(© A. Chemollo)

Un centro sociosanitario dedicato a pazienti in fase non completamente degenerativa dell’Alzheimer che, per spazi interni ed esterni, è stato concepito da Davanzo Architetti come parte integrante della terapia di riabilitazione degli ospiti.

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Il Centro Diurno Terapeutico Alzheimer di Castelfranco Veneto (Tv) è una struttura sociosanitaria che si relaziona dal punto di vista architettonico e funzionale con il contesto urbano esistente (il Centro Residenziale per Anziani Domenico Sartor, parcheggio e parco), pur mostrando un’evidente autonomia figurativa e tipologica. L’equilibrio fra queste due componenti fondamentali rispecchia, nell’edificio progettato da Martina Davanzo di Davanzo Architetti, la terapia prescritta agli ospiti: 30 persone al massimo in fase non completamente degenerativa della malattia, per le quali la stimolazione cognitiva e le tecniche di riabilitazione consentono il mantenimento delle capacità residue.

L’obiettivo, condiviso con il professor Vito Toso, allora presidente del Centro Sartor, e l’assessore Turioni, era quello di offrire soluzioni diverse alle varie fasi della malattia - ha sottolineato l’architetto Martina Davanzo alla guida dello studio Davanzo Architetti -.
Formulare la proposta di un percorso dall’esordio fino alla fase finale della malattia era la garanzia di una totale presa in carico del paziente e della famiglia (all'interno dell'intera struttura ci sono altri presidi di accoglienza per le fasi avanzate della malattia). Era necessario progettare lo spazio per la fase iniziale in cui al lieve danno biologico si potevano aggiungere sovrastrutture culturali, psicologiche (sminuire i sintomi per non avvilire) emotive (familiari che rifiutano la diagnosi o che assumono un atteggiamento esageratamente protettivo) l’ambiente idoneo diventa promotore delle facoltà residue, sia sul piano cognitivo, funzionale, comportamentale e affettivo”.

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Il progetto è diventato anche occasione per valorizzare una parte della città nelle immediate vicinanze del centro storico, riordinandone gli spazi e definendone gli ambiti, attraverso lo spostamento del parcheggio esistente sul confine ovest dell’area di proprietà.
L’edificio, disponendosi parallelamente al parcheggio con un muro in calcestruzzo forato che attenua il dualismo dentro-fuori, diventa margine di recinzione del verde verso nord e parte del fronte verso via Ospedale, consentendo l’ampliamento dello spazio scoperto.
La dilatata volumetria, che si sviluppa come lato lungo del confine a nord, risulta ulteriormente attenuata dallo scavo del terreno di circa 1,20 metri. Soluzione che ha permesso di realizzare, senza necessità di barriere fisiche di recinzione, il giardino dedicato all’Alzheimer, considerato un ulteriore strumento d’integrazione al percorso terapeutico.

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La configurazione dell’edificio si basa su un linguaggio architettonico autonomo rispetto alla vicina Casa di Riposo, progettata negli anni '70 da Giuseppe Davanzo e Livia Musini, ma sull’utilizzo degli stessi materiali (cemento, guaina rossa, legno) con una particolare attenzione all’efficienza energetica garantita da un’adeguata coibentazione dell’involucro. L’andamento delle falde del tetto rimanda alla distribuzione degli spazi interni, che a sua volta fa riferimento alle indicazioni contenute nel diario di Cary S. Henderson “Visione parziale – un diario dell’Alzheimer”.

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Ecco quindi che nell’organizzazione degli ambienti dedicati agli ospiti hanno prevalso la dimensione domestica e la disposizione su un unico livello e un solo colore che ne facilita l’ambientazione e l’orientamento. Ma non sono le sole soluzioni di un progetto che mette al centro il paziente e le sue esigenze. L’assenza di corridoi è stata sopperita con allargamenti e soste in grado di interrompere le sequenze così come la riconoscibilità degli spazi d’accoglienza degli assistiti, che sono anche d’attesa per la visita medica o occasioni di pausa, è stata ottenuta attraverso una diversa modulazione della luce, del colore o delle forme. E ancora: la variazione dei luoghi e dei temi, pur con percorribilità semplici, dirette, senza frequenti cambi di direzione, permette un orientamento autonomo.

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La struttura, in considerazione delle specifiche esigenze della Committenza, presenta un’impostazione “aperta”, flessibile, con ambienti di dimensione ridotta, che si possano contrarre, dividere, ma anche ampliare per un numero di ospiti maggiore o un nuovo utilizzo. La distribuzione planimetrica e spaziale differenzia le stanze come se fossero gli ambiti di una casa con diverse funzioni. I riti quotidiani legati all’intimità domestica scandiscono il ritmo della giornata e diventano filo conduttore, occasione di sollecitazione, terapia riabilitativa, occupazionale o cognitiva. La sala da pranzo accoglie la cucina e si affaccia su una loggia verso il giardino per permettere, nelle stagioni più miti, di mangiare o sostare all’aperto. Il soggiorno è suddivisibile in spazi più piccoli per diverse attività personalizzate o per pochi ospiti. A completamento è stato realizzato anche un spazio insonorizzato per la produzione o l’ascolto della musica.

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Tutte le aree (per lo svolgimento delle attività, il pranzo, il portico e il giardino interno) sono controllate da un centro operativo, con lo scopo di proteggere gli ospiti pur garantendone l’indipendenza d’iniziativa e movimento. Gli spazi all’aperto sono in sequenza per aumentare le occasioni di utilizzo, anche personalizzato, e di socializzazione. Tutti i giardini sono infatti tra loro collegati attraverso un percorso circolare coperto per favorire, anche in condizioni di mal tempo, la deambulazione continua “wandering” tipica di alcuni pazienti a un certo stadio della malattia. Gli stessi principi di accudimento, protezione e autonomia riservati agli ospiti regolano quindi il rapporto fra spazi interni (quelli degli operatori sono nettamente separati) ed esterni creando un circolo virtuoso con impatto terapeutico.

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