La conclusione del mcb-a, il Musée cantonal del beaux-arts, pietra miliare di un progetto in divenire, è la prima tappa del piano “Plateforme 10”. Un quartiere dedicato all’arte, un polo culturale e museale, vivo e attrattivo, che vedrà la luce entro il 2021 nel centro della città elvetica, con il completamento del museo de l’Elysée, dedicato alla fotografia, e del Mudac, che metterà in scena il design e le arti applicate contemporanee. Un progetto, quello di Plateforme 10, che si era già rivelato nella sua veste ambiziosa nelle pagine del supplemento di Arketipo del 2017 (cfr. Supplemento al n. 111/2017) e che oggi dimostra la magistrale capacità di inserire i nuovi edifici in un processo strategico di riprogrammazione funzionale alla scala urbana, in grado di attivare una serie di spazi pubblici interamente dedicati alla cultura. Nel masterplan la composizione esprime il giusto equilibrio tra pieno e vuoto, dove lo spazio aperto, pubblico, diventa il differenziale tra la scala degli edifici e quella del tessuto urbano. Un gesto progettuale che, riferendosi al concetto di Terrain Vague, così come descritto nel 1996 da Ignasi de Solà Morales, riconosce nel vuoto urbano una forte valenza sociale e una risorsa per la ridefinizione del tessuto costruito, disegnando la piazza pubblica come estensione dello spazio della città. L’edificio originario della stazione, costruito nel XIX secolo, e il dislivello che fino a ora ha diviso la zona dei binari e della stazione dalla parte nord, in cui si sviluppa la città, sono stati al centro dello sviluppo del masterplan dello studio Barozzi/Veiga. Il lavoro degli architetti non si concentra soltanto sugli edifici, ma interviene su disegno ampio e a scala urbana, di riconversione, di riapertura ai visitatori e ai fruitori, di un’area di Losanna finora separata e con una vita propria rispetto al resto della città. Lo spazio pubblico diventa, così, più importante dell’edificio stesso.

Il programma del mcb-a, in particolare, si confronta con la memoria del luogo e con la persistenza del suo carattere formale gestendo, in maniera elegante e consapevole, la complessità degli elementi. Il progetto contestualizza frammenti appartenenti alla sua vita precedente che, in un’operazione di riscrittura formale, vengono reintrodotti minuziosamente in una rinnovata sintassi e un’audace punteggiatura compositiva. Sulle nuove facciate in mattoni, che caratterizzano la trama materica dell’involucro, si evidenzia un volume con finestra ad arco proteso verso i binari, come testimonianza del corpo di fabbrica originale. Nella piazza, il passato industriale del sito si riverbera in elementi come le rotaie e la grande piastra girevole. Objet trouvé, così li aveva descritti Elviro Di Meo: “[…] oggetti sottratti all’oblio delle prossime generazioni, che divengono parti determinanti dell’insieme compositivo, frammenti a cui verrà data una nuova vita.” (cfr. Supplemento al n. 111/2017 di Arketipo). L’edificio ferroviario del Novecento era stato giudicato dai progettisti inadatto a ospitare le nuove funzioni museali, percepito come una barriera per lo sviluppo di quella porzione di città. Da qui la decisione di conservare solo dei frammenti del fabbricato preesistente, una scelta che permette di privilegiare la creazione di spazi pubblici di qualità all’esterno. Il museo recupera, quindi, solo in parte il vecchio edificio della stazione, che si palesa come volume sporgente dal fronte sud e reinterpreta all’interno alcuni elementi fortemente caratterizzanti della struttura originale di fine ‘800: le grandi vetrate ad arco in vetro e ferro, i soffitti alti, gli spazi ampi e luminosi. Nonostante questo spirito di apertura, l’edificio si presenta con un involucro dalla forma molto rigorosa e geometrica, con pianta rettangolare (il cui lato lungo è parallelo ai binari), che riprende quella dei vecchi edifici industriali, richiamando al genius loci e alla natura originale dell’area. Su tre dei quattro lati il museo dall’esterno appare come una struttura monolitica in calcestruzzo e con una natura molto introversa: scelta progettuale dovuta all’esigenza di realizzare spazi espositivi interni non illuminati.

