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Venerdì 5 febbraio 1445 l’Ospedale degli Innocenti accolse la prima bambina abbandonata, Agata Smeralda; da allora il più antico brefotrofio al mondo continua a occuparsi di infanzia. Attualmente ospita nei suoi spazi un asilo nido, una scuola e una biblioteca per l’infanzia, gli uffici per la gestione delle adozioni e degli affidamenti dei bambini, la sede dell’Unicef. L’Ospedale conserva una grande quantità di commoventi cimeli di riconoscimento dei bambini abbandonati e possiede una notevole collezione di opere d’arte accumulate nei secoli per far crescere i trovatelli in un ambiente elevato la cui bellezza fosse capace di nobilitarne lo spirito, tant’è che ancora oggi c’è un centro di educazione all’arte. Il Museo degli Innocenti nasce dalla volontà dell’Istituto di rendere il suo patrimonio di storia e arte più conosciuto e maggiormente accessibile, a tal fine nel 2008 è stato bandito un concorso internazionale, vinto da Ipostudio, che nel 2011 completa il progetto esecutivo coadiuvato da “una singolare e originale presenza”, così la definisce Terpolilli (capoprogetto e cofondatore dello studio fiorentino), ossia da una “unità di progetto”, costituitasi all’uopo e dipendente dall’Istituto degli Innocenti, composta da storici dell’arte e del costume, da direttori di musei e da rappresentanti della Soprintendenza, che ha valutato, condiviso e validato tutte le scelte e accompagnato gli architetti fino alla realizzazione dell’opera, evitando intoppi e facilitando il buon esito dell’operazione, che nel 2016, dopo quattro anni di lavori, viene portata a compimento.

La proposta vincitrice del concorso prevedeva due azioni interdipendenti: la prima riguardava il problema mai risolto dell’accessibilità dal livello di piazza SS. Annunziata e della mobilità fluida e chiara all’interno del complesso monumentale; la seconda si concentrava sulla definizione dell’allestimento e sul recupero di nuovi spazi da destinare al museo, perché di fatto esisteva solo la pinacoteca soprastante il loggiato brunelleschiano. Ipostudio decide di concentrarsi esclusivamente su alcuni nodi nevralgici capaci però di rifunzionalizzare l’intera fabbrica e di darle unitarietà: le due campate a sud della loggia, dove vengono collocati l’ingresso al museo e quello all’Istituto (prima dell’intervento l’ingresso ufficiale era alla quota del loggiato, 170 cm sopra il livello di piazza SS. Annunziata, quindi raggiungile solo dopo aver percorso la scalinata, di fatto impraticabile per chi aveva problemi deambulatori e per i genitori con le carrozzine); il museo; il progetto allestitivo della pinacoteca; il Verone. «La volontà - racconta Terpolilli - di incidere principalmente sulle parti deboli nelle quali concentrare le trasformazioni necessarie e di lasciare il più possibile inalterata l’immagine del complesso monumentale sulla piazza» ha portato gli architetti alla scelta di realizzare l’ingresso al museo degli Innocenti dalla porta, alla quota di piazza SS. Annuziata, che veniva utilizzata dai genitori con le carrozzine e da chi aveva problemi deambulatori per accedere a tutti gli spazi dell’Ospedale. Il nuovo accesso, risolto con un portale-macchina semovente rivestita in lastre di ottone brunito, è in posizione simmetrica rispetto alla Ruota degli Esposti (il luogo dove un tempo venivano lasciati i bambini), di cui Ipostudio realizza una sorta di rivisitazione e una nuova modalità di ammissione, quasi a voler ricordare il modo in cui i bambini entravano nel brefotrofio: dalla porta secondaria. Giunti nell’atrio e superata la biglietteria, si accede al museo, un altro dei nodi nevralgici del progetto. Il museo è stato ricavato nel seminterrato, che Brunelleschi, ispirandosi ai criptoportici romani, aveva pensato come piano tecnico, le cui attività non dovevano interferire con i piani nobili.

