Com’è cambiato il vostro lavoro dal punto di vista operativo e come avete gestito questo periodo di emergenza?
La squadra di Lombardini22 lavora essenzialmente da remoto, alcuni di noi sono stati in cantiere, altri in ufficio. Pur avendo sviluppato un protocollo di sicurezza molto dettagliato, lo studio si è popolato poco ed è giusto così perché in effetti il rischio c’è, e continua a esserci. I numeri della Lombardia non sono confortanti e sembra che l’apertura avvenga più per esasperazione che per reali e validi motivi di diminuito rischio di contagio. In Lombardini22 non ci siamo fermati, anzi la sede si sta ampliando con una nuova superficie contigua al cortile dello studio esistente. È un bellissimo spazio e tutto lo staff è curioso di vederlo. È strano pensare a questo spazio nuovo e al fatto che non c’è nessuno, ma noi diciamo sempre sì al futuro. I clienti intanto ci stanno dando lavori da fare e ci chiedono di aiutarli a ragionare sugli spazi e sulla gestione delle risorse, soprattutto in ambito retail e workplace: sono le sfide più belle, dove impariamo facendo, un passo alla volta. E un passo alla volta usciremo da questo tempo incerto e scopriremo di essere più maturi, più consapevoli.

 Al di là della situazione contingente questa pandemia pone una serie riflessioni sul ruolo della progettazione legato a moltissimi temi. A partire dalla città e dalle sue trasformazioni nel prossimo futuro. Quali pensiate possano essere gli insegnamenti da trarre e quali le strategie per uno sviluppo urbano sostenibile?
Mi piace riportare la riflessione di Marco Marcatili, economista e responsabile sviluppo in Nomisma, uno dei protagonisti di Foresight, l’evento che organizzammo nell’ottobre 2019 alla Torre Allianz a Milano, che ora si è evoluto in un laboratorio permanente per sviluppare idee e ricerche. Marcatili parla di due virus che dovremmo monitorare: il “virus di umanità” perché ora sappiamo che una crescita senza umanità non è sviluppo, e il “virus della sostenibilità”. L’aumento di ricchezza e di benessere passerà da scelte in grado di aumentare l’economia, l’umano, il sociale e l’ambiente contemporaneamente. Migliorare la qualità delle relazioni umane, occuparsi di una sfida sociale o ambientale, come quella della salute, dell’acqua e dell’alimentazione, deve essere concepito come un vero e proprio business, non come atto filantropico esterno o indipendente dal core business. In questo senso l’impresa non è più un’organizzazione chiusa, ma un’infrastruttura aperta a cui viene richiesto di migliorare la qualità di un territorio e assicurare la sostenibilità dello sviluppo umano. E più in generale abbiamo capito quanto dipendiamo l’uno dall’altro, proprio per questo sono fiducioso che riusciremo a sviluppare una vera logica di rete, fondamentale per tutto il sistema.

Un altro dei temi emersi è senza dubbio quello della centralità della casa, messa a dura prova da un lungo periodo di convivenza forzata. Come dovranno essere le case del futuro in termini di ambienti, spazi, materiali e tecnologie utilizzate?
In tempi non sospetti, prima dell’emergenza che ci ha travolti e catapultati nella nostra casa, in Lombardini22 avevamo iniziato a ripensare all’ambiente domestico in quanto spazio organico, vivo, che si evolve insieme a noi e che ha bisogno quindi di essere collocato in un pensiero progettuale e sociologico più ampio, a partire dalle fondamenta. Poi l’emergenza Covid-19 ha di nuovo mescolato le carte, aggiungendo complessità (o maggiore chiarezza) all’ecosistema casa. Non più una zona di comfort, ma uno spazio da costruirsi intorno, che sia pronto ad assecondare le nostre attività, e perché no, anche le emergenze quotidiane, fuori dai vecchi schemi. E così abbiamo lanciato la nuova buisiness unit L22 Living in gestazione da tempo, che raccoglie un’esperienza di progettazione orientata all’ambiente domestico e al vivere contemporaneo già ricca e consolidata all’interno del Gruppo e che cercherà di costruire una nuova mappa dell’abitare, a partire da alcune dimensioni fondamentali: la dimensione ecologica e sociopolitica, le intensità delle relazioni, il senso di appartenenza, le esperienze di qualità e di coinvolgimento, la sharing economy, oltre alle dimensioni economiche della sostenibilità finanziaria del progetto e del raggiungimento dei kpi dello sviluppatore. Armonizzare le diverse dimensioni e farle confluire in una matrice comune di bisogni universali è il nostro obiettivo.

 

L’eccessiva diffusione del digitale mal si concilia con l’architettura che è un’esperienza concreta, fisica. Avremo ancora bisogno di spazi costruiti? Com’è possibile conciliare questi due aspetti?
Oggi stiamo sperimentando una nuova dinamica sociale e dobbiamo coniugare in modo inedito prossimità e densità, spontaneità e organizzazione. La tecnologia ci ha consentito di lavorare da remoto e di mantenere un senso di comunità. Se vogliamo un futuro migliore dobbiamo progettare insieme spazi fisici, spazi digitali e spazi sociali in grado di contribuire al nostro equilibrio e al nostro benessere. Ciò apre nuovi scenari alla progettazione, ai modelli d’uso e gestione degli spazi, all’invenzione di altre tipologie e di altri processi. In particolare, per affrontare il tema residenziale e la sua sfera comunitaria presente e futura i modelli di riferimento cui attingere sono molti, il nodo è orientare le opzioni progettuali mettendo in relazione le differenti dimensioni coinvolte ed elaborare una linea guida comune. Credo che sarà inevitabile uno sviluppo di supporti comunitari e di servizi alla persona innovativi, a forte implementazione tecnologica digitale e integrati con lo spazio architettonico e il suo contesto più allargato: indispensabili nella buona rigenerazione urbana e nella definizione di nuove modalità di convivenza, sostenibili e generative. La casa e il quartiere - l’ambiente più prossimo all’abitazione che consente una socialità allargata - hanno e avranno sempre più un’importanza strategica per la qualità della vita delle persone. Vedo molto coerente la ricerca di soluzioni flessibili e temporanee a vantaggio di un ambiente polifunzionale aperto alle comunità, così come di un abitare che tenga conto di bisogni nuovi: un abitare circolare e flessibile negli usi, un abitare sociale e condiviso che vada oltre la logica dell’appartamento, un abitare con una forte presenza di spazi di relazione in grado di ricucire le sfere individuali, un abitare in cui i servizi siano importanti quanto il bene in sé. Nella realtà, un esempio molto pragmatico di facile e veloce riconversione è rappresentato dalle vecchie portinerie da trasformare in spazi comuni: collettori per il delivery online, biblioteche, dispense, e poi spazi da dedicare a esigenze emergenti come lavanderie potenziate per la sanificazione, laboratori, spazi di co-working, mini-asili, ambulatori, spazi per il micro-commercio o per piccoli eventi aperti al quartiere, orti ricavati sui tetti, giardini pensili autogestiti e ritrovate attitudini da cittadini-giardinieri. Perché più di tutto conta vedersi, parlare, stare insieme.