Di contro, il quarto lato (quello nord) dell’edificio si apre sulla piazza, dialogando con la città e gli altri due musei (il MUDAC e il Museo della fotografia) di Aires Mateus, attraverso una facciata che alterna grandi aperture ad ampi pieni. L’intero prospetto è scandito da brise soleil verticali in mattoni a tutta altezza, che schermano gli interni dal sole e gli conferiscono dinamicità e maggiore leggerezza. All’interno, la complessità del programma funzionale è risolta in modo semplice e sintetico: cinque “core” attraversano l’edificio, fungendo sia da poli per le attività che elementi strutturali; gli spazi si organizzano su tre livelli, messi in diretta relazione dallo spazio centrale dell’atrio a tutt’altezza. Quest’ultimo, evidenziato in facciata dalla finestra ad arco, è il cuore funzionale del museo, organizzando la circolazione ai piani superiori e separando le mostre permanenti da quelle temporanee. Il piano terra è pensato quale estensione della piazza e ospita tutte le funzioni pubbliche: foyer, libreria, ristorante, auditorium e galleria temporanea per esposizioni di arte contemporanea. Ai piani superiori sono situati gli spazi espositivi: la collezione permanente, nella zona est, è separata da quella temporanea sul lato ovest. Qui lucernari a sezione trapezoidale sono orientati a nord per diffondere la luce in maniera uniforme, offrendo condizioni di illuminazione ottimali. Lungo la facciata verso la piazza, gli aggetti profondi dei frangisole verticali evitano che la luce solare penetri direttamente nelle zone sensibili. Un oggetto architettonico, quello del mcb-a, in cui il valore della memoria si esprime attraverso la potenza materica di un involucro monolitico dalle geometrie rigorose e dai materiali pesanti. Con l’ambizione, possibile, di imporsi come immagine iconica di un importante rinnovamento urbano.

RIGORE FORMALE E COMPONENTE MATERICA
Il sistema prefabbricato in calcestruzzo armato caratterizza l’intero involucro monolitico, impiegando soluzioni strutturali - quali le travi parete - per sostenere le solette con carichi importanti, in modo da garantire, nelle sale espositive, ampi spazi, liberi da strutture portanti intermedie. Mentre su tre fronti prevale la struttura monolitica, il prospetto nord si offre alla piazza quale vera facciata principale, smaterializzata dalla scansione verticale dei brise soleil a tutta altezza: “Come in un tempio del terzo millennio, scandiscono l’edificio per l’intera lunghezza, dall’alto in basso, fino a lambire la copertura. Le scanalature accentuano l’effetto chiaroscurale, dando risalto alla presenza del museo e regalando ombra alle finestre” (Elviro Di Meo).
Sono realizzati in elementi verticali di cemento armato prefabbricato, rivestiti con elementi di mattoni faccia vista, in continuità con i prospetti dell’edificio. Un sistema di ancoraggi con piastre di acciaio inox consente il fissaggio perpendicolare alla superficie del prospetto nord, mentre elementi di giunzione interni garantiscono la continuità strutturale degli elementi prefabbricati, nello sviluppo verticale, oltre a consentire l’assemblaggio in cantiere.

ILLUMINAZIONE ZENITALE E COMFORT AMBIENTALE
Sviluppandosi parallelo ai binari ferroviari, l’edificio riecheggia l’antica condizione industriale del sito, con geometrie rigorose ingentilite da stilemi ottocenteschi, riportati alla luce come frammenti che emergono sulla superficie. Altro esplicito riferimento alla tradizione del luogo è presente anche nei profondi lucernari, sul piano di copertura, che con la loro particolare forma trapezoidale evocano gli shed degli stabilimenti produttivi. L’ultimo livello espositivo è, infatti, illuminato attraverso una copertura a shed orientati a nord con pannelli fotovoltaici e sistema interno di tende: una soluzione tecnologicamente ben integrata in modo da schermare la luce solare e controllare il comfort degli ambienti, richiesta fondamentale del programma progettuale condiviso con l’ente Museo. Il comfort acustico degli spazi interni, che fronteggiano i binari, viene garantito da un involucro performante: l’elemento monolitico in cemento completato da 30 cm di isolamento in lana di roccia ad alta intensità - due lastre sovrapposte (12 + 15 cm) - che consente il passaggio di pluviali e cavedi per la raccolta e lo smaltimento delle acque.

 

Scheda progetto
Architectural Design: Barozzi/Veiga - Fabrizio Barozzi, Alberto Veiga
Local architect: Fruehauf Henry & Viladoms
Project leader: Pieter Janssens
Project team competition phase: Roi Carrera, Shin Hye Kwang, Eleonora Maccari, Verena Recla, Agnieszka Samsel, Agnieszka Suchocka
Project team execution phase: Claire Afarian, Alicia Borchardt, Paola Calcavecchia, Marta Grządziel, Isabel Labrador, Miguel Pereira Vinagre, Cristina Porta, Laura Rodriguez, Arnau Sastre, Maria Ubach, Cecilia Vielba, Nelly Vitiello, Alessandro Lussignoli
Committente: Canton de Vaud, Direction générale des immeubles et du patrimoine Architecture et Ingénierie cantonale (DGIP)
Project manager: Pragma Partenaires SA
Structural engineers: Ingeni SA
Services engineers: Chammartin&Spicher SA; Scherler SA; BA Consluting SA
Façade consultant: X-made SLP
Lighting consultant: Matí AG
Museum expert: BOGNER.CC
Floor area: 6,895 mq
Built-up area: 12,449 mq
Volume: 82,536.94 mc
Chronology: 2011, start of planning - 2016, start of construction - 2019, completionT
otal cost: 84,500.000 CHF (building: 64,715.000 CHF)
Cost per mq: 6,626.91 CHF/mq
Photos: Simon Menges, Jesus Arenas

Arketipo 140, Involucri, settembre 2020