Com’è cambiato il vostro lavoro dal punto di vista operativo e come avete gestito questo periodo di emergenza?
L’emergenza non ha drasticamente modificato il nostro lavoro né il nostro modo di operare, in quanto la natura del nostro studio era già predefinita con un assetto smart. Nati a Catania, abbiamo aperto una sede a Cape Town in Sud Africa 5 anni fa e da gennaio 2020 siamo anche a Milano. Quindi ormai da diversi anni abbiamo imparato a lavorare a distanza. Questo ha richiesto una notevole flessibilità e ci ha insegnato a gestire rapporti e lavori in questa modalità che oggi è diventata un’imposizione. Strumenti quali Zoom, Skype, Cloud ecc. sono il nostro pane quotidiano, consentendoci di gestire diversi progetti fra diversi continenti. Abbiamo sfruttato questi mesi per mettere a punto la strategia e lavorare sulla nostra vision e i promettenti progetti futuri, è stata anche una buona occasione per concentrarsi su alcuni progetti che richiedevano ulteriore revisione.

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Al di là della situazione contingente questa pandemia pone una serie riflessioni sul ruolo della progettazione legato a moltissimi temi. A partire dalla città e dalle sue trasformazioni nel prossimo futuro. Quali pensiate possano essere gli insegnamenti da trarre e quali le strategie per uno sviluppo urbano sostenibile?
Gli insegnamenti più importanti, a mio avviso, sono quelli che derivano dall’osservazione delle dinamiche che si stanno mettendo in atto in questa fase di lenta ripresa. Molte aziende stanno riflettendo sulla possibilità di continuare con il ‘remote working’ (cosa ben diversa dallo ‘smart working’) e molte chiedono ai progettisti di rivedere i propri spazi in funzione di una maggiore flessibilità del personale. Ecco, una maggiore flessibilità nel modo di condurre la nostra vita (sia privata che lavorativa) sarà necessaria, e questo si ripercuoterà anche sul nostro lavoro di architetti, suggerendo un approccio più flessibile e creativo ai temi della residenza e dell’ambiente di lavoro.

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Un altro dei temi emersi è senza dubbio quello della centralità della casa, messa a dura prova da un lungo periodo di convivenza forzata. Come dovranno essere le case del futuro in termini di ambienti, spazi, materiali e tecnologie utilizzate?
Esattamente in linea con quanto detto al punto precedente, la flessibilità dei luoghi della residenza sarà cruciale nel prossimo futuro. A questo aggiungerei anche la necessità di porre una maggiore attenzione al rapporto tra interni ed esterni. Questi ultimi, seppur di dimensioni ridotte, dovranno relazionarsi con le zone living, le cucine e ne diventeranno la loro stessa estensione naturale ‘en plein air’. Il nostro approccio è già rivolto verso questa direzione, si tratterà di stressare alcune tematiche, cercando nuove soluzioni che possano incentivare un uso dello spazio ancor più flessibile per una miscellanea di utilizzi, funzioni e stili.

 

L’eccessiva diffusione del digitale mal si concilia con l’architettura che è un’esperienza concreta, fisica. Avremo ancora bisogno di spazi costruiti? Com’è possibile conciliare questi due aspetti?
Finchè ci sarà l’uomo sulla terra sarà necessario avere gli ‘spazi costruiti’. Ogni cosa è uno spazio costruito: dalla casa, al tunnel autostradale, alla città stessa! Il digitale, se correttamente utilizzato, è un ottimo (forse l’unico) strumento per un attento controllo delle forme che poi costituiscono l’architettura. Il come conciliare i due aspetti è demandato alla sensibilità del singolo. A mio avviso l’incontrollato utilizzo del digitale può generare dei mostri, ma questo attiene alla sfera della personale percezione e realtà del singolo.

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