L’intervento di Ipostudio sulle sale (e così in tutti gli altri nodi cruciali) mira a mantenere la leggibilità dello spazio architettonico originario, a non intaccare le strutture murarie esistenti, a rendere gli elementi del nuovo progetto immediatamente riconoscibili, predisponendo sui muri preesistenti a mo’ di fodera delle contropareti finite a marmorino di 190 cm, ovvero l’altezza dell’imposta delle volte, dietro le quali si celano tutte le canalizzazioni degli impianti. Una funzione simile a quella delle contropareti viene svolta dal pavimento sagomato in resina cementizia, leggermente distanziato dai muri per poter alloggiare nello scarto che si forma il sistema di illuminazione a sorgenti led e nelle sale del museo permanente i diffusori dell’impianto di condizionamento. Il secondo ingresso, quello comune e generale all’Istituto, è stato ricavato in corrispondenza del portale quattrocentesco, che nel 1843 era stato traslato per ragioni di simmetrizzazione della facciata dall’architetto Leopoldo Pasqui dalla prima campata (che viene modificata inserendo un arco su colonne a inquadrare un nuovo portale sormontato da una lunetta) alla seconda, a sud della loggia del Brunelleschi, seguendo il «gran progetto di riduzione», da lui redatto nel 1840, che avrebbe dovuto investire l’intero complesso dandogli un nuovo assetto. Il portale, in realtà, era una porta finta, tant’è che la parte inferiore era tamponata, mentre in quella superiore erano state aperte delle finestre per illuminare gli ambienti retrostanti. L’accesso ricavato in questa imbotte si segnala con un portale (che fa pendant con quello di accesso al museo) il quale altro non è, rivela Terpolilli, che “la rivisitazione di un banale bandone da garage”, con apertura a compasso, nobilitato dall’ottone brunito e dalla grande dimensione. Da qui, attraverso una rampa, si accede al vestibolo di ingresso il cui vano a tutt’altezza è stato ricavato, con il consenso della Soprintendenza, svuotandolo di tutti locali con funzioni accessorie accumulatisi nel corso del tempo. Eseguiti gli opportuni lavori di consolidamento delle pareti, nel vuoto sono stati inseriti un ascensore (che raggiunge anche il piano del museo) e una scala. La scala è di metallo ed è composta da conci scatolari realizzati in fabbrica comprensivi della predisposizione per i gradini. Ogni concio prefabbricato - formato da travi inginocchiate portanti d’acciaio (che funzionano anche da parapetto) dello spessore di 1,5 cm tagliate con il laser - è stato calato dall’alto e appoggiato su maniglie predisposte nei muri consolidati. Una volta alloggiate, le scale sono state rivestire al loro interno con la pietra grigia di Matraia; la scelta del bianco e del grigio, che poi caratterizza tutti gli interventi del museo, è un omaggio alle originarie scelte cromatiche di Brunelleschi. La scala e l’ascensore consentono di accedere senza barriere architettoniche a tutti i piani dell’Istituto degli Innocenti, in particolare agli altri due nodi nevralgici dell’intervento di Ipostudio: la pinacoteca e il Verone. Lo spazio sopra la loggia, adibito fin dal 1971 a galleria delle opere d’arte, è stato completamente riconfigurato dal nuovo progetto museografico grazie a un unico gesto: un traliccio strutturale in acciaio, fissato alla retrostante parete in muratura, formato da un’orditura metallica dove sono stati collocati tutti gli impianti tecnologici. Al traliccio sono stati ancorati con angoli differenti dei grandi pannelli a sbalzo, “a mo’ di pagine di libro”, su cui sono appese le opere d’arte di diversa dimensione che fanno da contrappunto alle finestre aperte sulla piazza. Il Verone, un’antica loggia fino a oggi praticamente inaccessibile, è stata recuperata a uso pubblico, ora è la caffetteria dell’Istituto, e con le sue viste straordinarie sulla Cupola del Brunelleschi è una conclusione spettacolare del percorso attraverso l’Ospedale degli Innocenti.

LA PORTA E L'INGRESSO AL MUSEO
Le opere strutturali dell’intervento di Ipostudio si sono concentrate principalmente nell’ingresso al museo e all’Istituto, qui le modifiche sono state le più significative, mentre nel resto del complesso non sono state prodotte variazioni sostanziali nel comportamento delle strutture. L’ingresso al Museo degli Innocenti avviene attraverso la nuova porta realizzata alla quota di piazza SS. Annunziata per non avere soluzione di continuità fra interno ed esterno. La porta, racconta Terpolilli, è una “macchina architettonico-teatrale semovente” - composta da un telaio scatolare e da ante in struttura metallica rivestite di lastre di ottone brunito - che fuoriesce dall’edificio, per accogliere i visitatori, per poi ritrarsi al momento della chiusura, ritornando a filo muro. Il marchingegno così concepito non è un gesto gratuito, perché, oltre a segnalare l’ingresso, ha la funzione di ampliare l’altrimenti esiguo pianerottolo dell’atrio del museo. Anche l’atrio è uno spazio di piccole dimensioni, è stato ricavato eliminando le sostruzioni al di sotto della scala che era stata realizzata fra il 1896 e il 1898 su progetto dell’ingegner Luigi Fusi per consentire di raggiungere, fra gli altri ambienti, la pinacoteca; alla scala, però, non si accedeva direttamente dalla piazza, ma, dalla quota della loggia brunelleschiana, da un vestibolo interno ottenuto nel 1932 con la tamponatura del lato ovest del portico del Cortile delle Donne. Per ragioni strutturali nell’atrio sono stati inseriti e addossati alle pareti laterali preesistenti due setti di cemento armato spessi 40 cm, su di essi poggiano tre travature in acciaio di rinforzo: due sono state posizionate sotto la scala, una sotto il muro storico. Le travature, preventivamente calandrate, sono state inserite e spinte lateralmente con l’aiuto di martinetti. L’operazione ha permesso di limitare le deformazioni e le conseguenti fessurazioni della muratura. L’atrio è organizzato su due livelli, da quello alla quota della piazza si scendono le scale (o si utilizza una piattaforma mobile collocata alla loro sinistra), guidati dalla curvatura del controsoffitto sagomato a semivolta e staccato dalle pareti da due asole realizzate per nascondere i sistemi di illuminazione artificiale, e si accede alla quota del bancone della biglietteria (a meno 120 cm dal livello della piazza): da qui a destra si va al museo con la collezione permanente e a sinistra agli spazi per le mostre temporanee.

