. Jurschitzka, C. Felgendreher, S. Hengsbach, A. Milani, D. Su in collaboration with TAAU
Direttore: Oscar Rodríguez Castañeda
Responsabile di progetto: A. Castañeda
Gruppo di progetto: C. Arenas, R. Ocamo, A Rojas, R. Sevilla
Ingegneria strutturale: Arup, Alonso y Asociados
Impianti meccanici: Arup, Iacsa
Impianti elettrici: Asociados A
Consulente illuminotecnico: Arup
Domotica: BMS
Project management: Inpros
Quantity surveyor: Intercost
Grafica: John Morgan
Impresa di costruzione: wPC Constructores
Carpenteria metallica scale: Doasa
Coordinamento progetto: Coproy
Consulente facciata: Soluciones en Piedra Franco
Vetri e pezzi speciali di legno e acciaio: Kinetica
Cemento bianco: Cemex
Sistema di facciata: Fischer
Marmo travertino: Mármoles Ponzanelli
Apparecchi d’illuminazione: Zumtobel & H+V Iluminación
Ascensori e montacarichi: Kone
Photos: Iwan Baan, Simone Menges, Taau

Materiali naturali, Arketipo 106, 2016