"Ho aperto lo studio più di 10 anni fa. All'inizio avevo molti pregiudizi, soprattutto con me stessa, ma poi ho scoperto che avevo molto da dire". Inizia così la sua conferenza alla Galleria dell'Architettura di Cersaie Patricia Urquiola, probabilmente la donna oggi più corteggiata dall'industria del design mondiale, unica nella capacità di coniugare bellezza e comfort. Sempre con un tocco di ironia e una sensibilità quasi poetica, fatta di amore per ciò che è glocal e un grande rispetto per il lavoro manuale, quello degli artigiani. Tra i propri maestri conta alcuni grandi nomi del design industriale italiano, da Achille Castiglioni a Vico Magistretti.
"Io sono figlia del postmoderno", ha proseguito l'archistar nel suo appassionante seminario dal titolo Blurring boundaries - Interconnesioni tra progetto di product design e architettura. Confini culturali tra integrazione, sovrapposizione e rispetto identitario. "Ho studiato architettura negli anni in cui trionfava l'idea della libertà del progetto. Era meraviglioso avere professori che ti insegnavano questo. A Milano poi ho trovato Castiglioni e Magistretto. Moderni, trasversali: rigorosi ma con ironia. Dei sempreverdi che non si sono mai accasciati. Così tuttora io mi muovo in ogni spettro dell'architettura e del design, mantenendo questa mia libertà".
L'architetto spagnolo ha poi trasportato il pubblico, davvero numeroso, in un viaggio nel suo modo di lavorare e di concepire l'architettura, aiutandosi con immagini evocative di oggetti e ambienti che l'hanno ispirata, alcuni dei suoi progetti e prototipi più originali e momenti di lavoro con i suoi collaboratori.
"La mia vita professionale ha a che fare con chi produce, con chi vende. E col domestico. Noi designer siamo profondamente legati all'industria. È importante capire che non lavoriamo solo per la nicchia. Molti di questi prodotti entrano nel mercato e vengono vissuti dalle persone".
Altro elemento fondamentale della poetica e della creatività di Patricia Urquiola è quello dell'inesplorato e del riutilizzo, con un occhio alla sostenibilità: "Lavoriamo per dare alle cose nuova vita. Mi interessano le cose che non si usano più, quelle buttate. Mi piace portare a casa, riutilizzare. E dare nuovi altri punti di vista sui materiali, anche mischiando, come il micromosaico fatto con vetro di scarto, riciclato". Materiali innovativi, quindi, con meno smalto, meno acqua. E uso dei materiali non per una sola funzione ma molte.
Al centro c'è il concetto di curabilità: "Un fattore che dipende dal modo in cui si produce, ed è anche legata alla qualità emozionali delle cose, alla loro storia a coloro che le hanno vissute, amate, scambiate. Così l'oggetto ha il suo ciclo di vita, ma al termine si può anche scorporare e ogni pezzo tornare a nuova vita". Un processo creativo lungo e articolato. "Per ogni progetto ci vogliono quattro anni, ma alla fine non è detto che il prototipo venga realizzato".
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