IL VERONE
Il Verone, chiamato così nei documenti storici e poi per consuetudine, è la loggia dell’Ospedale, fu costruito sul finire del Quattrocento nel cantiere del Della Luna come stenditoio, venne poi tamponato nell’Ottocento e solo con la campagna di interventi di restauro di Guido Morozzi, iniziati appena dopo l’alluvione del 1966, ritrovò l’originaria apertura panoramica su due lati. L’accesso al nuovo spazio recuperato a uso pubblico avviene dalla scala o dall’ascensore, questi conducono a un porticato dove una leggera rampa porta al Verone, il cui pavimento galleggiante, ricoperto in doghe di Teak, permette di pareggiare le quote di arrivo della scala e dell’ascensore e di semplificare l’alloggiamento degli impianti, posti al di sotto di esso. Nello spazio del Verone è stata incastonata una scatola di metallo e vetro - “semanticamente indipendente dalla struttura spaziale esistente” afferma Terpolilli -, flessibile e reversibile, che occupa quasi tutta la superficie: la struttura metallica che forma il soffitto a cassettoni è appesa alle capriate lignee con dei tiranti di acciaio ed è coperta con lastre di vetro (la cui pulizia doveva venire fatta da alcuni “robot” all’uopo predisposti); le pareti est e sud sono formate da pannelli trasparenti di vetro completamente impacchettabili in un vano dietro la parete ovest; la parete a nord è rivestita in legno di Teak per nascondere le canalizzazioni degli impianti. Per quanto riguarda gli interventi strutturali, il solaio del Verone è stato consolidato con tiranti in acciaio ∅ 20 e fasciature di rinforzo del muro che si affaccia sul Cortile degli Uomini per fronteggiare il sovraccarico accidentale conseguente alla destinazione d’uso a caffetteria. Le capriate, in legno massello di castagno, poggianti su un muro in mattone/pietra e su colonne in pietra, sono state rinforzate con chiodi ad aderenza migliorata in corrispondenza dei nodi monaco-saetta, puntone-saetta e monaco-puntone. Il solaio della loggia di accesso, composto da travi di legno massiccio, è stato adeguato ai nuovi carichi attraverso un intervento di rinforzo realizzato con il getto di una cappa collaborante in calcestruzzo armato alleggerito solidarizzata alle travi in legno con connettori, le esili colonnine in pietra sono state “scaricate” grazie alla realizzazione di colonne di acciaio a croce.

Scheda progetto
Progettista: Ipostudio with Pietro Carlo Pellegrini ed Eugenio Vassallo
Località: Firenze, Italy
Committente: Istituto degli Innocenti
Costo: 6.221.354,73 euro
Area: 4,000 mq
Volume: 13,500 mc
Periodo di costruzione: 2012-16
Programme: museum
Design team: Lucia Celle, Roberto Di Giulio, Carlo Terpolilli, Elisabetta Zanasi Gabrielli, Luca Belatti, Mariagiulia Bennicelli Pasqualis, Panfilo Cionci, Beatrice Turillazzi (Ipostudio) with Pietro Carlo Pellegrini and Eugenio Vassallo
Structural Engineer: Favero e Milan ingegneria, aei progetti
Plants: Consilium servizi di ingegneria
Cronology: 2008 International Design Competition; 2008-2011 project; 2012-2016 construction
Awards: Winner of Premio Architettura Toscana, 2017, Opera di restauro e recupero, Finalist BigMat International Architecture Award 2019
Photos: Pietro Savorelli, Benedetta Gori, Damiano Verdiani
Photos on-site: archivio Ipostudio

Arketipo 143, Ristruttura Italia, dicembre 2020