Osservatorio sulla città
A cura di Giulia
Pellegrini


Domenico Cogliandro "L'architetto ha bisogno di costruire le sue idee nel
vivo della città, non in laboratorio; o sperimenta con la gente o sperimenta
sulla gente. Di qui non si scappa! Per questo non ho mai considerato la mia
scelta di sperimentare con la gente come un qualcosa di esterno alla mia
professione; è, per me, l'unico modo possibile per salvarsi dalla mediocrità
senza imporre agli altri - nel presente e nel futuro - il capriccio di
invenzioni al loro apparire geniali, ma che invecchiano in misura direttamente
proporzionale alla loro originalità formale", in questa maniera Michelucci
all'inizio degli anni ottanta tracciava una delle sue idee per una nuova città
o, meglio, per una nuova urbanità. Purtroppo quelle parole sono state disattese
dalla maggior parte degli "aventi diritto, e doveri" ma, al tempo stesso,
foriere di una maniera diversa, diretta o indiretta, per alcuni di occuparsi di
città secondo operatività sostenibili, cosa che la Fondazione che porta il suo
nome ha incentivato, nel tempo, con cura. Va anche detto che nella vita le
traiettorie sono determinanti, allo stesso modo in cui lo sono i gangli. Nel
primo caso si viaggia da A a Z certi dell'obbiettivo finale, o del risultato o,
comunque, di una meta attesa; nel secondo ci si aggira attorno ad una cosa
specifica, spesso imprecisa e nebulosa, ma di cui si percepisce l'esistenza o,
laddove verificata, se ne cerca di cogliere l'essenza. Quando ho incontrato
Michelucci (due parole e una stretta di mano) non sapevo ancora che ne avrei
amato le opere tanto da inseguirne i percorsi, successivamente alla sua
scomparsa; e non sapevo nemmeno che mi sarei imbattuto in un suo testo inedito
che sarebbe diventato, grazie ad una serie di circostanze, un patrimonio
particolarmente prezioso per la mia vita. Grazie a quel testo del maestro ho
incontrato Davide Virdis, architetto e fotografo. In un certo senso, oggi lo
posso dire, tutto è partito da lì.
Sono convinto del fatto che se non ci
fosse stato quell'incontro con Davide non ci sarebbe stato nemmeno Woz, perché
il destino delle cose ha a che fare con la somma di molte traiettorie e di tante
distanze; e il fatto che il destino si prenda gioco di noi, malgrado tutto,
rispetta l'illogicità di una sequenza di avvenimenti che, passo passo, avranno a
che fare in maniera talmente pregnante con la nostra vita da non riuscire più a
scrollarceli di dosso. Woz è infatti il risultato di una nuvola di traiettorie,
esercitate da persone molto diverse tra loro e che, per una serie di
incomprensibili circostanze, si sono trovate accomunate, in prima istanza, da un
sentimento comune verso luoghi e persone (cosa che ne ha determinato la
selezione), e in seconda battuta sono riusciti a mantenere inalterato, per
quanto possibile (nonostante le frizioni creative), un equilibrio critico
proprio del luogo in cui sono stati ospitati.
Le parole di Michelucci, qui
riportate, incardinano bene la filosofia di Woz, così come se ne è fatta
esperienza a Riace, in Calabria, per due anni consecutivi, e preludono al
tentativo di proporre una maniera di operare di là dall'astratta "formazione"
che "con le sue connotazioni di lavorazione e conformazione, ha il difetto di
ignorare che la missione della didattica è di incoraggiare l'autodidattica -
come afferma Edgar Morin - destando, suscitando, favorendo l'autonomia dello
spirito". Woz è un laboratorio che, come altri, mette al centro delle occasioni
una idea di luogo attesa da ospiti e ospitanti, ma che sostituisce al seminario
l'assembramento, alla maquette la trascrizione del luogo, agli incontri la
condivisione: che tenta di passare dal wordshop al workshop, operando
all'interno di piccole realtà locali in cui è ancora possibile riconoscere il
senso di appartenenza e di radicalità come valori corrisposti da molti. Ma non è
solo questo. Si rivolge alla detta "urbanità" con una serie di accadimenti,
effetti di concause, che riguardano l'ospitalità, lo scambio di linguaggi, la
volontarietà delle azioni, la messa "in vendita" delle idee, almeno quanto
l'intersezione tra queste cose abbia a che fare con i materiali d'uso, la
lettura (post litteram) del genius loci, l'esecutività del prodotto e il suo
accudimento. Posta, e attesa, la condizione che Woz viva di vita propria, per
quanto tutto abbia dietro una fatica e un costo di immaginazione e di
preparazione, e in cui ci si possa trovare in una comunità sostanzialmente
democratica che accoglie e discute istanze, proposte, progetti, il laboratorio
ha avuto, e ha, queste caratteristiche, ben evidenziate dalle presenze di
architetti e artisti, allievi designers e cittadini, che hanno prodotto, a
stretto contatto tra essi, alcune sintesi che adesso si possono guardare,
toccare o visitare a Riace. Ma è anche un tentativo di rimettere l'architettura
al centro di un orientamento smarrito perché, parafrasando una intervista a
Bassolino, a Woz "abbiamo cercato e stiamo cercando di far percepire come un
fatto ordinario e permanente ciò che prima era apprezzato come un elemento
positivo, ma straordinario".